Sono notti, queste d’Agosto, solcate dal vapore luminescente di mille stelle cadenti, voi quante ne avete contate?
Di una di queste, finita nella magica terra di Stormhold, Neil Gaiman ha narrato le vicende, tessendo un’incantevole favola che è insieme storia d’amore, viaggio dalla pubertà all’età adulta, lotta fratricida per la conquista del potere, ed altro ancora.
Tutto condito dall’inevitabile scontro col cattivo dei cattivi,la bicentenaria strega Lamia (Michelle Pfeiffer), cinica ed arida al punto che il suo unico scopo di vita è restare in vita, artificialmente giovane e bella, grazie al sacrificio di ogni sventurata stella che cada sulla terra, e da colpi di scena che, nel fare da gangli vitali dell’intreccio, offrono con discrezione spunti sui successivi sviluppi. Essi poi si riannodano tutti perfettamente nel finale, passando per una, seppur sussurrata, lezione sul valore della diversità, che sottende con grazia all’intera storia (Tristan non è propriamente un ragazzo di Wall, Yvaine non è una donna, l’estroso Capitano Shakespeare – un irresistibile De Niro – è un bucaniere indubbiamente sopra le righe, e via divergendo da modelli prestabiliti).
Stardust – è stato detto – ha portato qualcosa di rinfrescante nel panorama del fantastico. Ed è semplice capire perchè: la trama è, più che accattivante, tentacolare, anche per chi si avvicina al genere da curioso. L’avventura di Tristan parte da un paesino di provincia, Wall, soffocato da uno stile di vita inquadrato e senza prospettive, da un modo di pensare ingessato.
Ma le stelle guardano la terra, ascoltano i desideri ed incidono sugli eventi: Tristan scoprirà il suo passato e partirà per Stormhold, verso la stella che vi è caduta, per riportarla in dono alla sua amata Victoria – biondissima, vacuissima, specchio fedele dell’età Vittoriana in cui sprofonda Wall – e chiederne la mano.
Da qui, il destino del ragazzo si smuove, la storia s’invola sotto gli occhi partecipi di un popolo di stelle. L’incontro nel cratere, il viaggio, perdersi, ritrovarsi a un passo dal pericolo, i sette fratelli pretendenti al trono di Stormhold come personaggi agguerriti e sanguinari, finché la morte non li rende spettatori e spegne in loro ogni carica bellicosa. Vederli rabbonirsi è una riuscitissima distensione della narrazione, dall’effetto comico garantito.
E ancora, l’acqua del cielo inclemente, coi pirati del cielo che navigano assorbendo fulmini e saette, il fuoco magico che è morte imminente, ma che se hai in mano una candela di Babilonia può divenire salvezza e trasporto verso il luogo che desideri raggiungere.
Il viaggio è rocambolesco, appassionata e inaspettata la scoperta della verità e del sentimento, mano a mano che Tristan entra di diritto nell’età adulta, arrivando al fondo delle proprie paure per poi riemergere con un coraggio nuovo, sciolto dalle catene dell’infanzia.
Come fa una fiaba piena di buoni sentimenti e buoni personaggi che si battono per cause nobilissime, a non risultare né scontata né trita?
La ricetta di Stardust è tutta pittorica: il trapasso di piani prospettici avviene chiaroscurando, stendendo il colore in ampie corolle di luce, dal cratere al chiarore del bosco, allo sfarzo del capezzale del Re, quasi un trono circonfuso d’oro, al fuoco verdastro nella locanda… nessuna scena è un ‘intermezzo, tutta la trama è percorsa, quasi percossa, da un ritmo incalzante, dalla tamburellante incertezza che ci scuote: che fine faranno i nostri eroi?
Una fiaba adulta, ma una fiaba fino in fondo, quando a portare a Wall una ciocca di capelli di Yvaine non ci si ritrova che con un pugno di “misera polvere di stelle” in mano.
Il sogno è l’arma, è la strada, è il limite, che segna dove la magia non può spingersi oltre – potente e terribile a volte, ma bandita dal mondo di coloro che non sanno passare il muro, che non sanno perdersi o credere all’incredibile -.
Tristan è oltre. Sebbene cresca credendo d’essere indietro, o più in basso, lui è oltre il muro, oltre le nuvole, verso un finale diverso da quello che la provincia avrebbe scritto per lui. E lo è da sempre, come chi lascia che l’amore lo prenda in ostaggio e la fantasia gli annebbi la vista. Non è una via per tutti, come è vero che non tutti governeremo una terra incantata.
Ma questo racconto accende nel cuore un frullo d’ali e una fame di vento.
A un’infanzia da salvare dal disincanto, ma anche a noi genti di mare, che scrutiamo il cielo in cerca di segni, e scordiamo di domandarci: e se fossero le stelle a guardare noi?