Ormai é difficile non notarlo: Godzilla si avvicina nuovamente alle nostre coste e non resta che prepararsi riscoprendone il passato.
Come già menzionato in questo articolo è in arrivo l’ennesimo reboot occidentale di Godzilla, ma nella trepidante attesa vale la pena fare un ripasso generale per potersi proclamare esperti del campo e far così colpo sulle numerose e prorompenti modelle che, sicuramente, troveremo in coda al botteghino.
Godzilla (o, più correttamente, Gojira) è sorto dalle agitate acque radioattive dell’oceano Pacifico nel 1954 ed è erroneamente noto al pubblico come il primo Daikaiju Eiga (letteralmente “film con mostri giganti”); in verità, la serie dei kaiju ha avuto origine nel lontano 1933 con Wasei King Kong, film muto che plagiava evidentemente la celebrità scimmiesca americana e le cui copie, ironicamente, sono state totalmente annichilite dai bombardamenti degli Alleati.
Nato come incarnazione ed esorcismo della, ben giustificata, fobia giapponese per il nucleare, Godzilla è stato ispirato da un evento di cronaca riguardante il peschereccio Fukuryu Maru (Drago Fortunato), il quale, probabilmente nell’ostinato tentativo di contraddire il proprio nome, si trovava dalle parti dell’Atollo Bikini nel momento in cui gli USA hanno testato la bomba “Bravo”, ordigno rivelatosi 1000 volte più potente di quello usato contro Hiroshima. I pescatori sono stati recuperati in vita – seppure con una salute degna dei coniugi Curie – e gli americani hanno versato un contentino di compensazione per il danno arrecato, mentre il Giappone si è “goduto” le ripercussioni per anni, tra pesca rovinata e conseguente tracollo economico. Ancora oggi è evidente l’evento non sia dimenticato e ne troviamo riferimenti anche nei media contemporanei: Hideo Kojima, creatore della saga Metal Gear, per esempio, colloca sulla scena uno dei suoi personaggi principali, Big Boss, mentre sono molte le voci che ipotizzano sia stata proprio questa esplosione a creare Bikini Bottom e i suoi abitanti antropomorfi.
Per quanto concerne le origini del nome, “Gojira” è una combinazione tra le parole gorira (gorilla) e kujira (balena); il mito vuole che fosse il soprannome del produttore esecutivo, ma verosimilmente si tratta di un refuso legato al concept iniziale della creatura, progettata come un bizzarro polpo gigante. Fu il suddetto produttore, dopo aver visto “Il risveglio del dinosauro”, ad imporre di cestinare le riprese fatte fino a quel momento e sostituire il protagonista con un essere preistorico dell’allora fittizia famiglia dei gojirasauri, dimenticandosi nel processo di contestualizzare perché una creatura simile dovrebbe riposare sul fondale marino.
All’inizio degli anni ’60, in piena guerra fredda, l’orrore del nucleare divenne evidente al mondo intero e si diffuse una sensibilità macchiata di paranoia, placando parzialmente il rancore nipponico dovuto ai delitti subiti in guerra. Nel 1962 gli animi sono abbastanza pacati da garantire un cross-over tra il più celebre mostro cinematografico occidentale e il rispettivo paladino orientale: “King Kong vs. Godzilla”. Anche in questo caso, uno dei personaggi è stato sostituito in extremis e il primate scalatore di grattacieli si è ritrovato a “rubare” il ruolo della creatura di Frankenstein (bocciata perché necessitava una tecnologia stop-motion dal costo proibitivo). Sebbene questa casualità conceda un maggiore spessore allo scontro dicotomico, siamo affranti dal non poter assistere alla scena nella quale il dottore, col sostegno dal suo assistente gobbo, si improvvisa tombarolo disseppellendo in segreto un corpo alto 50 metri.
Da quel punto, Godzilla evolve fino a diventare, nel 1964, simbolo della natura e difensore della terra con il film “Ghidorah, il mostro a tre teste” dove, persuaso da Mothra (una falena gigante) e affiancato da Rodan (uno pteranodonte che pare sarà presente anche nel film in uscita), decide di combattere Ghidorah (un dragone dorato a tre teste che è giunto sulla terra dopo aver sterminato gli abitanti di venere). Alcuni sostengono che questo film fosse un tentativo degli scienziati giapponesi di testare le barriere della sospensione dell’incredulità, altri che fosse il primo passo verso il culto del Re Lucertola.
Fama e un forte amore per il personaggio fanno si che la saga venga proposta a più riprese, ma, a differenza dei nostri cinepanettoni, lo studio cinematografico Toho ha saputo giostrare magistralmente i filoni narrativi, non esitando a dare un giro di vite nel momento in cui la credibilità del prodotto stava raggiungendo vette negative. Facendo riferimento alla storia imperiale giapponese contemporanea, nacquero così le “ere” di Godzilla: la Showa, la Heisei, la Millennium.
