Sono passati diversi anni da che gli scienziati sono riusciti a convincere l’opportunisticamente ottuso mondo industriale dei pericoli derivanti dall’aumento indiscriminato degli idrofluorocarburi nell’atmosfera: il volgarmente detto “buco dell’ozono” ha influito attivamente ad alterare il clima del nostro pianeta e i dotti erano pronti a ipotizzare la fine della civiltà per come la conosciamo qualora le nazioni si fossero ostinate a mantenere ritmi serrati di inquinamento. Non sorprende, quindi, che la recente notizia riguardante il progressivo risolversi della situazione abbia destato clamore nel mondo accademico; i più festeggiano proclamando che il giorno del giudizio sia stato debellato, altri, cautamente, suggeriscono che le nostre azioni stiano comunque condannato il nostro destino e che la fine sia stata solamente rimandata a data da definirsi. Sempre in questi giorni siamo stati invasi da una miriade di trailer sponsorizzanti nuovi lungometraggi hollywoodiani, ma tra un Jurassic World e l’ennesimo Star Wars, solo uno focalizza le sue energie sull’inevitabilità della distruzione del mondo. Stiamo ovviamente parlando dell’ultimo Terminator, storica saga fantascientifica che, per quanto poco impegnativa se paragonata ai capostipiti del genere quali Dick e Asimov, ha saputo conquistare i nostri cuori con tre decenni di avventure esplosive accompagnate da mondi distopici e apocalittici. Approfittando dell’occasione abbiamo deciso di rivedere e rivivere le esperienze regalateci da questa epica epopea, iniziando prevedibilmente il nostro viaggio dal primo film, capostipite della serie sia per quanto concerne l’ordine cronologico che quello narrativo.
Nel lontano 2029 l’intelligenza artificiale nota come SkyNet ha oramai preso coscienza della propria esistenza, finendo col decidere di annichilire l’umanità con una serie di bombe atomiche e innumerevoli robot assassini i cui freddi artigli serrano armi devastanti. I pochi superstiti, ormai ridotti a vivere come animali, resistono come possono all’olocausto, guidati dall’indomabile leader John Connor. Impossibilitate a debellare il campione ribelle, le macchine decidono di adottare un approccio alternativo inviando nel passato un agente il cui compito è eliminarne la madre dell’eroe e impedirne la nascita. Nel maggio del 1984 un serial killer inizia così a diffondere terrore per le strade di Los Angeles terminando una serie di vittime il cui unico punto in comune è quello di chiamarsi Sarah Connor; inconsapevole dell’aspetto estetico della donna, infatti, la creatura meccanica è obbligata a stroncare tutti gli esempi di omonimia presenti sull’elenco telefonico, perdendo abbastanza tempo da consentire alla Sarah corretta di imbattersi in Kyle Reese, un membro della resistenza inviato dal futuro per ostacolare i sordidi piani del mastodontico antagonista. Armati solamente di equipaggiamenti obsoleti e fiaccati dall’incredulità di lei, i due protagonisti si trovano a dover affrontare un mostro al limite dell’indistruttibile il cui scopo esistenziale è portare a compimento i propri ordini.
Terminator non era stato progettato per divenire un grande film: distribuito dalla Orion Pictures, era stato pensato come una pellicola da pochi soldi che andasse ad ammaliare i fanatici delle esplosioni in modo che, indirettamente, il loro denaro potesse finanziare progetti più virtuosi quali il classico Amadeus o il melanconico Platoon; il visionario e (allora) sconosciuto James Cameron, fortemente influenzato dalla sua passione per il telefilm Oltre i limiti, aveva redatto e venduto per un solo dollaro lo script scritto di suo stesso pugno, offrendosi di filmarlo di persona con un cast altrettanto ignoto e che a malapena era in grado di sillabare le proprie battute in inglese. Forte del supporto della produttrice Gale Anne Hurd (che diverrà sua moglie), Cameron riuscì a mantenere un grande controllo del progetto, al punto di riuscire a opporsi attivamente ai dictat imposti dalla distribuzione quali il selezionare O.J.Simpson come principale avversario; lo sportivo, ritenuto eccessivamente a modo, non ha avuto possibilità contro la teutonica possanza dell’imponente Arnold Schwarzenegger, individuo dal physique du róle tanto incisivo da convincere lo staff a posticipare le riprese pur di consentirgli di terminare le riprese di Conan e poter partecipare al progetto.
Come lo stesso regista ammise al body builder austriaco, il film risulta incentrato in buona parte sulla nemesi cibernetica e il casting dei due protagonisti si è pertanto svolto con meno enfasi e minori aspettative. Nella parte di Kyle Reese fu chiamato Michael Biehn, un disperato attore inizialmente scartato a causa del forte accento del Mississipi che aveva sviluppato nella speranza – infranta – di farsi scritturare una versione teatrale del La gatta sul tetto che scotta, e nei panni di Sarah Connor la determinata Linda Hamilton (altra futura moglie di Cameron), la quale fu costretta a recitare quasi tutte le scene flagellata da una caviglia rotta in via di guarigione. L’intervento di James si estese anche nel reparto effetti speciali, reparto in cui seppe giostrare al meglio le semplicistiche protesi disponibili per le sue tasche, riuscendo a mascherare nubi di insetticida per nebbia scenografica e dilettandosi in scene stop-motion nelle quali si subisce la sua inesperienza e che oggi sembrano quantomai datate. Come controprova del suo approccio da neofita, bisogna menzionare come la dose significativa di libertà non sempre sia stata incanalata verso scelte corrette: un esempio celebre è stata quella di adoperare per le scene un modello di robot composto effettivamente di acciaio, complicandone esponenzialmente la maneggevolezza e l’utilità.
Nonostante le cupe premesse e il velato ostracismo della Orion Picture, che si era rifiutata di reclamizzare degnamente il proprio prodotto, il film ha riscosso un successo notevole, colpendo sia critica che spettatori con un’avventura tra lo sci-fi e lo slasher movie. Gli incassi non raggiunsero mai gli standard di altri blockbuster dell’epoca (Ghostbusters e Indiana Jones in primis), ma il sorprendente impatto positivo fu in grado di dare definitivo slancio alle carriere sia di Cameron che di Schwarzenegger, ormai astri consolidati del panorama cinematografico statunitense. Con la fama, ovviamente, giunsero anche alcune grane, soprattutto da parte di Harlan Ellison – autore del sopramenzionato Oltre i limiti –, il quale disapprovava le evidenti similitudini coi suoi lavori ed e riuscì ad aggiudicarsi una discreta somma di denaro grazie ai riferimenti estetici fin troppo espliciti nel dipingere il decadente mondo post-giorno-del-giudizio di Terminator. Questi problemi non fiaccarono l’animo di Cameron, ma una parte di lui non riusciva a superare il fatto di aver dovuto scartare un’idea a causa delle impossibilità tecnologiche dell’epoca; non riusciva a somatizzare l’aver rinunciato al rappresentare un androide composto di metallo liquido, ma per quello avrebbe avuto tempo.
-Walter Ferri-