Dopo il successo al botteghino de “Lo Hobbit- La Desolazione di Smaug“, approfondiamo le riflessioni su questo film-evento con altre considerazioni in merito alla trama.
“Lo Hobbit è un bel film: hanno puntato molto sull’azione e su scene dinamiche forse per compensare una trama più semplice che, a quanto mi dici, è estrapolata da una favola. Quindi è secondo me più godibile, anche se suppongo che con il racconto non c’entri granché.”
Basterebbe questa frase, sapientemente enunciata da mio padre all’uscita del cinema, il quale raramente si lascia andare a commenti propri dei cinefili, per racchiudere l’essenza dell’ultima fatica di Peter Jackson (o dovrei dire Peter Jack$$$on, che dopo aver giuringiurellato che non avrebbe mai acconsentito a sobbarcarsi uno stress ed una fatica tali come quelli sopportati per dirigere la precedente trilogia, nel caso IPOTETICO – credici! – di dedicarsi anche al Lo Hobbit ha prontamente cambiato idea quando gli hanno fatto presente il quanto avrebbe potuto guadagnare se, anziché limitarsi al ruolo di consulente e sceneggiatore, avesse sostituito Guillermo del Toro che nel frattempo stava migrando altrove per girare Pacific Rim, visti i ritardi continui con il progetto de Lo Hobbit) .
Va detto che in queste particolari occasioni l’amore per la sintesi mirabile di tuo padre riesce a far breccia tra le sensazioni contrastanti che provi, e così decidi di aprire con una sua citazione anziché con una spiegazione pressoché lunghissima e probabilmente inconcludente sul perché, da una parte, questo nuovo capitolo di questa dolorosa trilogia (ci torniamo dopo) ti sia comunque piaciuto, e sospetti che a parlare sia lo Sfegatato, mentre dall’altra proprio non riesci a mandarla giù, perché parlano al contempo tanto il Purista che il Logico.
Breve parentesi sul dolore di cui sopra: estrapolare da un racconto (che fosse una favola o meno non conta, hanno tratto da storie come “Hansel e Gretel” e da “Biancaneve” due filmacci fantasy in cui, a parte i nomi, si sono inventati tutto di sana pianta) di scarse trecento pagine ben tre film che superano abbondantemente le due ore di durata è cosa di quelle che ti fa male al cuore. Perché, se con meno amore per il profitto – qui c’è stato solo un discorso di profitto, non ditemi di no – avessero optato per massimo DUE film, sarebbe stato perfetto. Ma dato che nella logica di Hollywood la trilogia è come le ciliegie, e una tira l’altra, eccoci a dover affrontare l’impresa d’aspettare per un altro anno la conclusione della storia, così come rielaborata da P.J.
In primis, togliamoci un dente grosso come una casa, così eliminiamo anche il dolore ed evitiamo contestazioni superflue: La Desolazione di Smaug è un film fatto bene, con un’ottima fotografia che, per quanto troppo pulita rispetto alla trilogia precedente – e ne perdono il realismo e la crudezza delle scene che sembravano dipingere una realtà decadente in cui si muovevano Aragorn & soci – è comunque migliore di quella sfruttata in Un Viaggio Inaspettato (di seguito abbreviato in UVI), in cui i filtri e i colori erano tali che poco poco sembrava un cartone animato. È un film fantasy fatto benissimo, con scene d’azione entusiasmanti e un drago cinematografico assai migliore, sotto il profilo grafico rispetto a Saphira di Eragon (che pure restava uno dei draghi meglio realizzati nella storia del cinema, per quanto fosse inserito in un film orrendo) e sotto il profilo delle movenze e dell’animazione – specie della mimica “facciale” – di Draco di Dragonheart: un drago la cui indole subdola, manipolatrice e distruttrice viene resa magistralmente da una delle voci migliori nel panorama del doppiaggio italiano, ossia Luca Ward. La Desolazione di Smaug (abbreviato in DdS d’ora innanzi) è una pellicola bella, specie rispetto al capitolo precedente, a tratti soporifero, a tratti mal sceneggiato, a tratti involontariamente comico (le sequenze a Goblingate erano imbarazzanti).