L’era Showa, nonostante gli inizi angosciosi, è complessivamente ritenuta la più spensierata e leggera, ospitando rappresentazioni improbabili del sauro. In questo periodo non è insolito scoprirlo, tra un’orda di nemici e l’altra, nei panni di padre paziente, di ballerino audace o di combattente che rispetta il codice d’onore. Nel 1979, iniziando i film a somigliare pericolosamente ad episodi generici dei Power Rangers, decisero di prendersi la prima grande pausa, terminando con l’accattivante “Il terrore di MechaGodzilla“.
L’era Heisei, da molti considerata la migliore, riprende nel 1984 la trama del primissimo film e pone “Il ritorno di Godzilla” come diretto sequel. Si scrolla così di dosso tutti i tratti infantili senza doversi crucciare dei problemi di continuità e riservandosi il diritto di poter riutilizzare, seppure con tinte diverse, i mostri canonici. Più cupa, più violenta, più grossa e più epica, l’epopea regge fino al 1995 concludendosi in maniera appagante e grondante pathos. Poi, nel 1998, é capitato il Godzilla marcato States.
L’era Millennium vide la luce inaspettatamente, in risposta a tutti i fan che domandavano la testa di Roland Emmerich, reo di avere deturpato l’immagine del loro beniamino. Per evitare che gli otaku continuassero a cercare di sradicare lo studio cinematografico con i Gundam – ci piace immaginare che le cose siano andate così – la Toho si é trovata a lanciare questa saga già nel 1999, nel tentativo di discostarsi completamente dalla rovinosa pellicola americana. Contrariamente al passato, i film non sono legati da una narrazione progressiva (solo “Tokyo S.O.S.” fa eccezione) e vengono presto interrotti (nel 2004) – ci é dato quindi credere che le batterie dei robottoni si esauriscano entro 5 anni e che la situazione si fosse calmata di conseguenza.
Gli statunitensi, peró, hanno approcciato il brand ben prima dell’infame Godzilla. Giá nel 1978 la Hanna-Barbera (meglio nota per Gli Antenati e I Pronipoti) produceva un cartoon focalizzato su dei giovani scienziati che, affiancati da Godzooky (il cugino codardo di Godzilla), impegnavano il loro tempo a risolvere misteri ed enigmi. Se la trama non vi giunge nuova é facile che in passato abbiate visto almeno un episodio di “Scooby-Doo”, serie che, guarda caso, era gestita dalla stessa casa produttrice.
Unica nota positiva di questo sordido esperimento commerciale era la folle incoerenza di proporzioni e di intenti: Godzilla, che compare frequentemente come deus ex machina, risultava di dimensioni diverse quasi ad ogni inquadratura e le puntate alternavano spezzoni di comicità con momenti di angoscia e di distruzione degne di un video metal. E Godzilla sparava laser dagli occhi, per qualche motivo.
Altre nazioni hanno voluto partecipare alla creazione del mito. Nel 1976, per esempio, il nostrano Luigi Cozzi, parallelamente alle riprese di “La portiera nuda”, si é prodigato per far sbarcare in patria il film del ’54, imbattendosi in un forte ostracismo da parte dei distributori, poco convinti che un film in bianco e nero potesse essere commercializzato. Per risolvere il problema, Cozzi ha adoperato una tecnica di colorazione probabilmente trafugata a Austin Powers, dando vita ad un prodotto mediatico ai limiti dello psichedelico. Dopo il 1977 tutti i negativi della pellicola sono tornati di proprietà della Toho, la quale ha fatto di tutto perché non venissero mai proiettati al di fuori del nostro paese. Un altro episodio celebre si trova indagando nella Corea del Nord del 1978, quando Kim Jong-il fece rapire il regista Shin Sang-ok perché dirigesse un capolavoro propagandistico sulla base dei film Kaiju. Nacque così Pulgasari (1985), film che narra le gesta di un “golem” gigante creato con del riso, con lo scopo di sconfiggere un monarca malvagio e oppressivo. Poco avvezzo alla retorica sottile e celata, Kim Jong-il vide il crudele re come la rappresentazione del capitalismo americano e non, tanto per dire, come quella del leader supremo e dittatoriale che incrociava ogni giorno passando innanzi allo specchio. Il film soddisfò tanto il Caro Leader che consentì al regista e a sua moglie di andare a Vienna per un film festival, dove, appena ebbero l’occasione, chiesero subito asilo politico all’ambasciata degli Stati Uniti. Grato della sua riscoperta libertà, Shin Sang-ok contribuì al miglioramento della società con film di spessore quale “Tre piccole pesti”.
– Walter Ferri –