Andiamo a concludere l’approfondimento su Lo Hobbit- La desolazione di Smaug esaminando i personaggi, tra i quali la discussa elfa Tauriel e Smaug stesso!
In primis, un doveroso augurio di Buon Natale assieme a noi di Isola Illyon: è un augurio che viene dal cuore perché, che siate credenti o meno, l’auspicio di condividere la serenità e la gioia, riscoprire il calore domestico e l’altruismo, e donare un sorriso ed un gesto di pace sono tutte cose che vanno bene in quanto siamo e restiamo esseri umani.
Chiusa la parentesi responsabile, cortese e diplomatica, veniamo a noi.
Esordiamo scrivendo che “Lo Hobbit – La desolazione di Smaug” è una di quelle opere che stanno in qualche maniera spaccando l’opinione pubblica, tra puristi che gridano allo scempio, fanboy che si esaltano come ragazzine dinanzi agli One Direction (e c’è da chiedersi come diamine mi sia venuto in mente questo paragone), cinefili che esprimono un vistoso e marcato “sì, è un gran bel film, ma…!” e non meglio identificabili utenti che sono di più difficile collocazione e che probabilmente non sanno nemmeno loro quale parere esprimere al riguardo.
Partendo da una sostanziale incertezza, va detto che questa permea anche lo scrivente a tutt’oggi, dopo oltre una decina di giorni dalla visione dell’ultimo kolossal di P. Jackson. Fiumi di inchiostro, reale o virtuale hanno invaso giornali e riviste online e ciascuno, chi più, chi meno, ha voluto dire la propria, sia con che senza titolo: il che è un bene, fondamentalmente, dato che la libertà d’espressione, di giudizio e di poter rimarcare una propria preferenza ancorché non motivata o giustificabile è una cosa sacrosanta. Del pari, molti youtubers (tra cui il sottoscritto, ma anche altri, tanto ma tanto più famosi) hanno espresso un proprio giudizio sul film e hanno sostanzialmente fatto presente grossomodo gli stessi pregi e difetti della pellicola, insistendo sul solito trittico di elementi:
1) la presenza di alcuni personaggi, ora poco approfonditi, ora superflui, ora poco funzionali, con minor spazio dedicato a quelli effettivamente presenti nel racconto;
2) l’uso massiccio (a tratti chiassoso) della Computergrafica (CGI), l’attuale croce e delizia di ogni appassionato di film che oggi come oggi rischia di vedere effetti grafici non sempre all’altezza delle aspettative, a causa del sempre minor impiego di materiale “fisico” (scenografie, costumi, “creature”), perché più costoso rispetto agli effetti speciali, invece più a buon mercato – in senso relativo, almeno, dato c’è sempre la WETA Digital dietro;
3) una sostanziale rielaborazione di diversi elementi di trama/contenuti che conducono lo spettatore verso un’esperienza appagante per il pathos trasmesso, ma meno intensi e coinvolgenti rispetto alla precedente trilogia.
Si rimarca, anche in questa sede (così come nell’altra che trovate QUI), che Lo Hobbit: La desolazione di Smaug alla fine è piaciuto allo scrivente, che l’ha trovato interessante, di intrattenimento, gustoso e per niente pesante, a differenza di quanto accaduto col capitolo precedente.
Siamo concordi su questo? Possiamo mettere agli atti che chi scrive l’ha comunque apprezzato, al netto dei lati negativi e del fatto che tutto quello che non menziono/criticherò d’ora innanzi è particolarmente ben fatto, se non bellissimo?
Perfetto.
Avviso anche che potrebbero esserci degli spoilers quindi non scrivetemi in ventimila per dirmi che vi ho rovinato la sorpresa.
Se per voi è lo stesso, sarei dell’avviso di affrontare il tema meno scottante, ossia il secondo, quello riguardante l’uso della CGI. Il perché è presto detto: si tratta di un tema che possiamo approfondire poco al di là di determinati dati oggettivi, per quanto l’unica scriminante seria possa venire dalla qualità della pellicola – alcuni cinema in Italia sono dotati di un sistema che supporta l’High Frame Rate 3D – o la presenza di nuovi mezzi quali l’High White Screen o la presenza dei proiettori Cinemeccanica 4K, il che può costituire una sensibile differenza nell’esperienza sensoriale vissuta.
