A volte mi chiedo se determinate produzioni dovrebbero essere considerate il peggior B-movie mai partorito dalla mente umana, o il più geniale dei film d’azione “spacchiamo le chiappe agli alieni”. In genere la risposta non è facile, ma nel caso specifico di Cowboys&Aliens mi è sufficiente ricordare che quella sera di anni fa, una sera dedicata a del sano cineforum, il film che ha seguito C&A è stato Priest. Allora tutto si fa chiaro: Priest è un B-movie che merita l’oblio, C&A è oro.
Davanti ad una cosa così (parlo di cosa, perché inizialmente non si ha il coraggio di definirlo un film) è normale essere molto incerti.
Mi ricordo che quando ho visto il trailer in tv sono scoppiata a ridere. Cioè, cowboy che combattono alieni? Quanto può essere idiota una cosa del genere? Ho giurato di non andare al cinema a vederlo, sebbene io sia una appassionata di fantascienza e anche di B-movie. Però, quando poi sono irrotta in casa della regia con quel film, non potevamo più dire di no, anche perché a me non si può togliere il western e a lei non si può precludere la fantascienza. Alla fine, il film ci accontentava entrambe. La padrona di casa è stata soddisfatta dalla presenza degli occhi di Daniel Craig e io da un entusiasmante Harrison Ford in aria di un Indiana Jones più oscuro.
I primi dieci minuti di film sono ottimi, coronati da un artefatto pericoloso assicurato al polso di un Craig appena ripresosi da… da che? Non lo sappiamo, nessuno te lo dice nei primi dieci minuti e l’informazione te la devi sudare. Per fortuna il film non è lento e soprattutto è condito da parecchie scene d’azione, di cui la più memorabile è una cavalcata contro le truppe aliene. Aggiungiamo anche che la fine è tutt’altro che buonista e il sacrificio di Ella, “l’aliena buona”, ricorda un po’ quello di Duddits, “l’alieno buono” dell’Acchiappasogni, il film tratto dalla novella di Stephen King.
Nel complesso, Cowboys&Aliens è incredibilmente geniale e inaspettatamente valido: unisce due generi che nelle menti di chiunque fanno a cazzotti, quando mai si è sentito di western e fantascienza maritati? Non che non ci siano produzioni sul genere. Per esempio c’è Wild Wild West, poco sci-fi, ma tanto steampunk. E come dimenticare Vampire Hunter D (manga, anime e romanzo), che però è futurista e non contemporaneo. O Steel Ball Run, la settima serie della folle saga de Le bizzarre avventure di JoJo. Lo stesso Priest sopra citato rispecchia atmosfere miste fra il western e la fantascienza, ma anche in questo caso è ambientato nel futuro. Senza contare che una sceneggiatura lenta e pregna di stupidi errori lo fanno cadere nella polvere al primo colpo di Calamity Jane, facendo vergognare il manwa (fumetto coreano), che invece è un buon prodotto.
C&A è western in senso stretto: è ambientato nel periodo del Far West. Ciò potrebbe peggiorare la sua situazione: non è neppure futurista e pretende di avere a che fare con alieni? Invece, proprio il voler mantenere la giusta ambientazione e dare egual peso sia al western che allo sci-fi, rende la miscela divertente e del tutto vincente. Gli alieni non cavalcano i cavalli con in testa cappelli da cowboy. I cowboy, a parte il protagonista (ma c’è la spiegazione), non hanno armi al plasma. Le fazioni si scontrano in base alle loro possibilità.
La compagnia di umani è stereotipata, da questo punto di vista non si può parlare di una forte caratterizzazione dei personaggi, ma è sufficiente l’accenno dei loro tratti a farci tornare in mente tutte le loro controparti western: il protagonista bello e tenebroso, il vecchio allevatore di bestiame brontolone e spietato, lo sceriffo burbero e dal cuore d’oro, gli amici sempre alticci (un buon modo per non pensare agli alieni), il bambino e il cane che fanno da mascotte, la bella coraggiosa. Coraggiosa, e assolutamente imprevedibile.
E poi ci sono anche gli indiani. Potevano mancare? No. Tuttavia non è più il tempo degli indiani contro i cowboy, non è più politically correct. I produttori lo sapevano e giustamente hanno reso gli indiani non temibili nemici, non povere tribù cui le terre sono state sottratte a forza, ma saggi custodi delle memorie, davanti ai cui fuochi ogni cosa viene spiegata.
