Volete sapere cosa sia Paranoia? Avete l’autorizzazione classe verde? No? Mi spiace, amici, non potete leggere questo articolo.
Dopo infiniti passaparola e accordi, si riesce a giostrare alla bene e meglio gli attimi di libertà di tutti gli amici e si organizza finalmente una serata dedicata al gioco di ruolo. Le prime ore sono sacrificate ad introdurre le regole ai neofiti e a vergarne le schede, poi, nel giro di venti minuti, il gioco si impantana in una delle situazioni classiche che vanno a spezzare il ritmo della narrazione. Magari un giocatore stizzito decide di sabotare la partita al Game Master massacrando nel sonno i compagni di squadra e giustificandosi che il suo personaggio si chiami “Palpatine“, o individui eccessivamente ligi contestano i risultati di un’azione facendo leva su oscuri cavilli dei manuali aggiuntivi o enunciando le leggi di Keplero, oppure ancora non si trova una calcolatrice capace di sostenere la geometria analitica necessaria a stabilire se un mazzafrusto sia in grado di colpire una guardia in una mattinata di fitta nebbia.
Quale che sia il motivo, l’avventura ne risente, ci si distrae e si finisce con lo scolpire sculture di gomma-pane attendendo il sopraggiungere del proprio turno. Si tratta di scene comuni scaturite dall’evidente abuso di democrazia che caratterizza la nostra società e che mai si sarebbero proposte nella realtà utopica del Grande Fratello orwelliano. Fortuitamente, nel 1984 – anche se nel Bel Paese è arrivato con dieci anni di ritardo – la West End Games ha deciso di concretizzare un’idea di Greg Costikyan, Dan Gelber e Eric Goldberg, pubblicando un gioco il cui stesso nome preannuncia gran parte delle dinamiche di gioco: Paranoia.
Cosa c’è di paranoico? Tutto, ad incominciare dal background! A seguito degli orrori della Terza Guerra Mondiale, gli esseri umani decidono di fondare un governo planetario le cui basi sono sostenute dal largo utilizzo di Intelligenze Artificiali capaci di garantire un’era di pace. Secoli dopo, però, viene rilevato un largo meteorite in rotta di collisione con la terra; vedendo i tentativi di distruggerlo sfociare in numerosi fallimenti, i politici decidono di fuggire nelle colonie extraterrestri e salvaguardare il retaggio umano trafugando le RAM delle IA e, nel frattempo, il popolo cerca riparo in bunker a tenuta stagna (in puro stile Fallout). I computer, trovandosi con la memoria cannibalizzata, interpretano l’avvicinarsi del corpo celeste affidandosi ad obsoleti dati inseriti negli anni ’60 e, successivamente, traducono l’impatto come un olocausto nucleare figlio della Guerra Fredda. Confuso dai dati effimeri ricevuti dal network, Il Computer del Complesso Alfa ipotizza di essere l’ultima roccaforte U.S.A. e isola i suoi abitanti per difenderli dall’invasione dei vili comunisti.
Da qui inizia l’avventura dei giocatori che, consapevoli solo delle informazioni fornite dal Computer, sono costretti a sopravvivere in un universo distopico cercando di snodarsi tra infinite regole paradossali e contraddittorie. La società interna al complesso è suddivisa da un rigido classismo etichettato in scala cromatica dall’infrarosso (nero) all’ultravioletto (bianco) che tutti i personaggi giocanti cercano di scalare rivestendo l’incarico di novelli Risolutori, (individui il cui compito è affrontare e liquidando tutti quei grattacapi che non devono essere portati all’attenzione pubblica); sete di potere, ricerca di una posizione vantaggiosa per dare il via ad una ribellione, brama di migliorare le proprie condizioni di vita sono scuse più che valide per giustificare colpi gobbi da far patire al prossimo – giocatore o meno che sia. Come se la situazione non fosse già abbastanza maniacale, ogni partecipante farà parte di una società fanatica non autorizzata dal Computer e vanterà una mutazione, altrettanto illegale, che gli garantirà bonus notevoli a scapito di un sostanziale rischio di essere presto notati e processati. Naturalmente le missioni assegnate saranno spesso basate su premesse dubbie o su vere e proprie bugie, ma i giocatori impareranno sulla loro pelle ad assecondare le pretese dei superiori, per quanto folli esse siano, poiché l’unica verità è quella dettata dagli ordini e asserire diversamente viene visto come un atto di tradimento.
Il gioco di Paranoia é principalmente sorretto da quello che il manuale definisce “combattimento tattico drammatico“; in sostanza i risultati dei tiri e abilità sono posti in secondo piano, prediligendo azioni cinematografiche e premiando coloro che osano tentare gesta ardite degne di un film con Vin Diesel. Detto questo, le partite si reggono su di un d20 system molto più prossimo al moderno d100 system che ai contemporanei prodotti della Whitewolf; i bonus derivanti dalle caratteristiche base (Forza, Costituzione, Agilità, Destrezza, Scaltrezza, Faccia tosta, Capacità meccaniche e Controllo potere) si sommano al valore delle abilità scelte al momento della creazione del PG e sono il metro di giudizio con cui stabilire la riuscita delle azioni. Se il risultato del d20 è uguale o inferiore alle cifre stabilite – contando eventuali bonus e malus – l’azione ha successo, spesso con risultati inattesi e distruttivi. La letalità del gioco è così alta che ogni partecipante è dotato di un pacco-da-sei: sei cloni pressoché identici da poter intercambiare in caso di avvenimenti infausti, consentendo di proseguire senza sosta l’avventura e placando grandemente la frustrazione di quel contrattempo chiamato “morte”. Ovviamente il nuovo clone potrebbe non avere accesso ad alcuni dettagli scoperti dal suo predecessore; sta alla capacità interpretativa dei giocatori andare ad evidenziare le differenze o, eventualmente, é possibile seguire l’esempio dei creatori e scolarsi una lattina di birra per ogni dipartita subita, lasciandosi guidare da una leggera ebbrezza.
A differenza di molti altri GdR, Paranoia è esplicitamente un gioco competitivo dove l’Arbitro deve fare il possibile per eliminare i giocatori e i giocatori si impegnano al loro massimo per tradire i compagni e ricavarne una promozione. Questa struttura risulta essere un’arma a doppio taglio e porta alla scelta diffusa dilimitare le partite a one-shot di poche serate, più che a campagne omogenee e costanti (seppure il manuale metta a disposizione quanto necessario per creare vere e proprie avventure); molti gamer, inoltre, rischiano di non apprezzare l’allontanamento dalla cooperazione o, più semplicemente, preferiscono ambientazioni più verosimili e, complessivamente, serie. Il gioco della West End Games è legato imprescindibilmente da un dark humor e da critiche politiche degne dei Monty Python; la bravura dell’Arbitro, in questo caso, è più legata alla fantasia e alla capacità di improvvisazione comica che all’esperienza e alla preparazione, poiché è quasi impossibile seguire un filone narrativo senza deragliare brutalmente in evoluzioni inaspettate. Non è raro che i Risolutori finiscano nei guai nel tragitto tra le loro stanze e il deposito, ancora prima di poter ritirare l’equipaggiamento assegnato loro, e che si sprofondi in vortici di follia non-sense nel tentativo di salvarsi l’osso del collo. Paranoia è un’esperienza esilarante e fresca che, una volta conclusa, lascia quel retrogusto tipico delle intense partite a Munchkin, adrenalinico e con tanta voglia di pavoneggiarsi delle tattiche usate contro gli amici-nemici.
– Walter Ferri –