Infine, aggiungo senza falsa coerenza, è un film fantasy davvero pregevole perché ha atmosfere, personaggi, una storia e azione, sullo sfondo di una vicenda che è più grande di quanto delineata dalla penna di Tolkien, il quale ignorava ancora a quanti nerd avrebbe dato conforto il suo mondo, nonché agli appassionati di letteratura seria e ben scritta.
Il problema vero è che qui si ferma il tutto: non è certo poco, specie in un panorama desolante e povero nelle idee come l’attuale cinema d’oltreoceano, ma non è comunque quanto era lecito aspettarci, perché le rimostranze di quanti gridano al capolavoro e si sentono feriti per lesa maestà dalle critiche verso questa pellicola non possono trovare terreno fertile anche a volersi mantenere “imparziali”.
Partendo con ordine, laddove UVI era un film gradevole o, a voler essere buoni, “molto bello” perché in larghissima parte aderente a quella parte di racconto su cui P.J. ha costruito il primo capitolo della saga (pur risultandone un film lento e tirato per i denti per arrivare alle fatidiche due ore e passa di durata), in questo DdS si può notare un deciso passo in avanti per la spettacolarità, il ritmo, l’azione e il pathos, ma due decisi passi indietro per quanto concerne la fedeltà all’opera di Tolkien.
Le cose che meno mi hanno infastidito, almeno in proporzione alle altre – perché si tratta di cose non di poco, ma rispetto al resto sono tutto sommato un’inezia –, sono l’introduzione di Beorn, frettolosa e mal gestita, con un mutaforma liquidato come una sorta d’orso mannaro che, in versione animale, perde la ragione e attacca la compagnia; l’introduzione stessa al film, con un flashback inerente l’incontro tra Gandalf e Thorin mesi prima della partenza narrata in UVI , il quale fa perdere INUTILMENTE qualcosa come quasi dieci minuti di film che potevano venire dedicati ad approfondire la figura di Beorn di cui sopra, che teoricamente dovrebbe avere un ruolo importante nel prossimo film e che qui sembra una figura marginale, nonché l’uso dell’athelas che dovrebbe essere riservato ai soli Re consacrati (Aragorn e la stirpe dei Dunedain del Nord, tanto per dirne una); non sono invece un’inezia in termini di fastidio – per quanto ancora tollerabili – gli orchi guidati da Bolg, che ho ribattezzato “orchi stealth”: in pratica erano invisibili e impercettibili a tutti, arrivando DOVUNQUE: a ridosso delle porte del Reame di Thranduil senza che le sentinelle se ne accorgessero (hai voglia a ordinare “che nulla accada che io non ne venga informato!”, caro Re degli elfi, se vi arrivano sotto il naso così facilmente), nei pressi del territorio di Beorn con lui che, pur mutato in orso, non li fiuta (boh!) e persino in piena città, a Pontelagolungo, passando comodamente di tetto in tetto, laddove per far entrare i nani di nascosto ci hanno intrattenuti tipo per un altro quarto d’ora-venti minuti di film, sfruttando Bard, sfruttando un carico fasullo, corrompendo un funzionario (o quel che era), dimostrando così una certa debolezza nelle misure anti-orco da parte di Esgaroth (altro nome di Pontelagolungo) ed eccezionali misure anti-nano ed anti-Bard. Insomma, abbiamo i primi Orchi-Ninja della storia. Sono queste sottigliezze, che nemmeno tanto sottili sono, che contribuiscono a far nascere un grosso “mbah!” nel cinefilo Purista e Logico; lo Sfegatato invece… no, nulla, perché a parte gli orchi tutto quanto è grossomodo reso in modo perfetto, dalla situazione politica alle problematiche economiche connesse al dare asilo ai Nani.