Nonostante il 3D aggiunga una profondità maggiore e garantisca una più completa immersione dello spettatore nelle vicende, pure si deve ricordare che questa tecnologia è e resta, ad oggi, una variante, e quindi non v’è obbligo alcuno di dover vedere un film in quel formato; è necessario e fondamentale – direi obbligatorio – che il film sia perfettamente godibile e parimenti bello anche se visto in 2D perché, laddove nessuno può contestare la maggiore bellezza dell’esperienza tridimensionale, è altrettanto importante che la visione “normale” non venga penalizzata dal fatto che il film sia stato concepito fin dall’inizio in 3D e che la qualità ne possa risentire, altrimenti andrebbe eliminata definitivamente la visione 2D e pace.
Ora, la CGI de Lo Hobbit – La Desolazione di Smaug colpisce parecchio per essere abbastanza fastidiosa in alcuni momenti: le api di Beorn erano davvero poco armonizzate con lo sfondo e con lo stesso Bilbo, riportandomi alla mente i primi film del genere, tra cui Chi ha incastrato Roger Rabbit (che, a tempo perso, è del 1988 ossia di venticinque anni fa), il quale aveva anche la scusante di portare in scena cartoni animati e non di ricreare figure “realistiche” come dovrebbero esserlo delle api, per quanto enormi; ma tant’è, la loro presenza durava sette, dieci secondi e non infastidiva più di tanto – nonostante fosse particolare difficile da non notare.
Le note dolenti nascono tuttavia nella scena della fuga dei nani, che com’è noto scappano dalle prigioni di Thranduil all’interno di alcuni barili scaricati nel fiume: per quanto sia una sequenza divertentissima, piacevole e assai di intrattenimento, riuscendo anche a togliere il fiato per il ritmo frenetico e la tensione che scaturisce dalla visione, sia pur con alcuni eccessi che sono più adatti ad un cartone animato (e due!) che non ad un film verosimile, ancorchè fantasy – da Bombur che combatte dall’interno del suo barile tirando fuori le asce fino a Legolas che usa alcuni orchi come skateboard o combatte come Neo in Matrix in versione ninja (ma ci torneremo) –, a livello grafico le immagini sono davvero “troppo pulite”. Si vede TROPPO che sono girate in CGI, ossia che ci sono pochi elementi veri, fisici, e tutto il resto è creato al computer: e, per quanto si sappia che è proprio il “tono” di questa nuova trilogia ad essere differente, perché sono le storie ed il tenore dei libri ad essere diversi, pure non si può non fare un paragone con la Trilogia precedente (il maiuscolo è d’obbligo) e rimarcare quanto poco realistico appaia a livello visivo questa nuova esperienza, così come impostata e resa graficamente e visivamente da Peter Jackson.
Anche qui, non credo che ci siano particolari dubbi sulla fondatezza delle mie asserzioni.
Gli effetti visivi de La Compagnia dell’Anello, Le Due Torri o Il Ritorno del Re risultano essere un metro di paragone inclemente perché è impossibile spiegarsi la motivazione del fatto che quelli di film dello STESSO regista, usati per film NELLA STESSA AMBIENTAZIONE appaiano essere DIECI volte migliori di quelli impiegati in una nuova trilogia girata DIECI ANNI DOPO.
Ultimo, doloroso elemento, è la scena (attenti agli spoilers!) dell’oro fuso dai nani col quale i furbi cercano di uccidere Smaug: far fuori un drago che sputa fiamme usando il fuoco e l’oro fuso. Geniale. Tipo cercare d’ammazzare un orso polare chiudendolo in una cella frigorifera.
Come si scriveva, la scena in cui l’oro viene fuso e Thorin stesso cavalca questo “fiume” incandescente è abbastanza fastidiosa: anche qui si nota troppo che è tutto finto, e per quanto nessuno voglia dire che P.J. avesse dovuto usare del vero oro per la scena, è lecito pure chiedersi se quella stessa non si potesse girare in modo differente, magari con della lava vera da modificare successivamente al computer o armonizzando meglio i colori, variando i filtri. Insomma, trovando un modo per non far vedere così tanto che è tutto finto.
Magari quest’ultimo aspetto può essere meno evidente, paradossalmente, perché tra vapori, incandescenze e pathos della scena – davvero emozionante – è possibile pure che lo spettatore non ci faccia troppo caso.
