Tom Cruise torna a recitare in un film di fantascienza che ha l’obiettivo di sconvolgere gli appassionati del genere. Ci sarà riuscito? Scopriamolo insieme!
Un film di fantascienza incentrato sulla manipolazione del flusso temporale? Vogliamo dire l’ennesimo? Lo so, se cominciamo così c’è il rischio di tranciare subito dei giudizi affrettati e finire fuori strada. Il concetto del loop temporale, del protagonista condannato a rivivere all’infinito le stesse situazioni e gli stessi eventi, a ripetere le stesse conversazioni e ad interagire con le stesse persone, non è particolarmente originale. A cominciare da Groundhog Day (it. “Ricomincio da capo”) di Harold Ramis, uscito nel 1993, che però era una commedia. Qui invece si vira decisamente sul drammatico e sulla fantascienza bellica, anche se non mancano momenti e spunti talmente ridicoli di per sé da essere degni della miglior commedia americana, come nelle corde registiche di Doug Liman. Eppure, sotto la patina da roboante blockbuster d’oltreoceano, qualcosa rimane, anche se magari sulle prime non ce ne si rende neppure conto. Per come è strutturato il film, filtra il messaggio che il destino non sia scritto ma sia molto difficoltoso cambiarlo, e che farlo richieda dedizione, applicazione, miglioramento di se stessi e il sacrificio di cose molto importanti, al limite estremo il sacrificio di sé. E che, fuor di metafora, ogni volta che “ricominciamo” da qualcosa di nuovo o cambiamo qualcosa di appena un po’ importante nella nostra vita, è come se morissimo e “rinascessimo” ogni volta, con tutto il nostro bagaglio di esperienze in più e quindi come persone nuove.
SPOILER ALERT!!!
Ah, la Terra…questa palla azzurra che rotola pacificamente nello spazio…ah, ha un’altra peculiarità: si caccia sempre nei guai. Questa volta, in un futuro prossimo, i guai prendono la forma irsuta dei Mimic. No, non i bauli strangolatori di D&D, bensì cattivissimi alieni che invadono tutta l’Europa centrale e sterminano la popolazione umana (spiace dirlo, Italia compresa. L’unica consolazione è che gli alienoni fanno concime pure della nostra classe politica, e già solo per questo andrebbe loro stretta la ma..pardon, il tentacolo). La situazione a dir poco disperata si ribalta con l’introduzione tra le truppe umane di esoscheletri potenziati da battaglia, che offrono poca protezione ma moltiplicano le capacità belliche del singolo soldato. In questo modo l’umanità inizia a contenere l’avanzata degli xenomorfi: sul fronte orientale russi e cinesi tengono le posizioni, mentre nell’Inghilterra ancora libera iniziano ad affluire reparti americani: il mondo si unisce e viene progettato uno sbarco in Normandia in salsa futuristica, per riprendersi l’Europa.
Il Maggiore Cage (Tom Cruise) è addetto dell’ufficio stampa dell’esercito degli Stati Uniti durante la più grossa crisi che l’umanità ricordi. E’ un ex pubblicitario, abilissimo nel reclutare uomini alla causa, ma sicuramente non è un grande guerriero. Immaginate la sua sorpresa quindi quando gli viene comunicato che prenderà parte all’invasione, e pure con la prima ondata. Infatti la mattina dopo, sulle spiagge della Normandia, Cage viene ucciso quasi subito, mentre l’invasione fallisce attorno a lui. La sorpresa raddoppia quando Cage si risveglia il pomeriggio del giorno antecedente all’operazione, al campo base in Inghilterra. Cage si rende conto quasi subito di essere finito in un loop temporale: ogni volta che muore sulla spiaggia, si risveglia al campo base il giorno prima, dove accadono esattamente gli stessi avvenimenti che ha già vissuto (assurdità giustificata nel film con un espediente narrativo, va riconosciuto, abbastanza originale). Lo shock della cosa, pian piano, sfuma nella testa di Cage, dove prende invece corpo un’altra idea folle: porre fine alla guerra sfruttando la conoscenza di ciò che accadrà esattamente nell’immediato futuro, con l’aiuto della supersoldatessa britannica Rita Vrataski (Emily Blunt).
Tricchetracche e bombammano.