Per concludere questa descrizione, vi invito a pensarci bene: davvero western e sci-fi non hanno niente da spartire? Sì? Allora non avete colto un fondamentale dettaglio. Momento quiz: come si aprivano tutte le puntate di Star Trek? Lo riporto per intero, tanto sono sicura che non vi annoierà: “Space, the final frontier. These are the voyages of the starship Enterprise. It’s continuing mission,to explore strange new worlds, to seek out new life and new civilizations. To boldly go where no man has gone before!”
Spazio, l’ultima frontiera. Esattamente come il Far West era l’ultima frontiera della civiltà. Così come le navi stellari vanno oltre le frontiere dello spazio noto, i protagonisti del western, scaltri fuorilegge o affascinanti cacciatori di taglie, si spingono oltre le polverose città, in terre selvagge e sconosciute. Quale punto di contatto più grande di questo? Certo, insufficiente a evitare lo straniamento davanti a C&A, però utile a farci capire quale lavoro di ricerca possa esserci alle spalle di un prodotto di questo tipo.
A questo punto, riempiamo la carta d’identità del film.
C&A è stato diretto da Jon Favreau (che ha all’attivo anche Iron Man) ed è uscito nelle sale nel 2011, dopo una gestazione di ben quattordici anni. Infatti, il progetto originario è del 1997! È in quell’anno che Universal Pictures e DreamWorks Pictures acquistano i diritti dell’idea di Scott Mitchel Rosenberg. Il regista, Favreau, è stato scritturato nel 2009 e non avrebbe potuto esserci scelta migliore, visto che si è imposto sullo studio cinematografico per girare il film come un classico western, innanzitutto in 2D – sì, cercavano di convincerlo a girarlo in 3D – e ancor più importante in formato widescreen, cioè con immagine a 35mm, quella che veniva usata per i western. Il classico CinemaScope, forse lo conoscete così. Questo, ovviamente, ha richiesto l’uso di lenti anamorfiche per riportare l’immagine alle sue giuste proporzioni e togliere le due bande nere in alto e in basso – che, se fino agli anni ’80 potevano essere sopportabili, ormai sono demodé.
L’incasso non è stato eccellente, è stato appena superiore ai 163milioni di budget, segno che per quanto C&A non sia stato un flop, non è piaciuto granché. Non me ne stupisco, comunque: le vere stranezze hanno sempre un mercato molto di nicchia.
Riallacciandomi ad un discorso di recente affrontato con Antonio Serra, il papà di Nathan Never, e con Mauro Uzzeo, lo sceneggiatore di Ringo, facciamoci la domanda cruciale: C&A è una produzione nuova? L’idea è originale?
Rispondo premettendo che nelle mie parole non c’è la minima intenzione di fare critica negativa. Però no, l’idea non è pensata per il film, non è nuova. Infatti, C&A è una graphic novel, prima di essere un film.
L’idea generale è stata partorita da Rosenberg nel 1997, è stata registrata, ma non è stata subito resa come film per mancanza di dettagli e, per lo stesso motivo, non ha avuto un’immediata trasposizione a graphic novel. È solo attorno al 2000 che Rosenberg assolda un gruppo di sceneggiatori e disegnatori per creare Cowboys&Aliens, che vede la luce soltanto nel 2006 come fumetto edito dalla Platinum Studios Comics. Il fumetto ha avuto un seguito come webcomic. Potete trovare il prequel della prima stagione (quelli che hanno ispirato il film) a questo link, e il sequel a quest’altro. Se foste curiosi di sapere cosa c’è nel mezzo e conoscere la storia vera e propria, sappiate che il fumetto della Platinum non è inedito in Italia: è stato pubblicato da Rizzoli Lizard al tutt’altro che modico costo di 16 euro per un centinaio di pagine a colori.
A conferma della difficoltà ad ottenere un’idea nuova anche mescolando cowboy e alieni, nel 2011, appena dopo l’uscita del film, un certo Steven John Busti ha querelato gli interessati, e lo stesso Rosenberg, affermando di aver scritto un suo “cowboys & aliens” comparso nel 1995 fra le pagine del primo numero di Bizarre Fantasy e in un numero di Comic Shop News. Buffo, vero?