Per la legge di compensazione, si rimarca che Smaug da solo valeva il prezzo del biglietto, e che è stato reso da Dio, graficamente parlando. Non si poteva fare di meglio, proprio per nulla.
Quanto cacchio era grande, quel drago.
-RIELABORAZIONE EVENTI-
Spendendo poche parole circa l’evoluzione della trama e certune scelte destinate a rielaborare la storia, si è notato come Beorn abbia avuto un ruolo davvero stringato, e da più parti, giustamente, ci si è chiesti se non fosse meglio eliminarlo del tutto – un po’ come accaduto con Tom Bombadil – anziché rischiare di inserire un personaggio che potenzialmente ha tanto da dire ma che non risulta approfondito per nulla, tanto per tempo dedicatogli quanto per l’effettiva utilità ai fini della trama (solo prestare i pony?). Senza anticipare tematiche che svilupperemo in seguito, in questa sede premeva sottolineare che, per lo meno nel modo in cui è stato inserito, Beorn non pare avere alcuna reale utilità e, sebbene si sappia già che la storia di Beorn verrà approfondita maggiormente nei contenuti extra della versione estesa (lo hanno annunciato l’attore che lo interpreta e lo stesso P.J.), pure si ha la sensazione di un’introduzione svogliata del personaggio e non si comprende nemmeno la sua funzione, a cominciare dalla rocambolesca irruzione in casa sua fino al momento in cui i nani abbandonano i pony.
Vedremo nel prossimo film che ne sarà del nostro mutatore di pelle.
Ciò che appare abbastanza manifesto è che Peter Jackson ha perso qualche colpo a livello di composizione degli elementi e nelle scene di attacco/raccordo: laddove i primi dieci minuti di film, con l’incontro tra Gandalf e Thorin, sono abbastanza superflui e utili sempre e solo ad allungare il brodo (si poteva condensare il concetto che la missione di Thorin fosse inserita in un contesto più grande con poche frasi in altra occasione), è proprio l’attacco, l’inizio di questo secondo film (che dovrebbe ricollegarsi a quello precedente) a non essere funzionale; abbiamo lasciato Bilbo e compagni, salvi grazie alle Aquile, con negli occhi in lontananza quella che sembrava la Montagna Solitaria. E proprio qui li ritroviamo, ancora braccati da orchi, wargs (ossia quelli che loro chiamano “mannari”) e un orso enorme che viene scorto da Bilbo (Beorn, appunto, ossia un’introduzione davvero a caso del personaggio).
La sensazione è quella di essersi persi qualche scena e che manchi qualcosa.
Non è il caso di soffermarci sul fatto che la compagnia di nani ne La Desolazione di Smaug si scinda in due gruppi, dei quali uno resta a Pontelagolungo (giusto per offrire spunti con i quali allungare i brodo, e due anche qui!), né sul fatto che si è scelto di interpretare Bard come una specie di campione del popolo (una sorta di Robin Hood) anziché un valente arciere, ancorché dal carattere ribelle (“burbero”, lo descriverà dapprima Tolkien, e “aspro”, in seguito), la cui “freccia nera” è diventata una sorta di arpione come quelli usati tanto in Dragonheart o ne Il Regno di Fuoco per cacciare i draghi. A voler proprio essere precisi, nel libro Bard esclama:
«Freccia nera! Ti ho conservata per ultima. Non mi hai mai tradito e io ti ho sempre recuperata. Ti ho avuto da mio padre ed egli ti ebbe dai suoi antenati. Se veramente provieni dalla fornace del vero Re sotto la Montagna, va’ ora dritta al bersaglio, e buona fortuna!»
Se vi sembra che ciò significhi essere inutilmente pedissequi e pedanti, a Legolas affidate una balestra anziché l’arco, e invece che principe degli elfi trasformatelo in una semplice guardia e vediamo se nulla cambia nel modo in cui il personaggio deve venir interpretato.
Si precisa: l’interpretazione di Luke Evans nei panni di Bard è apparsa comunque buona e piacevole.