Il problema è costituito da altro: ossia, dalla presenza costante, ripetitiva, ridondante, degli ELFI.
Abbiamo capito che nella trilogia precedente le doti di “figosità” degli elfi erano state accentuate (da un salto da fermo su di un cavallo in corsa o l’uso dello scudo come skateboard ne Le Due Torri, tanto per dirne una, fino alla epicità sboronica di turno ne Il Ritorno del Re in cui Legolas saltava su un Mumakil/Olifante combinando un macello, letteralmente, e a te veniva un – sia pure col sorriso del bambino contento – “mè, vabbe’!”), ma lì si poteva comunque supporre fosse Legolas ad essere un caso unico, considerando che al Fosso di Helm di elfi morti ce n’erano un bel po’ e nessuno aveva fatto acrobazie sulla falsariga del membro della Compagnia. Qui però si esagera! A parte la presenza di un’elfa silvana inventata di sana pianta da P.J. (ci torneremo) interpretata da Evangeline Lily, qui vediamo Legolas e Tauriel (l’elfa, appunto) combattere con movenze ed una perfezione che nemmeno Neo in Matrix: ruotano, danzano, combattono, incoccano, scoccano, contemporaneamente tirano un pugnale, riprendono l’equilibrio schivando nel mentre un attacco alle spalle con una perfetta torsione a 90° in stile Neo, già citato, o saltare da orco ad orco usandoli a tratti persino come skateboard (si vede che gli scudi erano a fare il tagliando, quel giorno) , con una grazia che nemmeno Drizzt do’Urden, il celebre drow ambidestro.
A prescindere, Evangeline Lily la ricordiamo per, ehm… per che cosa? Andiamo sul sito “chiccacchioèEvangelineLily.com”… tic, tic, premo Invio: Freddy vs. Jason, Ho rapito Sinatra, Hurt Locker poi, Smallville, Lost.. ah. Ok. Ehm. Bho.
Immagino che inserire un’attrice così di peso fosse necessario per un buon battage pubblicitario e… no, vabbe’, lasciamo perdere.
Evidentemente ci sarà stato un incontro molto intimo tra lei e P.J. per convincere il regista ad inserire un personaggio del tutto creato ad hoc solo per lei. Vai a vedere che Luca Tersigni, nel suo romanzo parodia La Compagnia dell’Anellide, ci aveva visto giusto…
Ora, va bene tutto, ma un gigantesco: “Vaff…” ti sorge spontaneo: non che siano brutte scene, girate male, o sprovviste di epicità. No, lo Sfegatato ci sta dentro di brutto: e forse forse anche il Purista, che sa quanto gli elfi sappiano fare i fighi: anche se fa strano vedere un Legolas che, per quanto PIU’ giovane rispetto alla trilogia precedente, pure appaia MOLTO più forte. Ma il Logico dice: “era necessario girare una sequenza lunghissima come quella, per quanto sia la più adrenalinica vista al cinema negli ultimi anni?” Anche qua, decidano altri, ché ancora ancora non siamo arrivati al peggio.
Ciò che stona è, a livello concettuale, il fatto che questo film, ispiratosi (assai liberamente, viene da dire) alla parte centrale de Lo Hobbit (romanzo) avrebbe dovuto consacrare in tutto e per tutto il coraggio e la maturazione completa di Bilbo da timido Hobbit che desiderava tornare a casa e non vivere avventure perché “fanno fare tardi a colazione”, a persona dotata di spirito di iniziativa in grado di farsi rispettare da parte dei nani, Thorin incluso, e essere un leader ed uno scassinatore provetto, come Gandalf aveva predetto (“lo sarà quando dovrà”). Nel film di P.J., purtroppo, gli elfi rubano moltissimo spazio allo Hobbit, anche a Bosco Atro – una sequenza resa benissimo, va detto – dove avrebbe dovuto fare la parte del leone: la compagnia dei Nani avrebbe dovuto sapere che Bilbo possiede un anello in grado di far scomparire (altrimenti non si giustificherebbero tutti gli eventi successivi al cui rispetto P.J pare invece essere così attento, con le anticipazioni di quello che sarà il tema della Guerra dell’Anello), e Bilbo avrebbe dovuto avere molta più importanza ai fini della fuga dei Nani, continuando a proteggerli e permettere loro la fuga (questa scena SI’ che doveva essere allungata) fino a che Thorin & co. non fossero stati catturati dagli elfi, come da copione.
