Ricordo un episodio di Family Guy – I Griffin, in Italia – in cui uno Stephen King a corto di idee si inventa un sedicente racconto horror ispirato dalla lampada appoggiata sulla scrivania del suo editore. Si tratta di una satira pungente verso l’autore che è arrivato persino a scrivere di una macchina da lavanderia maledetta, ma canzona in generale tutti quegli individui famosi che imbrattano la carta con idee strampalate pur di portarsi in banca degli assegni polposi. Ora immaginatevi cosa potrebbe scaturire dalla mente di un autore che, notando un muretto costeggiante la strada rurale che sta percorrendo, decidesse di scrivere un libro dal brillante titolo “Muro”. Ebbene vi risparmio lo sforzo, poiché Stardust di Neil Gaiman è nato proprio a questo modo!
Il villaggio di Muro è un normalissimo e noioso villaggio nel mezzo della campagna britannica. I suoi abitanti vestono rozzi indumenti di lana battuta, è presente un solo negozio che ha a disposizione solo i generi di prima necessità e l’unica possibilità di svago è l’annegare i pensieri nella birra artigianale del pub di quartiere. Guardando con più attenzione, tuttavia, si può scorgere in lontananza il rudere di un arcaico muro che percorre il confine del bosco e che secoli addietro dette il nome alla cittadina. Sebbene si tratti di una costruzione antica, le pietre hanno retto egregiamente al logorio del tempo e non si è verificato altro se non un piccolo crollo, il quale ha aperto un varco che sarebbe facilmente attraversabile se non fosse perennemente guardato da due volontari armati di lunghi bastoni. Il transito attraverso la breccia è consentito esclusivamente ogni nove anni, in occasione del passaggio di un mercato itinerante che getta le tende nel sottobosco e allieta i curiosi con visioni fantastiche.
In quei pochi giorni il paese si colora di mille volti bizzarri e si riempie di altrettanti fragranti odori. Le camere messe a disposizione dalla taverna vengono occupate immediatamente e gli individui più particolari si mettono a contrattare con gli indigeni per ricevere ospitalità, pronti a pagare manciate di pietre preziose anche la più umile sistemazione. Proprio in una di queste occasioni, Dunstan Thorn decide di allontanarsi dai poderi paterni alla ricerca di ninnoli esotici di cui far dono alla sua amata. Ammaliato da quel mondo nuovo, il ragazzo si trova quasi inconsapevolmente innanzi a una bancarella appartata sui quali scaffali figurano miriadi di fiori di vetro. Più che dai fiori, però, la sua attenzione viene catturata dalla bellezza mozzafiato della donna che è in piedi dalla parte opposta del bancone: la sua pelle ambrata è accarezzata da una fine catena argentea, gli occhi vividi risplendono dei mille riflessi di magenta e le carnose labbra proteggono un sorriso radioso. Completamente perso, Dunstan accetta di scambiare un bacio per un bucaneve di cristallo, ma le cose evolvono fino a che, a distanza di qualche mese, gli viene recapitata a casa una semplice cesta di vimini contornata dalla presenza di un infante.
Trascorrono diciassette anni, Tristran Thorn vive inconsapevole delle proprie origini ed è disperatamente infatuato della bellissima Victoria Forester. Desideroso di conquistare quella ragazza che si sta progressivamente e dolorosamente allontanando da lui, il giovane decide di professare tutto il suo amore dichiarandosi formalmente e inginocchiandosi ai suoi piedi per offrirle il mondo intero in cambio di un bacio e quant’altro avrebbe potuto egli desiderare. Non sapendo come liberarsi di quello spasimante senza esporsi, Victoria approfitta della caduta di una stella per chiedergli scherzosamente di recuperargli l’astro scomparso dietro alle cime degli alberi, sorprendendosi non poco quando l’ottuso amante accetta la missione e parte verso l’ignoto. Tristran si trova a vivere un’avventura come non si sarebbe mai aspettato, tra il surreale e l’onirico, e incontra ben presto la sboccata e irritata stella che, al posto di essere inanimata materia siderale, appare in tutto e per tutto con le fattezze di una fulgida fanciulla. Principi, streghe, unicorni, leoni, navi volanti, foreste che si muovono per inseguire le prede… questi e molti altri sono gli ostacoli che i due protagonisti dovranno affrontare sulla strada di ritorno verso il villaggio di Muro in modo che il ragazzo possa reclamare quanto gli è dovuto e coronare i suoi sogni sentimentali.
