In principio c’era la satira: parliamo di un nobile genere caratterizzato dall’intelligente ed attenta critica alla società, alla politica ed a certe forme di cultura particolarmente radicate tanto nell’una quanto nell’altra, con l’intento di metterle alla berlina, diremmo noi oggi, e di porne in rilievo tanto le contraddizioni, quanto gli evidenti sbagli in cui indugiavano; parliamo di satira latina e satira greca, che poco avevano a che spartire con le forme inquinate che oggigiorno la televisione ci propina e spaccia per tale: qualcosa di vagamente vicina al genere di cui sopra era quella che, per chi è un over trentacinque, il Bagaglino mostrava. Poi, giunse la parodia, che pure non distante nel tempo dalla satira, obbediva a regole differenti, imitando un genere (letteratura, musica, altra forma d’arte) per renderlo caricaturale e prenderlo in giro, suscitando una risata nata dal confronto con l’originale – il quale, quindi, doveva essere noto a chi si accostava alla sua forma parodiata – agli antipodi della sua forma caricaturata. Infine, le commedie, di vario genere e tipo, fino a quelle più becere che siamo abituati a vederci rifilati ogni anno, a vario titolo, come se fossero ogni volta qualcosa di innovativo e nuovo, laddove riciclano cliché e argomenti vecchi poco poco di trent’anni: la commedia degli equivoci, tanto per dire, era fresca ai tempi di Totò, ma oggi è stata così sfruttata (leggi = violentata, stuprata e picchiata) da risultare un genere per nulla attraente.
Questo per quanto riguarda la contestualizzazione letteraria: poi, c’è quella storica.
L’11 Settembre ha fatto purtroppo Storia, e così anche altri episodi di fondamentalismo, come quelli di violenza in Danimarca a seguito delle strisce satiriche su Maometto, che ha fatto nascere un’ondata di sdegno nel mondo (estremista) musulmano, dato giova ricordare che i fondamentalisti non rappresentano una religione, e ciò vale tanto per i jihadisti che per l’Ira, tanto per citarne due casi. Episodi di violenza, tensioni, rabbia spesso non in grado d’essere indirizzata altrove se non verso i “nemici della fede”. Anche la Francia ha affrontato una crisi simile, pur scegliendo la libertà di pensiero e non facendosi intimorire quando si trattò di pubblicare le caricature sul Profeta.
Va detto che la tematica della libertà di pensiero e di espressione, spesso figlia di lotte, sangue e conquiste, è un valore che sovente viene svenduto per quello che è il sentimento più vecchio dell’uomo: la paura.
Questa tematica è stata affrontata in modo maturo, intelligente, satirico e graffiante anche da due episodi di un cartone animato, South Park, per la precisione il 3° e 4° della 10° stagione (Cartoon Wars I e II): in questo caso, l’oggetto era una puntata dei Griffin che, si raccontava negli episodi, avrebbe avuto per oggetto la satira su Maometto, che tra l’altro sarebbe stato mostrato, cosa che si temeva (nel cartone) avrebbe innescato diverse reazioni terroristiche. Fa strano pensare che un cartone irriverente come South Park abbia la capacità di affrontare con intelligenza maggiore di rotocalchi e approfondimenti , ma non è la prima volta che consideriamo più educativo questo cartone di tanto altro pattume che circola in rete od in televisione.
Detto questo, andiamo a porre questa premessa nella giusta correlazione dei fatti accaduti di recente.
Il 24 novembre un gruppo di hacker aveva attaccato il sito della Sony, scaricando illegalmente qualcosa come 3 terabyte di materiale vario: la cosa in sé già sarebbe grave, non fosse anche che molte cose erano coperte da segreto, tra cui la sceneggiatura del prossimo film di 007 e informazioni riservate a star come Clooney, DiCaprio e così via. Coloro che si sono resi responsabili di questo attacco informatico hanno eccepito che non avrebbero diffuso il materiale in cambio della promessa da parte della Sony di non far uscire mai più il film The Interview, senza mancare di far presente che l’eventuale diffusione del film avrebbe anche provocato una serie di conseguenze di stampo terroristico internazionale in stile 11 Settembre: dopo un primo momento, nel quale aveva accondisceso al ricatto, ché tale era, la Sony ha cambiato idea e ha preferito appellarsi al I Emendamento americano e dare spazio alla libertà di espressione, anche se si è scelto un profilo basso, ossia presentare il film in due-trecento sale indipendenti in America, mentre in Europa si è optato per il sistema “on demand”, ossia Youtube, Google ed affini.