Allo stesso modo, Bilbo sarebbe dovuto apparire molto più astuto nel congegnare un piano per la fuga, mostrarsi dubbioso sulla propria sorte e domandarsi se andarsene o meno, dato che possedeva un anello che rende invisibili; e, a voler proprio far parlare il Logico, sarebbe dovuto essere molto più duro verso i Nani, spingendoli a doversi fidare di lui, anziché ricorrere alla solita leadership di Thorin per convincerli ad entrare nei barili e, per quanto sia un’inezia, gli elfi stessi non avrebbero dovuto sapere della fuga dei prigionieri attraverso il fiume, altrimenti non si capisce perché Thranduil non abbia mandato subito un esercito a riprenderli presso l’unica destinazione possibile: Pontelagolungo, appunto.
“Sì, ma viene giustificato dal fatto che lui aveva ordinato di sorvegliare i propri confini!” potrebbe dire qualcuno; e la risposta è: se lasci che persino si fugga da casa tua e gli orchi arrivino alle CHIUSE meglio sorvegliate della Terra di Mezzo così facilmente, ringrazia il cielo di avere ancora un regno, e prima di sederti sul trono verifica che non te l’abbiano rubato da sotto il sedere, Re-Demente.
Bilbo viene molto sacrificato, qui: e se proprio volessimo andare a contare le scene in cui appare, i due elfi (la cui presenza è del tutto inventata) appaiono molto più spesso di lui che doveva essere il protagonista indiscusso assieme ai nani (dei quali abbiamo assistito a scene tristissime come arrivare a casa di Bard attraverso le tubature dei gabinetti: no, non guardate qui, lasciatemi solo col mio dolore). Ed è qui che il tutto comincia a scricchiolare, specie perché se il titolo è La Desolazione di Smaug, io mi aspetto, lecitamente, di vedere una desolazione di drago come si deve, una desolazione fisica e morale, in qualche senso, nonché di vivere emozioni come la privazione di affrontare un posto pericoloso in cui anche le rocce hanno le orecchie e non, invece, un paio di inquadrature ad minchiam in cui mi mostri una landa desolata e basta e fai arrivare i nani alla porta segreta giusto perché ci si era rotti le balle e alla fine un po’ tutti iniziavano a chiedere “sì, ma sto cacchio di drago appare?”.
È quindi, come qualche persona ha anche scritto, “il tono che si voleva dare al film” il problema: è involontariamente comico a tratti, in altri troppo serio (e qui si respirano le atmosfere “old Peter Jakson”, per grazia dei Valar), in altri è dotato di momenti “what the f**k?” perché ci sono cose che si potevano tranquillamente evitare, e non perché inutili, ma perché addirittura dannose visto che sviano l’attenzione da quello che dovrebbero essere il tema, la trama, la storia: apparentemente sinonimi, ma con sostanziali differenze, questi termini.
Si ribadisce: è un film come dio comanda, fatto benissimo a livello di pura teoretica fantasy.
“Si ma il resto? Non dovevi parlare degli elfi? E del drago? E questa Tauriel chi è…?”
Abbiate pazienza, cari fans… il resto arriva tra poco! Del resto, se P.J. può chiudere un film senza nemmeno darci un vero finale, film per il quale avete pagato e che non vedrete (vedremo) prima di un anno, non vedo perché non possiate aspettare di leggere il seguito, gratis, tra qualche giorno.
– Leo d’Amato-