Nel parlare del fantasy contemporaneo la nostra mente galoppa a elfi, nani e qualsiasi altra creatura figlia dei lavori tolkeniani, ma spesso dimentichiamo fin troppo facilmente che questo genere vanta una tradizione ben più remota e collaudata. Gaiman ci propone una fiaba con ritmi e atmosfere reminiscenti dei tempi passati, quando le associazioni dei genitori non sconsigliavano ancora dei racconti in cui si verificavano situazioni cruenti o si accennava alla riproduzione umana. Leggendo Stardust si rivivono le sensazioni caratteristiche dei racconti dei fratelli Grimm o delle sintetiche avventure di Andersen, ma anche la semplicità fresca e ironica che caratterizza La principessa sposa; nonostante i richiami, l’opera riesce ad assumere una propria identità rivelandosi originale e inedita, con uno stile squisitamente britannico che danza tra eleganza e malcelato cinismo.
Risulterebbe semplicistico interpretare il libro come una banale avventura ibridata furbescamente a una ingenua vicenda amorosa; l’intreccio si priva delle ridondanze melense, preferendo un approccio velato e costante, e le scene d’azione più movimentate sono spesso deliberatamente omesse o riassunte in poche parole. A essere importanti non sono la love story o i feroci combattimenti, ma il pellegrinaggio stesso e le esperienze derivanti che stimolano Tristran fino a farlo maturare rivoluzionandogli radicalmente la percezione che ha del mondo. Le origini fatate del protagonista, infatti, sono più che altro un pretesto per allontanarlo dalla sua piccola quotidianità limitata a omologazione e ignoranza, facendogli scoprire realtà inattese ed elevandolo al di sopra delle convenzioni.
La scelta di richiamare le fiabe classiche incide sul ritmo narrativo che, secondo gli standard odierni, potrebbe risultare lento e inconcludente, tediando le generazioni svezzate a film hollywoodiani; una delle critiche più diffuse, per esempio, consiste nel fatto non vi sia spazio per un antagonista predominante a cui muovere battaglia e che la cosa più prossima non subisca mai una vera sconfitta, ma venga piuttosto abbandonata al suo destino. Certo è una questione di gusti, ma proprio queste scelte stilistiche permettono di apprezzare adeguatamente questa fiaba moderna così diversa dalle letterature edulcorate a cui le principesse Disney ci hanno abituato. Si tratta di una lettura godibile da adulti e adolescenti, ma anche gli infanti ben educati sapranno trarre il giusto piacere nell’avvicinarsi a questa vicenda tanto prossima alla natura umana.
Stardust è stato inoltre trasportato in pellicola nel 2007 da Matthew Vaugh (nonostante Gaiman volesse, come sempre, lasciare la sua creatura nelle mani di Terry Gilliam), stravolgendone completamente l’essenza e trasformandolo proprio nel prodotto cinematografico da cui si voleva scostare. Il ritmo viene qui ritoccato per intrattenere un pubblico solito a cedere troppo facilmente alla noia, riempiendo i momenti di riflessione con duelli in fil di spada e ridimensionando personaggi che, in certi casi, quasi non esistevano. Si potrebbe quasi pensare che queste aggiunte siano state pensate per coinvolgere attori famosi e compensare il desiderio degli autori di permettere a un attore sconosciuto di interpretare il ruolo del protagonista, ma non sono qui per malignare e queste congetture non vanno di certo ad alterare il valore del film.
-Walter Ferri-