In questo momento, in me esistono due entità distinte. Da una parte alberga lo spirito critico che vuole analizzare con correttezza il colossal cinematografico appena visionato, dall’altra si dimena il mio Io bambino che serra tra le mani un T-rex gommoso a cui manca un tassello di carne all’altezza delle costole. Facciamo un passo indietro a circa quattro ore fa. Ero in coda al botteghino del cinema di fiducia. Un sentimento eterogeneo che ondeggiava tra palpabile preoccupazione e ottimistica speranza era insinuato fino alla parte più interna del mio corpo. Raggiungo lo sportello, chiedo il biglietto, pago il fio e poco dopo ricevo in cambio un talloncino di carta su cui macchie di inchiostro nero compongono la scritta “Jurassic World“.
Abbiamo discusso dei dettagli inerenti alla produzione di questo film in un passato articolo e, in quell’occasione, avevamo anche redatto un breve incipit estrapolato dai trailer che si sono diffusi in maniera quasi virale nei mesi passati. Se vi è capitato di intercettarli sulla rete o in una pausa pubblicitaria sul piccolo schermo, sappiate che in buona parte siete già a conoscenza della trama: un prodigioso bambino di nome Gary e il suo infoiatissimo fratello maggiore Zach vengono scaricati alla zia Claire, manager del ventennale parco Jurassic World, zoo preistorico sorto sulle macerie del parco originale di Isla Nublar. La donna, perfetto esempio di enfatizzazione della businesswoman, però non può dedicare ai ragazzi molto tempo, essendo troppo impegnata con incontri azionistici nei quali promette agli investitori una nuova attrazione capace di aumentare ulteriormente gli introiti. L'”attrazione” in questione è l’ormai celebre Indomitus Rex, un ricettacolo di DNA vari programmato per essere quanto di più pericoloso ci possa essere sul pianeta, il tutto coronato da un nome che gli stessi protagonisti trovano risibile. Nessuno dello staff, dal marketing alla sicurezza, fa notare quanto sia folle il progetto: solo il proprietario del parco, una volta trovatosi davanti al prodotto finito, inizia a sospettare conseguenze nefaste. Viene quindi interpellato Owen (interpretato da Chris Pratt), ammaestratore di velociraptor ed ex-marine, per avere un’opinione sul come perfezionare il sistema di contenimento che, ovviamente, cede giusto in tempo perché il protagonista possa essere coinvolto.
La presenza di un messaggio di fondo è al limite dell’esplicito. Se nell’opera spilberghiana si criticava il desiderio umano di dominare la natura attraverso una scienza sempre più onnipotente, qui è evidente la critica al deumanizzante controllo delle multinazionali. La rappresentazione esplicita di questa impostazione soffocante è sottolineata dalla protagonista, donna da pettinatura e abbigliamento impeccabili che, man mano, scenderà a compromessi con la realtà, divenendo maggiormente coinvolta con il mondo che la circonda. Per paura che la cosa risultasse troppo ambigua, la produzione ha fatto in modo che diversi personaggi esplicitassero la metafora tramite invettive dirette contro tutto ciò che rimanda a dominanza e ordine estremo. Il messaggio (non particolarmente originale, ma sempre valido) perde tuttavia buona parte del suo mordente una volta che ci si rende conto che ogni schermo hi-tech sia marchiato Samsung o che la direzione della fotografia sia completamente stravolta in modo che le telecamere possano rasentare il suolo ed evidenziare al meglio la moltitudine di loghi Mercedes che svettano senza pudore sulla maggior parte dei veicoli che non sono destinati a essere distrutti.
