Vi sono libri che, pur senza parole, ci aprono mondi nuovi, inattesi e inesistenti. Il Codex Seraphinianus gioca con chi gli si presta, stuzzicandogli la mente.
Il vero nome è un concetto che ha sempre affascinato la civiltà umana. Da Socrate al logos, dal misticismo pre-industriale alle parodie bibliche di Mark Twain, l’umanità è sempre stata tentata dal voler definire e battezzare quanto entra in contatto con la sua sfera percettiva. Conoscere un nome, secondo molte favole, equivale a dominare il nominato costringendolo all’impotenza e soggiogandolo al proprio volere. Il nome può divenire un limite, un ostacolo che riduce all’osso un potenziale di libertà. Il Codex Seraphinianus non doveva avere un nome, l’autore lo aveva pensato come un “immacolato” Codice svincolato da ogni legame, anche fosse con la sua stessa persona, quindi mi trovo intimorito a dover fornire una definizione – cosa al limite del dissacrante – del testo in questione. Cercherò, per quanto mi sia possibile, di prenderla larga.
Luigi Serafini, romano di annata 1949, è un artista a tuttotondo (al punto che lo stesso internet, stufo di elencarne i talenti, liquida la questione con un lapidario “etc.“) che è difficile far star fermo: con sacco a pelo in spalla ha esplorato l’Africa, il medio-oriente e gran parte degli States.
Sono proprio i suoi viaggi e le sue esperienze a fornirgli il primo impulso per mettersi a lavoro sul Codex… “lavoro”, forse non è un termine adeguato, tuttavia. Nato come un passatempo, si è trasformato inavvertitamente in un obiettivo a tempo pieno, divenendo conscio solo nel momento in cui, invitato a passare la sera fuori con amici, il giovane Luigi si trovò a declinare l’offerta perché, come un novello Diderot, “doveva fare un’enciclopedia”. Chino sulle tavole, ha passato tre anni a disegnare noncurante della sua gatta bianca che gli era solita acciambellarsi sonnacchiosa sulle spalle – al giorno d’oggi ci scherza attribuendo al felino la capacità intratalamare e osmotica di trasmettergli spunti onirici – mentre il suo editore dell’epoca, Franco Maria Ricci, scandiva impazientemente il tempo battendo la punta del piede. Introdotto da Italo Calvino (subentrato in sostituzione di Roland Barthes, scomparso prematuramente), viene infine pubblicato nel 1981 al prezzo di 160.000 lire e subito diviene punto di riferimento per visionari e sognatori.
Il destino dell’opera è stato altalenante negli anni: immediatamente apprezzato da individui dallo spirito artistico, sbiadisce nel tempo per ritornare recentemente alla ribalta grazie alla sua ristampa edita dalla Rizzoli (2006), la riscoperta da parte dei magazine americani e dalla diffusione di immagini tramite la Rete. Non a caso, Serafini stesso riconosce una forte affinità con il mondo di internet, identificando il suo operato come una forma di blog ante-litteram sviluppato in un periodo in cui i social network altro non erano che vie di mezzo tra movimenti contro-culturali e couchsurfing indiscriminato. Un blog, appunto, dove ha iniziato a raccogliere immagini e pensieri che non era in grado di esprimere a parole, uno “sfogo” in cui si apriva e, allo stesso tempo, con cui assorbiva l’atmosfera circostante. Alle lunghe questo suo desiderio comunicativo è concretamente divenuto un’enciclopedia fantastica e bizzarra che descrive mondi alieni e surreali, immaginabili solo grazie ad una profonda creatività condita da un leggero strato di mescalina.
Nelle sue (quasi) 400 pagine custodisce centinaia di illustrazioni accuratamente catalogate di piante, fiori, animali, persone, macchinari, raffigurazioni di paesaggi e quanto ci si potrebbe aspettare da un normale dizionario enciclopedico, il tutto descritto minuziosamente da un’incomprensibile testo di accompagnamento; grande estimatore del linguaggio visivo, infatti, ha abbandonato ogni limitativo carattere conosciuto, ideando un proprio idioma asematico dal suono “dionisiaco” ispirato, almeno nella grafia, a quello georgiano – tale alfabeto è divenuto a sua volta un enigma che molti si ostinano a risolvere al costo di creare dei traduttori online -.
L’universo descritto tra le pagine del Codex Seraphinianus è invero straniero, ma anche riflesso della nostra realtà, ove creature comuni si ibridano a minerali od oggetti di uso quotidiano, partorendo raffigurazioni che destabilizzano la percezione del lettore, facendolo perdere tra il conosciuto e l’ignoto. Questo gioco di stupori stimola l’interesse e l’immaginazione di coloro che si prendono a cuore l’analisi dell’opera, ponendoli nella posizione ingenua e inesperta di un infante che, non riuscendo a interpretare alla perfezione i libri degli adulti, ha la possibilità di reinventare come desidera le scritte – per lui poco più che ermetici geroglifici – e esplorare per la prima volta quelle lontane realtà mostrate nelle raffigurazioni. Il Codice presenta un costante desiderio di ricerca dell’infinito, come evidenziava anche Calvino, il quale si manifesta anche con la scelta dello scrittore di aggiungere nuove tavole e nuovi capitoli nelle recenti uscite, sondando le evoluzioni della società moderna e della sua prospettiva: Serafini rimane quindi invischiato in una spirale aurea nella quale lui e la sua opera entrano in simbiosi, plasmandosi e influenzandosi vicendevolmente a distanza di decenni, divenendo una storia dentro la storia.
Sono evidenti i retroscena culturali che hanno suggestionato l’architetto quando impugnò la matita negli anni ’70. Edward Lear, Hieronymus Bosch e Jorge Luis Borges (col suo Tlön, Uqbar, Orbis Tertius) hanno lasciato un segno nel retaggio dell’autore che ha finito per sceglierli come metro con cui misurare il suo operato, ma tutto ciò ha poco peso sul valore effettivo del Codex. Riconoscere le influenze risulta un passatempo stimolante capace di incrementare la stima nei confronti di Serafini e del suo bagaglio culturale, ma l’intento dell’enciclopedia è quello di stimolare un rinnovato senso di curiosità attraverso l’impressione di ignoranza nei confronti del nuovo. Il cercare di razionalizzare le tavole tramite una “dietrologia” artistica, se non interamente controproducente, risulta superfluo e ostracizza la naturalezza derivante dall’esperienza. Visto il prezzo non indifferente (l’edizione più economica è di listino a 100€) è un acquisto da valutare con le dovute precauzioni, ma se ne avvertite il richiamo saprà certamente ripagarvi al punto di accettare di buon grado la spesa folle; in ogni caso vale la pena dare una chance a questo folle lavoro, magari cercando in biblioteche ben fornite o braccando immagini su internet. Approcciatevi a mente e cuore leggeri, nel Codex Seraphinianus ognuno vede quello che vuole e nessuno è in errore.
–Walter Ferri–