Le fiabe, diceva G. K. Chesterton, non servono certo a spiegare ai bambini che i draghi esistono: servono a spiegare loro che i draghi si possono sconfiggere. Medesimo discorso vale per i libri fantasy: certo, noi lettori adulti ben sappiamo che i draghi, come diceva Terry Pratchett, non sempre hanno le scaglie e la lingua biforcuta, anzi più probabilmente si limiteranno a darti uno spintone e provare a venderti un souvenir – il che, al massimo, concorre a classificare il nostro mondo come molto meno divertente dell’universo fantasy medio, ma tant’è –, e tuttavia le opere letterarie del nostro genere preferito ci ricordano esattamente questo. Si prende in mano un libro di fantascienza per immergersi in profonde riflessioni sul senso dell’etica della tecnologia e l’uccisione di insettoidi alieni con raggi gamma; ci si diletta con un buon romanzo giallo se si vogliono passare delle ore a far congetture su ogni singolo personaggio, interrogandosi circa alibi e motivi, salvo poi scoprire di aver sbagliato tutto (vantandosi ugualmente di aver scoperto l’assassino alla terza pagina); nei fantasy, invece, ci aspettiamo legittimamente che il nostro protagonista (prima di incontrare la propria sanguinosa e prematura dipartita – presumibilmente a un matrimonio) affronti con coraggio, onore, e una fighissima spada magica le orde di mostri e orrori che gli sbarrano la strada per il suo obiettivo: il Tesoro. Naturalmente, il Tesoro varia da libro a libro: a volte il protagonista si batte per la salvezza del mondo, a volte per la mano di una svestita principessa. A volte vuole essere il solo a sedersi sul Trono dei Troni, e a volte aspira solamente a un gran mucchio d’oro, ma c’è un dettaglio che non cambia mai: ogni Tesoro che si rispetti ha un suo Guardiano. Nel peggiore dei casi, il Guardiano è un drago.
Da Ercole a Sigfrido, da Bilbo Baggins a Christian Bale, sono millenni che campioni e guerrieri di ogni luogo ed epoca si battono senza timore contro i mostri che per il filosofo J. Chevalier rappresentano l’incarnazione delle potenze infere e demoniache, nonché l’archetipo del custode di tesori.
Ma da dove nasce l’apparentemente imperitura popolarità delle lucertole volanti sputafuoco? Beh, in primo luogo, essi riuniscono in un unico, scaglioso involucro alcuni elementi che non mancano di fare appello alla parte più primitiva di noi: sono dei super-predatori, anzi tendenzialmente i più terribili di sempre (è difficile in effetti immaginarsi una catena alimentare che ponga qualcosa al di sopra di un drago – a meno che non tiriamo in ballo Cthulhu, ma ehi, Cthulhu è una lega a parte). Rappresentano dunque quella stessa potenza rettiliana che da bambini ci portava a tormentare i nostri genitori per imbottirci le camerette di dinosauri di plastica e che un paio di settimane fa ci ha fatto ammassare nei cinema di fronte a Jurassic World (sebbene Chris e la sua squadra di raptor abbiano dato un contributo in quest’ultimo caso).
Non solo i draghi sono dei dinosauri più grandi, grossi e cattivi, ma sono creature magiche e possono volare: anche il più piccolo, sfigato drago occidentale tendenzialmente sa sputare fuoco (o qualche altro elemento altrettanto brutale). Essi travalicano dunque tutti i limiti umani, sia in senso fisico che biologico: non a caso, spesso il drago è anche immensamente longevo, talvolta letteralmente immortale. Sembra allora naturale che un essere talmente superiore a noi miseri mortali diventi la personificazione dei pericoli e delle difficoltà che possono costellare un’impresa, un viaggio iniziatico (tema ricorrente di tutte le fiabe e anche di buona parte dell’epica antica e moderna, dall’epopea di Gilgamesh alla Ruota del Tempo): la principale e più terribile delle potenze che sfuggono al controllo dell’uomo, che in Occidente sono lette in senso negativo e minaccioso (come nell’iconografia cristiana, che spesso rappresenta con un drago il Nemico per eccellenza, in Diavolo), ma che in estremo Oriente assurgono al rango divino e sono considerate degne di rispetto, ammirazione e adorazione.
