Diversamente da quanto accadeva qualche decina di anni fa, quando soprattutto nel nostro Paese la letteratura fantastica era, ahimè, ai margini della produzione letteraria, oggi fortunatamente tutti sanno dire che cosa sia un’opera fantasy e molti ne hanno letta almeno una nella loro esperienza di lettori e lettrici. Abbagliati dalle imprese di indomiti guerrieri e potenti stregoni contro orchi e draghi, ci siamo mai chiesti, però, quali siano le origini di questo genere letterario dai tratti tanto caratteristici e riconoscibili, su cui in passato critici di ogni genere hanno discusso per decidere se fosse o meno letteratura “di serie B”, ma da noi tanto amato perché in grado come nessun altro di rappresentare tanto bene i nostri sogni, le nostre paure e le nostre aspirazioni? Nel cercare di rispondere il più esaurientemente possibile a questa domanda per me affascinante, la mia ricerca mi ha ovviamente condotto sulla strada dei grandi miti della nostra cultura passata e non solo, ma non è di questo che vorrei parlare oggi. Oggi vorrei proporvi una lettura che a mio parere ogni amante del fantasy è in grado di apprezzare, perché, nella sua semplicità e al di là delle più complesse mitologie create dall’uomo, dice molto riguardo quali siano le origini più vere e tangibili del genere fantasy.
Piccola premessa. In ogni opera fantasy che si rispetti, possiamo constatare come l’autore di turno abbia inevitabilmente attinto a piene mani dall’enorme bacino costituito da miti, fiabe, leggende e folklore popolare che, persa definitivamente l’aura di sacro che possedevano in passato, hanno via via assunto la funzione di archetipo narrativo e tematico per il genere fantastico. Tra i diversi sottogeneri del fantastico, considerando principalmente horror, fantascienza e fantasy, quest’ultimo è sicuramente quello che affonda maggiormente le proprie radici nelle antiche tradizioni letterarie ed è maggiormente legato al racconto mitico-leggendario e alla sua simbologia: pensiamo agli elementi distintivi imprescindibili di questa narrativa e cioè prima di tutto la presenza della magia e di creature incantate, ma anche di eventi inspiegabili dalla scienza e di battaglie dalle atmosfere epiche. È il nostro beneamato padre della narrativa fantasy moderna John R. R. Tolkien che, da buon professore, si sofferma a spiegare in saggi approfonditi e in lettere private – che vi invito a leggere se non lo avete già fatto perché di una poesia e di una chiarezza da rimanere a bocca aperta – quali siano le sue fonti di ispirazione e quanta importanza esse abbiano avuto nel percorso che lo ha portato a sviluppare e creare il suo personale secondary world (mi riferisco in particolare al saggio Sulle fiabe – contenuto inizialmente nel libro Albero e Foglia, e inserito successivamente anche nella raccolta di scritti Il medioevo e il fantastico – e alla raccolta epistolare La realtà in trasparenza, ma è sufficiente possedere una copia de Lo Hobbit annotato e leggerne l’incredibile apparato di note per capire a cosa mi riferisco).
Bene, fine della premessa.
Il libro che vi presento è edito da Mursia e curato dall’antropologo Karl Felix Wolff, appassionato di racconti popolari e tradizioni orali antiche degli abitanti delle Dolomiti, il quale, proprio come fece Tolkien, si è dedicato allo studio delle lingue, dei riti e delle leggende delle popolazioni appartenenti alla sua regione nativa. Leggende delle Dolomiti è un libro che racchiude una serie di avvincenti racconti tra cui il ciclo de Il Regno dei Fanes, una vera e propria epopea ladina che costituisce la parte principale del volume e che è il risultato di anni di ricerca e trascrizione – a volte non del tutto rigorose nel metodo e contaminate dall’estro creativo di Wolff – nel tentativo di dare una forma coerente ad una moltitudine frammentaria di miti, leggende e canzoni che verosimilmente risalgono alla popolazione di origine etrusca dei Reti, per essere poi contaminate con la poesia cortigiana medioevale. In questa raccolta di racconti, semplici ma coinvolgenti come vuole la tradizione popolare, troviamo un assortimento completo di tutte le tematiche e di tutte le tipologie di personaggi che siamo abituati ad incontrare nelle lettura delle nostre saghe fantasy preferite, così come negli antichi cicli epici di ogni epoca e cultura: guerre fratricide e amori struggenti, lotte per determinare l’ascesa o la caduta di intere casate, prove di coraggio di eroi ed eroine dall’animo nobile ma tormentati dai dubbi, governanti senza cuore, gemme preziose e armi prodigiose, spiriti della natura che pensano e agiscono come esseri umani, e creature misteriose, come streghe, ninfe e nani. Il tutto è chiaramente ammantato di mistero e magia ed è ambientato in un passato ancestrale presso i luminosi territori montani delle Dolomiti, al confine tra l’Alto Adige e il Trentino, dai quali si raggiungono le porte di Venezia attraverso valli impervie.
