Alle volte la fama e le aspettative prendono la forma di pesanti catene che avvinghiano la propria preda con fare soffocante limitandone ogni forma di libertà e impedendo la fuga. Nel 2004 il mangaka Hiroiko Araki si trovava davanti a un dilemma riguardante il suo futuro professionale: dopo aver concluso la sua più nota saga con un finale dolce-amaro, come si sarebbe potuto reinventare? Cosa gli avrebbe consentito di esplorare nuove idee senza perdere strada facendo i suoi fan? La soluzione immediata – e forse affrettata – fu quella di forgiare un nuovo mondo, tornare a periodi distanti e sondare inedite avventure che ammiccassero apertamente alle sue precedenti creazioni. Il celebre autore si è insomma assicurato la fedeltà dei lettori grazie a tecniche degne di escort d’alto borgo, ma non bisogna lasciarsi intimorire da questo primo approccio – comprensibile a livello umano sebbene rozzo ai fini concreti – e valutare con mentalità aperta questo suo nuovo lavoro… perché si tratta di un nuovo lavoro, vero?
Per poter comprendere la situazione risulta necessario fare un passo indietro e prendere in considerazione la storia editoriale del fumetto. A seguito dei primi 23 capitoli, infatti, la nipponica editrice Shueisha decise di trasferire Steel Ball Run (detto SBR) dalla rivista Weekly Shonen Jump alla più matura Ultra Jump. Potremmo tediarvi dilungandoci sulla distinzione tra shonen e seinen, ma si tratta di un argomento irrilevante alla questione che fiacca le nostre energie al timore di quali belve si scatenerebbero qualora non fornissimo una descrizione inattaccabile; vi basti sapere che questo evento ha influito fortemente sulla progettazione e produzione del manga, spingendoci a studiare l’opera quale fosse spezzata in due parti, prendendo atto della scissione che ne ha segnato lo svolgimento.
Nato come “universo alternativo e indipendente”, Steel Ball Run si sveste completamente della nomea de Le bizzarre avventure di JoJo, prendendo le distanze dalla saga decennale e reinventandosi come western occidentale caratterizzato da improbabili personaggi dotati di ancor più inverosimili abilità. È il 1890 e il filantropo Stephen Steel ha deciso di indire una gara di resistenza in onore dello spirito pionieristico americano, auspicandosi di mettere alla prova la perseveranza dei partecipanti con un’attraversata coast-to-coast del continente degna de La corsa più pazza d’America. Uno dei pittoreschi corridori è J.Lo Zeppeli, un giovane rampollo proveniente dal Regno di Neapolis; pur essendo un ottimo cavallerizzo, la sua peculiarità più evidente è la maestria nell’uso di due sfere d’acciaio che, una volta impresse con la giusta rotazione, fungono sia da arma che da attrezzo multifunzione. È proprio il potere nascosto nei segreti di questo movimento a incuriosire l’ex-fantino Johnny Joestar, il quale deciderà di affiancarsi al napoletano pur di apprendere quest’arte mistica – chiamata fantasiosamente “rotazione” –, nella speranza di poter guarire da una ferita che lo ha privato dell’uso delle gambe.
Questo ambiente americano, lo avrete già intuito, risulta contemporaneamente alieno e conosciuto. I riferimenti alle origini risultano cristallini, rispolverando nomi e concetti ormai sepolti dalle polveri degli anni; certo il tempo cambia il volto delle cose e sono ovvie alcune modifiche, prima tra tutte la reinvenzione dell’arte concentrica sotto forma di giramento di palle metalliche. Allo stesso tempo risulta rinfrescante vedere un approccio alternativo a vicende che ormai risultavano stagnanti. La famiglia Joestar finisce in secondo piano, mentre gli sventurati Zeppeli riescono finalmente a sfogare il loro carisma a tratti puerile, ma di sicuro intrattenimento. J.Lo e Jojo, pur condividendo dei tratti coi protagonisti di Phantom Blood e Battle Tendency, riescono a porsi in maniera originale e briosa, divenendo ottimi compagni di viaggio per un lettore che deve essere introdotto alle meccaniche a graduatoria della gara; questi regolamenti ferrei e matematici risultano essere parzialmente meccanici e macchinosi, tuttavia riescono a stravolgere quanto basta l’alchimia collaudata della narrazione arakiana, dettando nuovi canoni che si allontanano sensibilmente dal solito obiettivo di trovare e massacrare di botte il super-cattivo di turno.