E da ultimo, la regia mi rompe sempre le scatole per andare a vedere quale critica ha ricevuto il film, a prescindere da cosa ne pensiamo noi. Fino a poco fa le avrei tirato una disintegrazione liscia liscia, ma questa volta ho capito l’utilità del viaggiare fra stelline e voti.
Ho concluso una cosa: sono confusa. Alcuni (come MyMovies, che ha un po’ la puzza sotto al naso) hanno tessuto le lodi di Cowboys&Aliens, altri invece hanno preso il film a badilate, senza speranza di remissione del suo peccato più grande: la commistione di generi. In molti portali, la critica ufficiale e quella degli spettatori sono agli antipodi e, anzi, ho la sensazione che, al di là del punteggio sempre mediocre, i critici siano stati più interessati rispetto al pubblico. In Italia si è verificata una rarità: C&A ha trovato più apprezzamento fra la critica che fra il pubblico, mentre in genere succede il contrario. Recepiamo i film d’azione in modo esaltato e la critica, poverina, si trova a dare voti bassini (a ragione) ricevendo pomodori e rappresaglie. Questa volta siamo davanti ad un film d’azione che la critica ha apprezzato come studio dei generi, come messaggio (la solita unione che fa la forza), ma che lo spettatore medio ha trovato incomprensibile, vacillante e soporifero.
La verità, quella che io credo essere tale, è che i giovani, attratti dalla componente sci-fi, si sono trovati davanti delle tempistiche leggermente diluite (da film western) e dei cliché forse troppo stereotipati. Per contro, i più attempati, quelli che sono cresciuti con gli spaghetti western, erano attratti dai cowboy, da Harrison Ford, dal Far West in generale, ma si sono trovati a dover fare i conti con gli extraterrestri. I quali sicuramente hanno indotto tantissimi a snobbare C&A. Da qui incassi mediocri e critica acida (peggio della mia quando ho la luna storta!).
Inoltre, molti accusano il film di intrattenere, ma non di far divertire, di non avere autoironia. Mi perdonerete, ma in un western che si rispetti l’ironia non c’è, viene sostituita e soverchiata dal cinismo, che è giustamente presente in C&A. Mancava solo la barella trascinata dal cavallo o il gunslinger nella bara, e poi c’era davvero tutto di un classico western.
Qualcuno rinfaccia agli alieni di C&A di non avere un vero motivo per essere sulla Terra, ma la stessa cosa accade in un’infinità di film sci-fi di qualsiasi livello, da quelli di serie A fino a quelli di serie Y (la Z spetta solo agli zombie). Si torna alle origini, ai terrestri che combattono minacce sconosciute. E non mi si dica che gli alieni non hanno motivo di esser sulla Terra: vogliono l’oro, in un’ambientazione western! Come fossero l’ultimo e più affamato dei cercatori del Klondike.
Un altro cliché direte voi. Certo, dico io, e aggiungo che non si può fare altrimenti. Nessun genere è scevro dai cliché, nessuna opera (sia un film, un libro, un fumetto, un videogioco, una canzone) può più fare a meno di citare qualcosa d’altro, perché nel 2014 le nuove opzioni sono solo reinterpretazioni.
– Elena Torretta –
Cowboys & Aliens: raggi laser & Winchester
Isola Illyon
+È un fantawestern: il misto di generi ha sempre la sua attrattiva e in questo caso viene presentato al meglio
+Buona regia, fotografia, sceneggiatura, recitazione, CG: non che sia raro in un film americano, ma è sempre apprezzabile avere delle certezze confermate
+Ambientazioni (Far West e nave madre degli Stranieri) veramente perfette e studiate in ogni loro parte
+Un Harrison Ford perfetto: certo, non si promuove un film solo per questo, ma è un buon valore aggiunto
-È un fantawestern: il misto di generi può urtare e di certo il primo impatto è un trauma seguito dall'ilarità più sfrenata
-L'azione non è in tutti i 135 minuti di film e non importa se poi ci sono scene epiche: per chi non è avvezzo alle tempistiche dei western questa scelta si fa sentire in negativo
-Ci si aspetta lo stupido divertimento di alieni che usano cowboy come clave, ma questa componente viene ignorata a favore della serietà del genere western