In “Edge of Tomorrow – Senza Domani”, la recitazione è decisamente piacevole e credibile in generale, comunque sopra la media per un film del genere. Tom Cruise è un attore che personalmente non amo molto, ma in questi ruoli riesce comunque a dare il meglio di sé, ed è curioso vederlo, per una volta, nei panni del cosiddetto “imboscato” che tenta in tutti i modi di evitare il combattimento. Si riprenderà nel corso del film il consueto clichè dell’ ”eroe”, ma pur sempre obtorto collo. L’eterea Emily Blunt risulta stranamente convincente nella parte della donna d’azione, non fosse altro per l’impegno profuso, a cominciare dai muscoli costruiti per calarsi nel fisico atletico dell’eroina di guerra, sergente Rita Vrataski. Il lavoro sulla psicologia del personaggio da parte dell’attrice è notevole e riesce a restituire l’immagine di una donna apparentemente tutta d’un pezzo ma in realtà profondamente segnata dagli eventi, il che in un film del genere è più di quanto ci si possa aspettare. Un’attrice decisamente inconsueta e azzeccata per una produzione simile. Menzione speciale per Brendan Gleeson, attore a mio giudizio geniale, che riesce a rendere splendidamente credibile, in poche battute, il viscidissimo generale britannico Brigham. Cameo per Noah Taylor, già Locke ne “Il Trono di Spade”. Omaggi e citazioni sparse per tutto il film fanno la felicità di cinefili e non solo, come lo spadone cibernetico di cui è munita la nostra Emily, che strizza l’occhio in particolare al manga “All you need is kill” di H. Sakurazaka, che ha ispirato la pellicola.
Sceneggiatura e regia risentono, inevitabilmente in un film di questo genere, della struttura narrativa. La prima metà del film scivola via in modo piacevole, il ritmo incalzante ma non fastidiosamente né artificialmente accelerato, tenuto saldamente per le redini dal regista Doug Liman. Da circa metà/due terzi in poi il film si incarta un po’, complici alcune scelte registiche e di sceneggiatura discutibili (si moltiplicano i cicli temporali, fin troppi a mio parere, facendo perdere un po’ allo spettatore il filo della vicenda) e alcune (forse inevitabili) incongruenze logiche, fino al finale abbastanza inverosimile e che lascia un po’ di amaro in bocca. Peccato, perché forse con un po’ più di attenzione e ponderazione (il finale sembra buttato lì come se la produzione avesse fretta di chiudere) il film poteva risultare uno dei più bei film di fantascienza degli ultimi anni.
Una grossa mano l’avrebbero data la fotografia e la scenografia, davvero impeccabili. Sia nel ricostruire gli ambienti di un’ Europa disabitata e devastata (fa una certa impressione vedere capitali europee in rovina, una rovina verosimile), sia nel rendere credibili città reali in versione leggermente futuristica, e nell’attribuire a queste quell’atmosfera di fiato sospeso, desolazione e sconvolgimento della quotidianità propria delle città in guerra. Menzione speciale per la scena dello sbarco sulle spiagge della Normandia, caotico, brutale e con la camera in mezzo ai fanti corazzati che atterrano, una specie di remake di Salvate il Soldato Ryan – Cent’anni dopo, davvero ben riuscito. Dove il film eccelle è nel reparto scenografie, costumi ed effetti speciali. Tutto è studiato minuziosamente, dalle divise dell’United Defense Force ai dettagli degli anfibi al grasso nelle giunture degli esoscheletri, per dare l’idea di una tecnologia vicinissima a noi ma in qualche modo futuribile, come se fosse da qui a vent’anni. Gli esoscheletri sono una gioia per gli occhi degli appassionati di fantascienza, sporchi e metallici come se fossero veri e soprattutto verosimili nel loro funzionamento: forse tra vent’anni li vedremo indossati tali e quali da qualche battaglione corazzato rangers. Anche gli alieni sono ben studiati come specie vivente: niente di paragonabile a qualcosa che tocchi i nostri istinti più profondi di specie predata come faceva Alien, intendiamoci. Ma funzionali al racconto.
In conclusione, un film che potrebbe piacere o quantomeno divertire gli appassionati di fantascienza bellica, una specie di Starship Troopers “come avrebbe dovuto essere”. Se guardato ponendo attenzione all’evocatività delle scene, all’attenzione ai dettagli e alla verosimiglianza visiva, nonché facendo caso agli interrogativi che pone riguardo alle conseguenze e ai meccanismi delle nostre scelte quotidiane, diverte e potrebbe lasciarvi qualcosa; questo al di là del fatto che, uscendo dalla sala, rimane una indefinibile sensazione di incompiutezza, un “non malaccio, ma sarebbe stato ottimo se…”
Per i capolavori della fantascienza, spassionatamente, passate oltre.
– Luca Tersigni –