Altra caratteristica peculiare dei draghi è la loro estrema diffusione e variabilità a livello antropologico come letterario. Ora, il fantasy moderno fa principalmente (ma non esclusivamente) riferimento alla concezione di drago di matrice europea e medievale: quella di creature coperte di scaglie e in grado di sputare fiamme, di grosse dimensioni e indole maligna (se intelligenti), o comunque distruttiva. Il livello di intelligenza medio è variabile, come pure il numero di arti, ma in generale il dono della parola rappresenta una novità introdotta da Tolkien per i draghi maggiori come Glaurung e Smaug. In ogni caso, si tratta sempre di creature immensamente potenti, certo, ma tutt’altro che invincibili: spesso e volentieri, infatti, è compito di qualche baldo paladino o cavaliere sconfiggerli approfittando dei loro punti deboli.
Discorso completamente diverso vale per i draghi orientali, noti anche come long (in Cina) o Ryuu (Giappone): estremamente vari sia per forma che per dimensione (i più piccoli sono grandi come locuste, i più grandi abbastanza da riempire la distanza tra cielo e terra), possono essere generalmente descritti come una via di mezzo tra un leone e un serpente (pensate a Falkor de “La Storia Infinita” di Ende). Si tratta di creature sagge e maestose, in alcuni casi vere e proprie divinità, il cui respiro, lungi dal portare distruzione, è detto sheng chi (essenza vitale). Tendenzialmente invincibili, sono anche dotati di immensi poteri magici che possono utilizzare a piacimento per tramutarsi in qualsiasi animale desiderino e per volare (raramente sono rappresentati con ali, che comunque sono piumate).
Già solo partendo dalle possibili iterazioni tra due concettualizzazioni tanto differenti si avrebbe spazio di manovra per centinaia di rappresentazioni diverse degli esponenti della razza draconica (che, tanto per ricordare, come categoria abbraccia qualsiasi cosa si collochi tra Deathwing dell’universo di World of Warcraft e Mushu di Mulan): questo senza nemmeno iniziare a considerare gli innumerevoli parenti minori della stessa. Le rappresentazioni più antiche (greco-romane e altomedievali) di draghi serpentini, spesso sprovvisti di ali o di più di un paio di arti, sono più esattamente definite wyrm (es. “La Guerra degli Dei” di John Gwynne), mentre altre bestie rettiliane o ibride come idre, basilischi, e coccatrici raramente trovano una collocazione al di fuori dei bestiari per giochi di ruolo (o i libri di Harry Potter).
Annosa questione è poi quella che riguarda la differenza tra draghi e viverne: quando sono compresenti nella stessa ambientazione, queste ultime sono descritte come le cuginette stupide dei primi, sprovviste di particolari facoltà intellettive e, talvolta, della capacità di sputare fuoco. Molti appassionati hanno adottato una regola (mutuata, in effetti, dall’araldica britannica) che tende a differenziare le due specie in base al numero di arti (quattro zampe per i draghi, due per le viverne), salvo poi vedersela mettere in discussione da opere come i film de “Lo Hobbit”, “Il Trono di Spade”, e “Skyrim”.
Catturare i draghi, tuttavia, non è facile: del resto, pretendere da parte nostra di racchiudere un argomento tanto vasto in una manciata di parole sarebbe folle come affrontare Vermithrax Pejorative armati di lancia e scudo (l’ultima volta che ci hanno provato, non è finita bene). Diteci voi cosa ne pensate: qual è la vostra incarnazione preferita della stirpe draconica? Il drago più bello, il più tosto, più folle nel quale vi siate imbattuti nella vostra carriera di appassionati? Non esitate a scrivercelo nei commenti qui sotto.
– Federico Brajda –