Siamo giunti alla fine. Uscire dal cinema, con la voce di Billy Boyd in “The Last Goodbye” è stato triste, e mi ha fatto capire che tra critiche, osservazioni e complimenti è finita un’era. Qualcuno invoca il Silmarillion, ma potrebbe davvero essere finita qui. Per sempre.
Da questa malinconia ineluttabile parte la recensione de “Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate“. Identificare Peter Jackson come il male del mondo non ci ha di certo aiutato a godere di questa trilogia come forse un po’ tutti dovevamo fare, perché ha costituito una speranza, un contorno al Signore degli Anelli, che ci ha fatto se non sognare, almeno sorridere, dinanzi a personaggi, luoghi e storie così avvincenti ed epici.
Smaug
Il film comincia sulle ali del potente Smaug che plana su Pontelagolungo, bruciando in pochi minuti tetti, capanni ed imbarcazioni. Volando in lungo e largo diviene detentore di morte ed anime, infuocato dalla rabbia. Scene stupende si susseguono sui volteggi del drago, mentre Tauriel mette in salvo i figli di Bard ed il governatore carica una barca d’oro incurante dei cittadini (stereotipi a go go). Le fiammate di Smaug si alternano a Bard, che riesci ad arrampicarsi sul campanile, dove con un arco cerca di abbattere la bestia. Non riuscendoci, è suo figlio a dargli l’arma fatale, La freccia nera, che in un modo decisamente rocambolesco e creativa viene messa su una corda in tensione e sparata dritta verso Smaug.
Queste le parole che accompagnano la speranza di Bard nel libro de “Lo Hobbit”:
“Freccia nera! Ti ho conservata per ultima. Non mi hai mai tradito e io ti ho sempre recuperata. Ti ho avuto da mio padre ed egli ti ebbe dai suoi antenati. Se veramente provieni dalla fornace del vero Re sotto la Montagna, và ora dritta al bersaglio, e buona fortuna! “
Nella pellicola le dinamiche sono diverse, ma la freccia viene scagliata e colpisce la breccia presente nel petto di Smaug, penetrandola in maniera velenosa, rapida, fatale. La bestia fa un ultimo volteggio, poi si lascia andare senza vita sui brandelli di una città già distrutta. Smaug sembra furbo ed astuto, ma si lancia in un dialogo con Bard, avvicinandoglisi sempre più, nonostante una freccia puntata al suo petto. So (d)ragazzi.
Gandalf
Prigioniero a Dol Guldur, dopo aver avuto la “rivelazione” di Sauron questi viene salvato dalla delicata e potente Galadriel che lo cinge in un abbraccio di salvezza, pronta a proteggerlo. In quel momento il cielo si scurisce e gli spettrali colpi di quelli che erano stati i Nove re degli uomini, si palesano intorno a lei, i nazgul compaiono. Elrond ed un in formissima Saruman si lanciano un combattimento senza pari fino al palesarsi di Sauron, che mette in chiaro il suo interesse per la montagna.
Galadriel, senza forze si rialza e oppone al potere nefando di Sauron la purezza e determinazione del suo spirito. Una sequenza bellissima si consuma, ed il film rende in maniera unica questo scontro tra titani. Sauron rifugge verso Mordor, e Saruman lo segue, dicendo ad Elrond di non preoccuparsi, sarebbe stato suo compito fermarlo (vabbè). Scena e sequenza magistrale.
La guerra
L’attacco e la morte di Smaug occupano una piccola parte del film, come accade nel libro. Non appena questo evento si consuma, gli occhi di tanti ruotano verso Erebor. Bard porta i sopravvissuti di Pontelagolungo a Dale, per raggiungere poi Erebor dive incontra l’immenso esercito di elfi di re Thranduil, che marcia verso la montagna per rivendicare parte dei tesori custoditi da Thorin e i suoi uomini (nani). L’avidità colpisce tutti, dagli elfi a Thorin, che si ricopre d’oro incurante delle promesse fatte e delle responsabilità che gli toccano. Una troppo lunga analisi della “malattia del drago” si consuma in questo frangente in cui Thorin impazzisce alla ricerca dell’Arkengemma e ripete le stesse parole di Smaug in merito al non voler lasciare “un solo pezzo d’oro”. Crisi molto banale, molto ricorsiva, che il regista spalma su un tempo troppo dilatato, mentre una situazione di stallo si consuma alle porte della montagna.
In questa fase Bilbo ha un ruolo fondamentale per la mediazione, commettendo scelte ed azioni davvero poco credibili, se l’ottica con cui guardiamo il film è quella della precedente trilogia. Tiene in scacco i nani, gli eserciti degli elfi e fa il bello e cattivo tempo in una maniera che si evolve davvero con fantasia come un arcobaleno che nasce da un libro di unicorni rosa. Tutto ciò rimane fermo sino all’arrivo di Gandalf che avvisa tutti del piano di Saruman e che armate marciano su Erebor. La guerra è alle porte e, mentre l’esercito dei nani di Dain il Piediferro (cugino di Thorin accorso per proteggere la montagna) e degli elfi stanno per consumare uno scontro assolutamente poco credibile, fatto di battutine e risate, all’arrivo di orchi, goblin e troll pronti a distruggere ogni cosa convogliano le loro forze cercando un effetto sorpresa troppo banale.