Si è già detto, peraltro, che mentre i nani per accedere ad Esgaroth debbono fare di tutto, ad un certo punto in città entrano cani e porci o, per meglio dire, orchi e wargs: questo è un errore di regia o di composizione degli elementi, perché se si vuole suggerire allo spettatore che si tratti di una città “chiusa”, poi non si può tollerare che ad un certo punto ciò non valga più. E se proprio si voleva, sarebbe bastato aggiungere qualche scena di cinque, sei secondi in cui si vedevano gli orchi uccidere le guardie – cosa che i nani non avrebbero mai fatto – e così facendo la coerenza del film sarebbe stata salva.
Infine, abbiamo la scelta di puntare su una sottotrama “amorosa” del tutto inesistente, presentata male, costruita peggio e gestita malissimo: al di là del fatto che Tauriel esista o meno, e che Legolas non fosse presente ne Lo Hobbit (romanzo), la cosa infastidisce. Questa sottotrama nasce senza motivazione alcuna, con una delle battute peggiori di sempre che si ricordano dai tempi di D&D scatola rossa, quando elfi e nani si mandavano a quel paese, e si sviluppa come una sorta di sindrome di Stoccolma al rovescio in cui è la carceriera ad invaghirsi del prigioniero.
Il fatto che i due si siano avvicinati perché hanno condiviso alcuni ricordi e vicende personali, per quanto credibile (perché almeno viene mostrata) è e resta sempre un qualcosa di forzato: se non altro, ora ci si spiega perché Kili apparisse così belloccio e poco “nanico” rispetto agli altri membri della compagnia di Thorin. Sostituire Kili con un altro nano dall’aspetto di Thorin o di Gloin in effetti avrebbe stonato un bel po’ e non avrebbe avuto lo stesso successo. Ci restano anche domande concettuali sul come sia possibile che un’elfa come Tauriel, tutto sommato “giovane”, sia capitano della guardia in una realtà di elfi, molti dei quali sopravvissuti alla guerra dell’Ultima Alleanza, o come mai, laddove il suo dovere fosse quello di proteggere e preservare Thranduil, se ne sbatta allegramente per correre dietro ai nani. Si capisce l’irruenza, si capisce la percezione differente del mondo, ma questo personaggio di elfico ha ben poco: né la grazia, né l’avvenenza nel modo di fare o nei movimenti. Arwen interpretata da Liv Tyler era credibilissima nel ruolo, mentre Evangeline Lily – che, si ripete, non è che sia proprio questa attrice eccezionale – non offre un’interpretazione particolarmente intensa e non rende l’idea di un’elfa aggraziata e compassata, quanto piuttosto di una teenager un po’… su di giri: e se mi risponderete che “bisogna giustificarla perchèéggiovane”, vi riporto al problema concettuale di un’elfa “giovane” che è capitano della guardia di Thranduil. Quindi, delle due, l’una.
–I PERSONAGGI-
Di Beorn, che peraltro ricordava parecchio Polifemo ma con entrambi gli occhi, si è già detto poco sopra: in questa sede posso solo rimarcare l’augurio che si gratti più in profondità la sua psicologia nel prossimo capitolo o nella versione estesa de La Desolazione di Smaug – il che comunque resta una bieca manovra commerciale, da qualunque parte la si guardi.
Legolas è apparso assai irruente e fin troppo caricato, assai meno elfico di quanto avrebbe dovuto mostrarsi, oltre che iroso e battagliero, spocchioso ed avventato: vederlo detergersi il sangue dal naso con noncuranza, e quasi “arrabbiarsi” per l’affronto subito, dà un’immagine molto lontana da quella dell’elfo che legherà così tanto con Gimli e che si affezionerà agli Hobbit al punto di seguire Aragorn e il Nano per 45 leghe a piedi pur di salvarli. Una cosa simile me la aspetto da un nano “cazzuto”, non da un elfo, e quel Legolas che si scontra contro Bolg, il figlio di Azog, mi aspettavo quasi che gridasse “Non fa male! Non fa male!” come Rocky. Il suo legame con Tauriel fa molto storia da giochi di ruolo online, con una trama precostituita, una banalizzazione di sentimenti (anche perché Legolas lascia trasparire ben poco tutto questo “affetto”, salvo proprio volerlo leggere nello sguardo e udirlo dalla bocca di Thranduil) e ben poco pathos.