In pochi volumetti il 23esimo capitolo è raggiunto, il passaggio di testimone da una rivista all’altra mette in atto la rivoluzione. Gli stand, che erano stati in buona parte rimossi, vengono reintrodotti in grande stile tramite ogni espediente possibile o immaginabile. Nel periodo immediatamente precedente al cambio di testata, infatti, i corridori avevano attraversato un’inquietante zona desertica semovente definita con il pittoresco appellativo di “palmo del diavolo”. Questo imprevedibile e temibile luogo è in grado di fornire grandi poteri agli incauti che lo attraversano (mimando da vicino il funzionamento delle punte di freccia), ma questo pretesto diviene velocemente incongruente o insoddisfacente, forzando un nuovo escamotage che giustifichi la presenza dei fantasmi di hamon e che introduca i pezzi mummificati di una sacra reliquia che diverranno il fulcro della vicenda.
Con il procedere della trama viene rivelato come la Steel Ball Run – è la gara a prestare il titolo al manga – sia stata organizzata per espresso ordine del presidente degli Stati Uniti con l’intento di trovare un pretesto per recuperare i reperti che, una volta riuniti, gli concederanno una benedizione sovrannaturale capace di far avverare i suoi sogni nazionalisti. Sebbene il piano sia fragile e nonsense, ometteremo ogni commento per concentrarci sul come questa evoluzione ripristini la stucchevole formula del malvagio con l’ego di dimensioni enormi spalleggiato da un plotone di fedelissimi assassini. I protagonisti subiscono un equivalente cambio di rotta, con uno Zeppeli che pare non essere stato aggiornato completamente della variazione di copione, confidando ancora nell’importanza dell’evento agonistico mentre il mondo intorno punta ormai al potere illimitato trattando la competizione equestre come un fattore di secondo piano. JoJo viene promosso a personaggio principale, annichilendo i tentativi originari di svernare la serie, quindi si torna a dare importanza ai duelli diretti e l’avventura si dilunga con fare singhiozzante.
Non tutto è involuto per emulare le più classiche Bizzarre Avventure; gli stand, in particolare, non si allineano mai a quelli visti in Stardust Crusaders (tralasciando un paio di eccezioni sul terminare della vicenda), ma sono più delle emanazioni generiche che concedono al loro ospite poteri straordinari utilizzabili indipendentemente dalla presenza della loro rappresentazione immaginifica. A ben vedere questi fantasmi esulano da tutte le linee guida proposte nei decenni, ma per notarlo bisogna essere esperti nel campo della storia jojonesca e chi vanta un tale “talento” tende a rimuovere SBR dalla propria memoria, dimenticandone completamente l’esistenza. Più evidente è l’evoluzione stilistica avvenuta con il passaggio a seinen, per la quale Araki ha preferito proporre un disegno più dettagliato e maturo, in contrapposizione ai tratti quasi impressionistici con i quali aveva aperto il manga. A questo punto il disegno risulta essere meno sperimentale e più comprensibile, stabilizzandosi su di uno tratto simile a quanto visto in Vento Aureo, ma perfezionandone i dettagli.
Steel Ball Run è un ingrato figlio bastardizzato da scelte editoriali che hanno rovinato il potenziale interessante mostrato nelle prime pagine; come capitato per altri fumetti (vedi Naruto), trascorre buona parte dell’antefatto a dettare un dogma che in seguito si rifiuta di seguire, facendo scaturire un’atmosfera inconsistente e frustrante. L’unico motivo per cui i fan accaniti si sono astenuti dall’abbandonare la lettura a metà corso è un cammeo incisivo posto all’apice del climax, un’esca immancabile che l’autore ha ordito sacrificando una buona fetta della sua dignità; d’altro canto SBR, non avendo legami solidi con i capitoli precedenti, risulta essere un ottimo punto di inizio per i nuovi lettori, sebbene sia raccomandabile piuttosto rispolverare le vecchie storie o saltare direttamente a quelle nuove di JoJolion. Detto questo, è doveroso specificare non si tratti di un manga orribile, vi sono diverse persone che hanno saputo apprezzarlo nonostante le pecche, ma Araki aveva abituato i suoi fedeli a standard ben più alti e con Steel Ball Run ha toccato le profondità della saga, “scadendo” nella mediocrità diffusa nella maggior parte dei media dedicati ai giovani.
-Walter Ferri-