Dovremo arrivare quasi a metà di questa guerra, che si divide tra Erebor e Dale prima che la regia si decida a far tornare in se Thorin che finalmente scende in guerra. Vince il premio “scena più inutile della storia delle inutilità” quella in cui Thorin ha una visione in cui viene risucchiato nell’oro stesso sul quale cammina.
Si entra così nella seconda parte di questa guerra, fatta di troll uccisi con una semplice freccia, carretti che in discesa fanno più danni di una palla di fuoco, scene rocambolesche e gente che scampa da morte certa per puro culo. Thorin, Fili, Kili e Dwalin scalano la montagna di Collecorvo per attaccare Azog e qui comincia una sessione di Dungeons and Dragons. Dopo la trappola che quei geni degli orchi, insieme alle truppe che stanno arrivando a dargli man forte tengono ai nani, Thorin si trova in una battaglia con quella merda di Azog
Si combatte con schivate dell’ultimo secondo, una regia veloce e disturbata che fa intendere che Thorin abbia ucciso Azog almeno dieci volte, ma non è mai cosi. Alla fine, come in un’avventura di D&D si gioca con gli elementi, si rompe il ghiaccio per far cadere il nemico, o ci si lascia colpire per avere un attacco di opportunità. Questa è la montagna delle meraviglia dove anche Legolas fa le sue magie. L’esercito in arrivo dalla montagna viene quasi dimezzato dalle frecce dell’elfo verdefoglia, che finiscono nella faretra non per peggiorare la situazione ma per dar modo a questi di mostrare come si uccide, ci si salva la vita e si sbaraglia ogni nemico, saltando su mura crollate, facendo leva con spade infilate in teste di troll e compiendo magie circensi che rendono davvero poco, poco, poco credibile quanto stiamo vedendo.
Mi sono divertito a guardare scontri interminabili come quello tra lo stesso elfo e Bolg tombino in testa, ma alla lunga davvero c’era poco di credibile, avrei preferito un’onda energetica o davvero una palla di fuoco.
Si contano i morti. Tauriel piange Kili. Thorin piange Fili. Bilbo piange Thorin. Momenti lacrimosi e di commozione inarrestabili si susseguono. Mentre da sfondo c’è una guerra non combattuta da nessuno. Prima che Thorin scalasse Collecorvo i nani erano in difficoltà e Thranduil aveva deciso di abbandonare la guerra. E poi? Che succede? Come si risolve? Sapere chi piange chi, aiuterà a scoprire come finisce questo scontro epocale? No. Non si sa.
Si intravedono le aquile che sbaragliano dei lancieri orcheschi. Ma non basta. Non vale, non si capisce. Qui torniamo alla favola, dove gli eroi sono eroi, e il resto sticazzi. Mi va bene che altre cose siano trascurate in funzione dei protagonisti. Ma non la guerra, cazzo, elemento chiave di quello che sarà la sconfitta di Sauron ad Erebor, ed alimenterà l’odio e la rabbia di ciò che seguirà.
Il finale
Mentre ho trovato molto posata e ben distribuita nel film, la storia del Bianco Consiglio e di Dol Guldur, che si alterna alla vicenda raccontata nel libro dei nani e di Bilbo, troppe forzature vengono inserite nel finale. Da Trhanduil che invita Legolas a trovare il figlio di Arathorn, a Gandalf che a 5 minuti dalla fine, dice a Bilbo di stare attento con gli Anelli Magici. Così, tanto sono un po’ pericolosi, non ha mica incontrato i nazgul poco tempo prima? La fusione dei binari da una trilogia all’altra è stata inizialmente ben scremata, per poi rovinare questo equilibro quasi a voler dire: “Guardate che dopo di queste viene “La Compagnia dell’Anello” eh!”
Se dovessi dire che questa pellicola mi ha deluso, emozionato, comunicato grinta e rabbia contro il male, non è stato così. “Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate” è un film onesto, ma che ha voluto mettere insieme un pubblico molto giovane con gli appassionati storici di una saga, cercando di respirare il pensiero del libro e aggiungerci epicità, colonne sonore e battutine qua e la. Il risultato è modesto, ma di certo non comparabile alla precedente (ma successiva) trilogia.
E voi? Cosa ne pensate? Usciti dal cinema avete presto a testate quella del botteghino o avete acquistato un nuovo biglietto?
– Luca Scelza-
Recensione – “Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate”
Luca Scelza
+Sequenze simpatiche ed incalzanti
+Continuità filmica armonica
+Colonne sonore
+Martin Freeman
-La trilogia di Matrix non era finita?
-Grafica computerizzata all'eccesso
-Scontri rocamboleschi sino alla nausea
-Guerra senza logica e senza un finale
-Rambolegolas