Quest’oggi parliamo di steampunk e videogiochi: successi, insuccessi e difficoltà.
Prima di cominciare, però, come sempre mi piace fare un’introduzione al genere, soprattutto in questo caso, in cui ho fra le mani qualcosa di percepito in modo ancora piuttosto vacuo.
Il nostro Direttore ha dato a mio avviso una perfetta e sintetica descrizione dello steampunk. Lo ha definito un filone della narrativa fantastica in cui compare tecnologia anacronistica, in ambientazione storica (in genere a cavallo fra Ottocento e Novecento) o totalmente inventata (in cui possono comparire anche dei dinosauri, per esempio). La cosa fondamentale, tuttavia, è la presenza del vapore, il che rimanda concettualmente alla società industriale, alle catene di montaggio introdotte dal fordismo e ad un pensiero scientifico positivista, che di solito annulla la spiritualità. Altro requisito fondamentale è la sporcizia, sia della spazzatura, che dei grembiuli sudici di olio, delle fogne a cielo aperto, di individui anneriti dalla polvere del carbone e o del vapore delle ciminiere che rigurgitano fumo che offusca l’atmosfera. Sotto questo punto di vista, lo steampunk si accosta, e spesso si fonde, con il dieselpunk.
Ma purtroppo non è così semplice. Certo, se ci si vuole fermare ad una definizione sommaria, basta questo. Se si pretende di spaccare in quattro ogni capello di questa parrucca (e questo è il mio campo), c’è parecchio da faticare. Per esempio, il regista Terry Gillian definisce il suo Brazil come “steampunk, adesso che è stato introdotto questo genere”. In questo film non troviamo sfondi vittoriani, macchine a vapore o scienza trasformata in alchimia, tuttavia le scene sono gravate da nebbia, vapore, oggetti smontati e rimontati in modi unici, tubi di alluminio o di gomma, e soprattutto è caratterizzato da una sceneggiatura a mosaico. Ciò concorre a rendere la pellicola steampunk a tutti gli effetti. Una cosa incredibile, per chi ha visto Brazil.
Parlare quindi del fallimento dello steampunk è un po’ difficile, perché è un genere di contorno usato per caratterizzare in modo “originale” un mondo, piuttosto che una serie di abiti o un solo mezzo di trasporto. È un genere visivo, più che letterario, anche se ha i suoi riferimenti stilistici e culturali, comunque ancora aleatori, perché è soltanto dalla metà degli anni Ottanta che gli scrittori stanno cercando di definirne i canoni. Addirittura si litiga chiedendosi se Wells e Verne siano o meno da includere nel genere, perché all’epoca quello che hanno descritto nei libri era ambientato nella società a loro contemporanea, con un salto avanti tecnologico che, per questo, rendeva le opere fantascienza ucronica e non steampunk. Inoltre, come sempre quando si inserisce una nuova tipologia di ambientazione, si è portati a chiedersi se da quel momento inizia la produzione letteraria di genere, o se sia corretto ripescare testi più vecchi e includerli anche se al tempo non erano stati scritti con lo spirito definito dal nuovo manifesto.
Detto tutto questo, mi sembra ovvio che lo steampunk venga usato più che altro per dare un gusto “più nuovo” alle opere, quindi è difficile capire se nel ramo videoludico funzioni o meno. Probabilmente resta un elemento di secondo piano, che non ha grande rilevanza sulla vendita o sull’effettiva validità di un prodotto. Ha molta presa, invece, per quanto riguarda l’attrattiva, perché sicuramente è più intrigante una copertina fantasy-steampunk, piuttosto che fantasy e basta (e questo per il solo motivo che di fantasy puro ne abbiamo già visto a vagonate). Insomma, lo steampunk è il giovane imperatore del crossover, un elemento che supera la differenza di genere e può essere introdotto a macchia un po’ ovunque.
Parlando di videogiochi nello specifico, in realtà i grossi titoli che hanno integrato lo steampunk sono andati benone: pensate a Bioshock o Fallout e al loro strabiliante successo. E anche Final Fantasy, per quanto primariamente fantasy, contiene di volta in volta elementi prettamente steampunk, come le aeronavi di Cid e componenti del design di alcuni personaggi (basti pensare a Cloud, alla sua armatura e alla sua spada smontabile; o a tutta l’ambientazione di FF VI e XII).
Bioshock si divide fra città sottomarine e un parco giochi sospeso fra le nuvole, due grandi ricorrenze nello steampunk, soprattutto se associati a stili di vestiario tipicamente anni Cinquanta e influenzati da altri generi come il western. Inoltre, troviamo oggetti iconici come lo scafandro e il revolver, il circo o le fotografie in bianco e nero, e tutto concorre a potenziare l’effetto caratteristico del genere. Magistrale anche l’uso dei colori: il blu e l’ottone sotto la superficie del mare, il rosso e il bianco nel cielo.
Fallout, per altro, è un caso altrettanto particolare, perché riprende al posto dell’epoca vittoriana gli anni Cinquanta del Novecento, introducendo oltre ad un’ambientazione cupa e sporca, oggetti con il design tipico di quel periodo, ma dotati di funzionalità ben più avanzate.
Come non citare, poi, Syberia che in copertina ha un treno a vapore ed è incentrato sulla ricerca, aiutati da un automa, del proprietario di una fabbrica di giocattoli? Stesso percorso logico, che si svolge fra enigmi e marionette, si trova anche nel Prof. Layton, altro titolo di grande successo – soprattutto per la complessità e la varietà dei suoi indovinelli, e per la grande importanza data alla trama. Qui si mantiene la modernità, accompagnata però da elementi retrò immediatamente identificabili, come il cilindro di Layton, l’abito del suo assistente, e si includono meccanismi e oggetti dagli stravaganti design.
Se il genere steampunk è venuto definitivamente alla ribalta con Bioshock (e il magistrale Infinite), ora è sotto il mirino della critica grazie a The Order 1886 (qui la nostra recensione), che a livello di grafica (nonostante alcune scelte discusse, come il mantenere i 30fps) è decisamente buono. Lo steampunk lo troviamo a pioggia. Siamo a Londra, in particolare a Whitechapel, e già questo è un emblema del genere: la nebbia che sale dal Tamigi, le esalazioni delle fogne dei quartieri popolari, la spazzatura agli angoli di vie strette e polverose, i lampioni a gas, le ciminiere che troneggiano sull’orizzonte cittadino, le fabbriche, le guglie di Westminster, i mattoni a vista delle abitazioni scrostate e, mi ripeto, la nebbia costante che soffoca la città. I personaggi sono in divisa, e anche questo è iconico, soprattutto se l’outfit include miscugli di armature, nappe e bottoni d’oro. Le armi, poi, sono un tripudio, a partire dalla presenza fianco a fianco di gunslinger e spade. E per quanto riguarda i mezzi: carrozze e treni. Che altro volete? Un pizzico di alchimia e magari la lunga vita? Beh, c’è anche quella.
E voi? Cosa ne pensate? Lo steampunk è un genere solo visivo o no? Funziona, o deve ancora essere oliato?
– Elena Torretta –