Alcuni protagonisti patiscono lo stesso destino di ambiguità, finendo con il risultare spesso delle macchiette schizofreniche e non del tutto coerenti. Capita dunque che il proprietario di Jurassic World si dilunghi su discorsi etici per poi gioire come un infante davanti a nefandezze contro natura, o che una truppa di soldati scelti decida di scendere in campo contro predatori alti decine di metri armandosi quasi esclusivamente di storditori elettrici incapaci di incapacitare anche le creature più piccole. Si tratta di sviste assolutamente minori, spesso limitate a scelte non del tutto verosimili che, tuttavia, balzano all’attenzione se affiancate alla vecchia squadra, capeggiata moralmente dal Malcom interpretata dal bizzarro Jeff Goldblum; per colmare a queste mancanze, la produzione ha puntato a testa bassa su riferimenti e ritorni nostalgici, sia nel campo del cast che in quello ben più interessante delle creature zoologico-preistoriche.
Figlio di un periodo cinematografico nel quale la digitalizzazione domina il mercato, anche Jurrasic World fa immenso uso della computer grafica. Questo dettaglio, che inizialmente mi aveva turbato, si è rivelato meno invadente di quanto credessi; grazie all’odierna tecnologia, le creature riescono a risultare perlomeno credibili, consentendo un’immersione sufficiente da potersi godere l’azione senza che l’occhio si lamenti dell’artificialità delle creature. Per quanto mi è dato sapere, l’uso di Animatronic viene ridotto solamente a una scena nella quale il regista, desiderando in tutti modi di evocare compassione e sentimenti vari, fa uso di una dettagliatissima testa meccanica che, tuttavia, stona non poco con i modelli e le animazioni viste fino a quel momento. Immolare dettagli e verosimiglianza ha portato a favorire un approccio maggiormente dinamico e fluido nei movimenti dei dinosauri, garantendo una leggerezza e un’energia mai visti: scene dinamiche e adrenaliniche non mancano, ma i nostalgici sentiranno la mancanza di quella tipica tensione che caratterizza le cadenze narrative meno serrate del primo film.
Jurassic Park è stato un capolavoro senza tempo divenuto capostipite di effetti cinematografici che all’epoca erano impensabili. Il sequel, Il Mondo Perduto, non ha saputo reggere il confronto, ma Jeff Goldblum e un finale degno di un disaster movie sono riusciti miracolosamente a salvare il lungometraggio dal destino di mediocrità che caratterizza tutti gli altri film in cui Vince Vaughn interpreta ruoli drammatici. Il terzo è riuscito ad affossare per anni un brand di blockbuster incentrati sui dinosauri, fallendo sotto ogni aspetto. Come si inserisce quest’ultima incarnazione del film creato da Spielberg e ispirato a un romanzo di Crichton? Sono io stesso sorpreso nell’ammettere che la serata al cinema sia stata un’esperienza decisamente meno sofferta di quanto credessi.
Il passaggio che più mi terrorizzava, l’ammansimento dei deinonico/velociraptor, è stato contestualizzato adeguatamente e con dignità, i richiami al passato non sono contraddittori e tutto sommato si rivela un decente film da pop-corn la cui principale “colpa” è trovarsi in tabellone nel periodo subito successivo a quel filmone che è stato il recente Mad Max (e che la nostra Elena ha recensito qui). Nonostante i pregi, Jurassic World è evidentemente un prodotto creato per produrre soldi, e non riesce in alcun modo a nascondere la sua vera natura. Le continue esposizioni esplicite si impongono violentemente sul pubblico in modo che anche i più disattenti riescano a comprendere i punti essenziali della vicenda, vengono introdotte molte sottotrame lasciate evidentemente aperte per futuri ritorni sul grande schermo e, complessivamente, si ha la sensazione che tutto il lungometraggio sia nato come atto onanistico di un fan che si è trovato a poter pubblicare una fan fiction il cui scopo originale era quello di fargli raggiungere il climax libidico nel momento in cui scriveva il finale della sua opera (finale che diverrà argomento di lunghe discussioni tra i nerd).
-Walter Ferri–
Recensione: Jurassic World
Isola Illyon
- Ci sono i dinosauri;
- il film è nato da persone che amavano Jurassic Park;
- il combattimento finale;
- Personaggi non sempre convincenti;
- Prodotto amato, ma si piega agli stessi handicap commerciali che critica;
- il combattimento finale;