Appare più simile ad un elfo silvano per carattere, anziché ad un elfo sinda. Ed è troppo, TROPPO forte e poco credibile: non perché “giovane o vecchio”, dato che molti si stanno scontrando sul definire l’età che dovrebbe avere il personaggio, ma semplicemente perché è PIU’ giovane e quindi dovrebbe essere MENO ESPERTO di quanto appaia ne Il Signore degli Anelli. Invece, il Legolas presentato ora è molto più abile, veloce, preciso, esperto e letale del futuro sé stesso: e questo è un errore imperdonabile per un regista, ma anche per uno sceneggiatore come P.J.: un Legolas così sopra le righe avrebbe ammazzato tutti gli orchi di Moria, per dire. Da solo. A sputi.
Arriviamo infine, anche se l’abbiamo temuto, a parlare di Tauriel, l’elfa che è poco elfica. Ho già accennato al fatto che non ha trasmesso la grazia, il portamento o la presenza scenica di Arwen, e per quanto quest’ultima fosse una “principessa elfica” e Tauriel “solo” una semplice guardia silvana, pure c’è da dire che l’idea di elfa la trasmetteva solo in parte. Ma questo non è un grosso problema e magari è una cosa che ho pensato solo io.
Tauriel però costituisce un enorme problema: intanto, la sua presenza finisce per ridurre lo spazio destinato ad altri personaggi (a livello di inquadrature, ce ne sono quasi di più di lei che di Bilbo o Thorin), fino al punto che ciò che più doveva rendere evidente la maturazione di Bilbo, ovvero il piano per far fuggire i nani, assume un connotato di casualità che non mi è piaciuto. Nel libro, lo Hobbit studia attentamente le abitudini degli elfi, impara a conoscere l’ubicazione delle stanze e dei corridoi e a pianificare con INTELLIGENZA il modo di fuggire da un luogo così ben difeso, cogliendo sicuramente l’occasione giusta, questo va detto. Di tutto questo non c’è traccia alcuna (contenuti speciali?). Secondariamente, si rimarca che sia stato forzatissimo l’avvicinamento tra lei e Kili, e nessuno si azzardi a tirare in ballo l’infatuazione tra Gimli e Galadriel, dato che è lo stesso Tolkien a parlare di questi due personaggi e a voler caratterizzare in modo così particolare ed ESCLUSIVO Gimli. A questo proposito, leggendo in giro ho notato una cosa a cui non avevo pensato e che potete trovare affrontata per esteso QUI: il reale motivo per cui Tauriel è un errore sta nel fatto che va a rendere il successivo legame Legolas-Gimli privo della eccezionalità che invece dovrebbe contraddistinguerlo; e quella amicizia speciale, la prima da secoli degna di rilievo tra le due stirpi, tra Gimli, figlio del nano Gloin incarcerato da Thranduil, e Legolas, un discendente di quegli elfi che vissero l’orrore dell’uccisione del loro Signore Thingol, a causa della brama di alcuni nani, adesso non ha più la stessa magia ed eccezionalità che aveva assunto in precedenza.
La presenza di Tauriel ha distrutto questo, perché adesso il metro di paragone, il “così tutto è iniziato”, saranno lei e Kili, e non Legolas e Gimli: sembrerà poco, ma a livello concettuale è un errore enorme, così come è enorme l’errore che viene fatto dando a quest’elfa anche il potere di curare. Molte diatribe sono sorte sulla possibilità che l’Athelas venga o meno utilizzata da altre persone oltre ai Re Consacrati (Aragorn, si diceva nel precedente articolo), ma glissiamo anche su questo punto, al meglio accertandone che la cosa non è scritta a chiare lettere: ma citando quanto riportato in Laws and Customs of the Eldar, “Gli Eldar ritengono che occuparsi della morte, anche se in maniera lecita o per necessità, diminuisca il potere della guarigione” e quindi si può affermare che Tolkien sia esplicito a sufficienza in quanto non esiste un guaritore che sia anche un guerriero, da cui la eccezionalità di Aragorn che può combattere e curare (“le mani del Re sono mani di Guaritore”) e la peculiarità di Elrond, che però è un mezz’elfo.
Si potrà discutere finché si vuole se la Lily abbia offerto una buona interpretazione o meno, o se sia elfica o meno: ma la sua stessa presenza è stata uno sviamento pesante dalla trama principale, così come era apparso fin dal principio; col senno di poi, si può dire che avevo ragione il giorno in cui commentai il trailer de La Desolazione di Smaug mostrandomi perplesso.
– Leo d’Amato-