Soffermiamoci brevemente sul ciclo dei Fanes, di certo la parte più avvincente del libro. Originariamente, i Fanes erano una popolazione pacifica che si rifugiava di frequente all’interno delle montagne per sfuggire agli assalti delle vicine popolazioni ostili, tanto da essere spesso chiamati per questo motivo “marmotte”. L’ultimo dei loro re è però di tutt’altra indole e, grazie ad una alleanza segreta con il sovrano degli uomini-aquila e alla sua abilità come guerriero, porta il proprio regno al massimo della sua estensione e del suo splendore. Ma, come spesso accade quando si sfida troppo la sorte e si vuole di più di quello che si ha, al periodo vittorioso in cui i nomi della principessa guerriera Dolasilla, del valoroso Ey de Net suo amato e del principe ed erede al trono Lindsanèl risuonano in tutte le vallate, ne segue uno meno fortunato e, con l’aiuto del potente stregone dalle sembianze di mulo putrefatto Spina de Mul, i nemici sembrano avere la meglio…
Uno degli aspetti più affascinanti del libro è sicuramente la mescolanza tra storia, geografia e mito. Sentire nominare e riconoscere durante la lettura località effettivamente esistenti, magari viste di persona, apprendendo anche la genesi dei loro nomi in un intreccio di storia e canzoni popolari, è senza dubbio intrigante e stimola la curiosità. Leggere per credere! In secondo luogo, è interessante notare come le caratteristiche di alcuni dei personaggi principali che popolano questi antichi racconti siano riscontrabili in larga misura nella produzione fantastica odierna, o siano invece conformi a grandi miti della nostra cultura. Grande spazio del ciclo dei Fanes è dato alle vicende della principessa guerriera Dolasilla, vestita di un’armatura incantata e infallibile con il suo arco dalle frecce d’argento. L’impronta è certamente riconducibile alla dea greca Artemide e con altrettanta certezza quella dell’eroina armata di arco è tra le immagini più utilizzate nella moderna narrativa fantastica.
Lidsanèl è, invece, il disperso discendente del principe dei Fanes di cui si attende il ritorno affinché riporti in auge il regno in declino. Il giovane in cui sono riposte tutte le speranze è un’altra tematica molto cara agli autori fantasy: come esempio su tutti è sufficiente ricordare che su di essa si basa l’intera saga di Guerre Stellari. Il fratello di Dolasilla, nato grazie all’alleanza con gli uomini-aquila e destinato a grandi imprese, scompare proprio nel momento di maggior bisogno per la sua casata per ricomparire sull’isola non ben identificata dimora degli uomini-aquila stessi, ma su cui è trattenuto con l’inganno dalla sua sposa che non vuole lasciarlo andare a compiere il suo destino tra i Fanes per paura di perderlo per sempre. In questo caso non può non tornarci in mente Ulisse trattenuto da Calipso sull’isola di Ogigia.
Lascio quindi a voi il compito di trovare altre analogie nel corso della lettura di questo libro che da una parte costituisce una piacevole e variegata lettura e un preziosissimo patrimonio letterario, vero e proprio legendarium delle popolazioni delle Dolomiti, che è esempio di come la conoscenza della memoria antica è imprescindibile nella ricostruzione della storia della tradizione del genere fantastico; e, d’altra parte, non di meno offre anche numerosi spunti di riflessione socio-culturale riguardo popolazioni e luoghi a noi vicini. Buona lettura, isolani!
– Michele Martinelli –