Il fantasy nel corso degli anni, grazie specialmente alla letteratura, ai film e a Dungeons & Dragons, ha fossilizzato nella nostra immaginazione una creatura specifica che rappresentasse il drago. Al di fuori di tutti gli extra possibili, immaginando un drago a molti di noi verrebbe in mente una creatura a forma di lucertola, con scaglie imperforabili, due ali e quattro mastodontiche zampe: qualsiasi dragoide che esuli da questa forma di solito viene sempre sminuito, oppure “attaccato” da gran parte degli appassionati di fantasy. La verità è che, per assurdo, abbiamo perso la fantasia, e stiamo cercando di catalogare con sempre maggior precisione qualcosa che per cinque millenni abbondanti è stato più un concetto che una vera e propria creatura immaginabile.
Sorprenderà a molti sapere che fin dalle sue prime comparse nella mitologia, il drago non avesse le ali, e fosse semplicemente un gargantuesco serpente legato in qualche modo all’elemento dell’acqua. Soltanto dopo l’anno zero la temibile creatura è emersa da paludi, laghi, fiumi e mari, e ha cominciato a cambiare, secondo la fantasia dell’epoca e dell’artista che decidesse di ritrarla o descriverla.
La questione più discussa negli ultimi anni è quella legata alla figura della viverna, un essere di forma draconica ma privo di zampe anteriori – dotato di piccole zampe posizionate sulle ali – che sempre più spesso entra in contrasto con la figura del drago comunemente noto come tale. Volendo essere chiuso di mente, potrei dire che nelle rappresentazioni attuali degli artwork, al cinema e in televisione, non siano raffigurate né viverne né draghi. Ricordo, a prova di questo fatto, che la viverna non sputi fuoco e abbia la coda uncinata (spesso velenosa), oltre che un comportamento simile a quello di un gatto. Uno dei prodotti che ha martellato parecchio sulla differenza tra drago e viverna, anche in maniera un po’ ingenua, è la serie di Dark Souls, dove parte della lore è comprensibile proprio a partire dalla dicotomia qui discussa. La cosa buffa è che nel titolo che funge da prequel spirituale, Demon’s Souls, vengano rappresentati due draghi proprio con quattro arti.
Nell’ultima decade abbiamo visto diverse volte draghi raffigurati con solo quattro arti e, ogni volta, è sorta una polemica infinita che chiunque bazzichi in rete può rintracciare e continuare. Mi sono dunque posto una semplice domanda: perché si crea un drago con due zampe e due ali, e poi non lo si chiama viverna?
Rappresentare un drago con sei arti vorrebbe dire aumentare la sua maestosità, ma anche i costi per la sua realizzazione e animazione, costringendo a ricalcolare gli spazi circostanti (specie quelli chiusi) e i movimenti degli altri personaggi in funzione della gigantesca creatura. Per citare un esempio, immaginate Smaug che si muove sinuoso dentro Erebor, e ora immaginatelo con sei arti, con le ali notevolmente arretrate rispetto alla testa e l’impossibilità di volare senza prima spiccare un bel salto. Avrebbe dato la stessa sensazione? Io ne dubito. Su questo tema è intervenuto anche George R.R. Martin, che attraverso il suo blog ha fatto presente che, ovviamente, nella realtà non esistono draghi ai quali ispirarsi, ma che invece esistono pipistrelli, uccelli e un tempo pterodattili a mostrarci come la natura prediliga, per le creature in grado di volare, due zampe e due ali. Si possono dunque vedere queste rappresentazioni a quattro arti come un tentativo di snellire i costi e “naturalizzare” i draghi senza far perdere loro l’identità che li contraddistingue.
Il secondo punto è molto più facile da intuire. Il termine drago nell’immaginario collettivo ha un peso diverso rispetto a viverna, ed è molto più conosciuto, incutendo più timore e rispetto nei confronti della creatura. Al cinema soltanto un centesimo degli spettatori comprenderebbe qualcosa a sentir parlare di viverne, e sicuramente la sceneggiatura risulterebbe meno d’impatto. Per la cultura occidentale il termine drago ha connotati magico-religiosi dunque difficilmente si potrebbe sostituire con facilità in un testo.
Possiamo tuttavia concordare che non sia il numero di arti, di teste o di code a fare di un drago quello che è, ma tutto il significato che la sua presenza si porta dietro. Dovremmo tutti quanti essere più fantasiosi e permettere a noi stessi di essere ogni volta stupiti dalla rappresentazione di uno degli avversari per eccellenza del fantasy. Non servono quattro zampe, ali da pipistrello e scaglie rosse per dare una sensazione di maestosità e potenza. Chiediamoci invece se la stazza, la postura, il soffio o il ruggito del drago in questione riescano ad intimorirci. Il fantasy e tutto quello che lo attraversa dovrebbe essere libero di esprimere la visione dell’autore e non essere un luogo di regole e bacchettoni.
–Simone Maccapani–
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