DISCLAIMER: Questa rubrica si propone di fare luce sulle origini delle creature magiche, mostruose e/o fantastiche che popolano, in maniera più o meno credibile, la nostra cultura (a proposito: si accettano suggerimenti e proposte dai lettori!). La lettura dell’articolo potrebbe intaccare seriamente l’alone di mistero che le circonda: Isola Illyon declina dunque ogni responsabilità per l’eventuale fine prematura della vostra infanzia.
Signore e signori, esploratori del fantasy, benvenuti alla Galleria dei mostri di Illyon! L’inaugurazione è fissata per oggi e voi siete – neanche a dirlo – ospiti d’onore. La nuova rubrica nasce con l’intenzione di approfondire le origini ed il retroterra culturale dei mostri di ogni genere e tipologia che infestano la nostra cultura: qual è il nucleo primigenio di leggende che ne plasmano la caratterizzazione? Quali sono, se possibile, i fatti storici o gli eventi naturali dai quali quelle leggende traggono origine? Perché l’esperienza insegna che, il più delle volte, dietro ai mostri ci sono solo persone.
Tutti noi in tenera età, abbiamo visto almeno una volta il lungometraggio animato ‘La Sirenetta’ (1989), nel quale la bella ma ingenua Ariel si innamora perdutamente del principe che ha salvato dalle acque e, dopo aver sventato i sotterfugi della perfida Ursula, la Strega del mare, riesce a realizzare il suo sogno e a vivere per sempre felice e contenta con il suo principe azzurro (tralasciando il dimenticabile sequel direct-to-video). L’omonima fiaba di Hans Christian Andersen, alla quale il film d’animazione si ispira, risale al 1836 ed è decisamente più cruda: la Sirenetta fa un patto con la Strega del mare per divenire umana, ma il prezzo da pagare è costituito dalla sua lingua, dall’impossibilità di tornare sirena e dal dolore di mille coltelli ogni volta che la povera aspirante umana camminerà sulla terra. Questa condizione diverrà permanente se il principe si innamorerà di lei (che fortuna!); se egli dovesse però sposare un’altra donna, la Sirenetta morirebbe all’istante, dissolvendosi nel mare e perdendo ogni speranza di vita eterna. Le cose vanno puntualmente così e, quando il principe annuncia le sue nozze con un’altra (la donna che lo ha trovato sulla spiaggia dopo il salvataggio da parte della Sirenetta), le sorelle della protagonista fanno un nuovo patto con la Strega del mare: in cambio dei capelli di tutte loro, ottengono un pugnale con il quale la Sirenetta dovrà uccidere il malcapitato principe, bagnando poi i piedi nel suo sangue per tornare ad essere una sirena… da capo a coda. La bontà un po’ puffosa della Sirenetta prevale, alla fine: lei rinuncia ad uccidere l’amato e si getta da una torre, divenendo una sorta di spirito protettivo, in vista dell’agognata trasformazione in anima immortale.
Sorelle calve e omicidi rituali a parte (qualcuno pensi ai bambini!), la fiaba di Andersen cristallizza la nostra concezione delle sirene: bellissime donne con la coda di pesce, dalla voce fatata e melodiosa. La Disney aggiungerà poi anche le conchiglie indossate a mo’ di reggiseno.
La verità che probabilmente vi stupirà, però, è che le sirene non hanno sempre avuto questa forma.
Il loro mito risale alla notte dei tempi, forse basato su avvistamenti fuggevoli di delfini, lamantini o altri mammiferi marini usi a comunicare per mezzo di vocalizzi; viene messo per iscritto per la prima volta nella trasposizione (VI secolo avanti Cristo) dell”Odissea’, poema epico attribuito ad Omero, che fino ad allora aveva circolato in forma orale nei canti degli aedi. Omero – o chi per lui – non descrive fisicamente le sirene che Ulisse incontra e che supera grazie allo stratagemma della cera nelle orecchie (degli altri marinai: lui no, ché voleva ascoltare), dando per scontato che il pubblico ne conoscesse le fattezze. Però ci dice che il loro canto attirava i marinai verso la loro isola, dimentichi di voti nuziali, amori familiari e della loro stessa conservazione, portandoli all’inevitabile morte.
Per lungo tempo le sirene sono state viste come creature ornitomorfe, non ittiomorfe: più simili a uccelli, insomma, che a pesci. E così le immaginavano gli antichi Greci, ai quali i cantori si rivolgevano. Certo, questa versione, filologicamente più fedele, è sicuramente meno sensuale di quella a cui siamo abituati, ma tant’è: sirenette come quella di Andersen nascono – come spesso accade in questi casi – da errori di traduzione trascinati per secoli, da diverse combinazioni di parti umane e animali diverse (sulle quali preferiamo sorvolare per non rovinare gli ultimi scampoli di dignità di queste creature) e dalla commistione delle sirene della mitologia classica con le ondine del folklore nordeuropeo.
Le ondine sono splendide creature acquatiche, spiriti d’acqua, ninfe di mare o di fiume, dagli occhi azzurri e dai capelli biondi, prive di un’anima e pertanto impossibilitate ad accedere al Paradiso, se non sposando un essere umano (questo è, appunto, il leitmotiv della fiaba di Andersen) e dandogli un figlio. Anche le ondine – indovinate un po’ – sono spesso raffigurate con una coda di pesce. Di quando in quando assumono una caratterizzazione maligna, attirano a sé marinai o viandanti con il loro canto e la loro bellezza scandinava, li uccidono o li schiavizzano. Una delle ondine più celebri è Lorelei, una ninfa che stava su una roccia lungo il corso del Reno e, con il suo canto, distraeva i pescatori, che finivano per essere trascinati via dalla corrente e morire affogati.
Quali che siano le loro origini – e a prescindere dall’aspetto che dovrebbero avere, ormai completamente conformato alla versione mainstream torso di donna-coda di pesce -, le storie sulle sirene e sulle loro cugine baltiche hanno sempre affascinato l’uomo, sia come personificazione della femme fatale, capace di sconvolgere il senno di chiunque col proprio aspetto e con la voce, sia nel senso più ampio, di metafora delle insidie rappresentante dal mondo sommerso (marino, fluviale, lacustre), del quale, ancora oggi, si è esplorata appena una percentuale infinitesima. Se l’ignoranza genera paura e la paura genera mostri, a distanza di più di tremila anni dall’ipotetico incontro tra Ulisse, legato all’albero della sua nave, e le sirene, siamo ancora troppo ignoranti di ciò che il mare cela nelle sue profondità. Il che può forse spiegare – ma di certo non giustifica – il recente ritorno di fiamma per le bufale sulle “sirene spiaggiate”, accompagnate da foto di attrezzi di scena di grosse produzioni hollywoodiane, spacciati ai creduloni di turno per i cadaveri di questi esseri mitologici, prova schiacciante della loro esistenza. Di sicuro alcuni mockumentary – narrazioni fantasiose montate con le tecniche del documentario – diffusi negli ultimi tempi non aiutano ad affrontare la questione in modo razionale, tanto da aver tratto in inganno anche qualche parlamentare. Diciamocelo: no, le sirene non esistono. Però forse, in fondo in fondo, ci piacerebbe se esistessero.
– Stefano Marras –