Quante volte, ragazzi, quante stramaledette volte avete amato una serie alla follia ma è intervenuta quella piccola componente, fastidiosa come la sabbia che si ammassa nelle mutande del costume in estate, corrispondente al nome di censura?
Anni fa, più o meno una decina, se con me provate a sforzare le meningi, davano Berserk su Italia 1, in seconda serata. Ricordo bene che era accoppiato con un altro anime “politically scorrect” come South Park, che a quel tempo, nonostante il doppiaggio italiano chiaramente edulcorato, fece scalpore tanto da suscitare le ire del MOIGE, l’associazione formata dai genitori, col compito di monitorare qualsiasi cosa passi in televisione e segnalare tutto ciò che possa risultare “disturbante” per i loro pargoli. Allora frequentavo ancora le medie, ma facevo tranquillamente le ore piccole per farmi quattro risate con Cartman e soci, o gasarmi abbestia sentendo partire Tell Me Why, opening della serie tratta dal truculento manga di Kentaro Miura.
Nel corso degli anni, dalle mazzate di Dragonball a quelle più recenti di Naruto, dalle provocanti guerriere di Sailor Moon alle volgarità dei Griffin, tutto tutto tutto tutto tutto quello che è passato sui nostri schermi che risultasse all’apparenza violento o contenente contenuti sessuali e provocatori è stato cancellato o censurato, per buona pace delle mamme italiane.
Ultimo capitolo di questa epopea del perbenismo? Game of Thrones.
La nostra serie fantasy preferita è finalmente approdata in chiaro, in prima serata, sui lidi di Rai 4, canale del digitale terrestre, dopo la trasmissione satellitare delle prime due stagioni a cura di Sky.
E, manco a dirlo, subito esplode la polemica! Ecco i fatti: dopo la messa in onda delle prime due puntate si registra l’aspra reazione di Luca Borgomeo, presidente dell’AIART (Associazione Italiana Ascoltatori Radio e Televisione, animata da puro spirito cattolico), il quale, in un comunicato stampa, non esita a definire Il Trono di Spade “volgare, pornografico, con insistite scene di violenza e sesso“. Continuando su questo tono, ha additato gli autori della serie come “alla ricerca dell’Oscar per la depravazione“, e che questo abuso della fascia televisiva è un vero e proprio segno “di incultura del servizio pubblico radiotelevisivo“. Qualcuno dei suoi collaboratori dovrebbe magari gentilmente spiegare al presidente che gli Oscar vengono assegnati esclusivamente al cinema, mentre per la televisione esistono dei premi appositi detti Emmy. E che la serie ne ha finora già vinti 8. A proposito di riconoscimenti, si registrano subito le prime reazioni del popolo del web, imbufalito, e di Carlo Freccero, direttore di Rai 4, il quale ha difeso a spada tratta i racconti di Martin, ribattendo che per fortuna “in Italia esiste una tv libera, non talebana. Il Trono di Spade – continua – va molto al di là di un fantasy di routine, provocando domande sull’essenza del potere e dell’impotenza, sul desiderio di regnare e sull’atto stesso del regnare. Stiamo parlando di una serie per la quale si tengono corsi filosofici nelle università americane“. Insomma, ragazzi, siam mica qui a smacchiare i giaguari? (cit.)
Quello che mi colpisce e più mi lascia allibito di più in tutta questa storia, tralasciando il fatto che ogni puntata presenta un bollone rosso grosso così per tutta la durata della messa in onda, anticipata dal classico “Attenzione! la visione non è adatta ad un pubblico bla bla bla“, è che in questo Paese è molto facile utilizzare e difendersi dietro termini come INCULTURA. Incultura… voi che dite, illyoniani, è mancanza di cultura proporre al pubblico (che non è formato da sole fasce giovanili, ricordiamolo) un prodotto capace di dare stimoli, di appassionare, di intrigare, un qualcosa che presenti una serie di sfaccettature talmente ampie da meritare l’analisi di specialisti e che genera dibattiti nei forum, crea aficionados in tutto il globo, un fenomeno comunque fonte di aggregazione sociale? (perché di fenomeno editoriale/multimediale/mediatico stiamo parlando, pochi cazzi). È vero che magari la diffusione di Internet aiuta tanto, e col tempo Game of Thrones è diventato di moda, o “mainstream” come si suol dire oggi, ma quello che voglio sottolineare è questo: è più incultura un qualcosa del genere, o lobotomizzare il pubblico con programmi scontati, scialbi, spiattellandoci in faccia tette, matrimoni di celebrità di cui si sentiva così tanto la mancanza (yeeeaah, come no…), fintissimi programmi di approfondimento giornalistico all’insegna del perbenismo, anziani che ballano e che cercano l’ammòre? Fa più cultura proporre ogni cavolo di anno il solito cinepanettone che, mioddio che grasse risate, ha certamente un livello culturale immenso, perché la gente si sbellica grazie alle gag sulle feci e sui genitali? E infine, è cultura cercare di censurare quello che non si conosce/non si apprezza, isolando i nostri figli da un qualcosa che ok, magari potrebbe risultare sbagliato e scorretto per alcuni, ma non scompare certo dalla faccia del pianeta terra mettendo i paraocchi?
Il guaio è che c’è davvero chi, ogni anno, non vede l’ora che esca certa roba al cinema, per andare a ridere con i propri beniamini. Lo so, lo so, tutto questo discorso è molto poco fantasy e anche un po’ abusato, ma abbraccia la situazione reale di questo Paese. Giudicate voi stessi come siamo messi. Perché è sempre più facile nascondersi dietro a un dito che combattere per quello in cui si crede. E la vittoria del fantasy, ragazzi, come avete potuto vedere nei video del nostro disturbatore, è la nostra missione ultima!
Restate collegati perché di sicuro la vicenda non finirà qui… nel frattempo, ricordandovi che Game of Thrones è anche in onda con la terza stagione (Sky Cinema 1, il venerdì alle 21.10), fateci sapere cosa ne pensate voi lettori.
Illyon. Perché voi valete.
–Mario Venezia–