Dal canto suo George R.R. Martin, l’autore de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, ha rilasciato un’intervista in cui oltre a scagliarsi contro l’atto di codardia di ritirare il film, proponeva a Seth Rogen ed Evan Goldberg di ricorrere al suo cinema di Santa Fe per la presentazione.
Che sia o meno una manovra pubblicitaria, resta il fatto che la decisione della Sony di fare marcia indietro e di dare il film alle sale è comunque successiva ad uno scambio di mail tra George Martin ed il proprietario della Alamo Drafthouse, così come il proprietario della Sun- Ray Cinema in Florida proprio perché i cinema indipendenti si facessero carico di ospitare le proiezioni del film.
Ma perché The Interview ha provocato tali reazioni e cosa c’entra con il discorso fatto in apertura? E come mai Martin si è sentito in dovere di intervenire nella questione? E perché si è arrivati a minacciare ritorsioni terroristiche ed atti di guerra se il film fosse stato distribuito nelle sale cinematografiche?
È presto detto.
The Interview è un film che in modo satirico si prefigge di raccontare una storia – e, si rimarca, una storia – che essendo parte di un film è e resta pura opera di fantasia. Fantasia, eh! Nulla di reale.
Questa storia verte su due personaggi, Dave Skylark, che è il presentatore di un talk-show (un omaggio a David Letterman?) interpretato dall’assai bravo James Franco e il di lui produttore, Aaron Rapoport, interpretato proprio da Seth Rogen che è anche regista e sceneggiatore del film , i quali ottengono la possibilità di realizzare l’intervista della vita, il colpo grosso: un’esclusiva rilasciata loro dal dittatore della Corea del Nord, Kim Jong-un. Una volta venuti a conoscenza di ciò, la CIA ingaggia i due, che appaiono fin da subito personaggi un po’ imbranati, perché si occupino dell’assassinio del dittatore, il che ovviamente aprirà la strada a tutta una serie di situazioni esagerate nel puro stile della commedia.
Tutto qui. “È tutto, fottutamente, qui”, per dirla come Seth Rogen che ha ringraziato coloro che hanno preso d’assalto le sale indipendenti in cui il film è stato fatto uscire, creando già il tutto esaurito.
Ricapitolando: quindi… rischiamo atti di guerra e terrorismo… per una parodia/commedia satirica?
E poi dicono che siamo noi appassionati di fantasy ad essere i pazzi della situazione.
Che il film sicuramente sia destinato a mettere alla berlina il regime nordcoreano di Kim Jong-un, è palese: ma, in questo caso, paventare addirittura attentati terroristici come conseguenza del fatto esso venga reso pubblico è troppo persino per gli standard della Corea del Nord, che pure non è propriamente un paese illuminato dalla democrazia, e fa precipitare la popolarità di questo paese ai medesimi livelli di quelli in cui jihadisti e i talebani la fanno da padrone.
Mai come in questo caso è apparso chiaro che certi estremismi rappresentano una realtà con cui non si può dialogare: non è certo la prima volta che vengono ridicolizzati o peggio personaggi politici, tanto nostrani quanto americani: film come Il Caimano o Fahrenheit 9/11 avrebbero allora dovuto far nascere tumulti di piazza e rappresaglie, a questo punto; è proprio vero che ti accorgi di tenere ad una cosa solo quando rischi di perderla, e così è anche per la nostra libertà d’espressione, pensiero, parola.
Meno chiaro è se il regime di Kim Jong-un abbia qualcosa da condividere con l’assalto degli hacker del 24 novembre (i “Guardians of Peace”), i quali per buona norma hanno replicato nella giornata del 25 dicembre con un ulteriore attacco ai server Sony e Microsoft (“abbiamo attaccato la PlayStation e la Xbox”, recita il comunicato dei Lizar Squad, un nuovo gruppo di pirati informatici), ma a prescindere le minacce di ritorsioni sono apparse abbastanza remote e di difficile realizzazione.
Martin, a tale proposito, ha dichiarato: “Questo è davvero surreale. Voglio dire, davvero??? Queste corporation giganti, molte delle quali sarebbero in grado di comprare la Corea del Nord con poco, decidono di non far uscire un film perché Kim Jong-Un non ama essere deriso? Il livello di codardia corporativo mi sconvolge. E’ un bene che questi tizi non fossero in giro quando Chaplin ha realizzato Il grande dittatore. Se hanno paura di Kim Jong-Un, con Adolf Hitler se la sarebbero fatta sotto. Anche Sony, che ha fatto il film, segue questo esempio vile. Ci sono migliaia di piccoli cinema indipendenti in tutta la nazione, come il mio, che sarebbero felici di mostrare The Interview e non temono le minacce della Corea del Nord, ma invece di far uscire il film in queste sale, Sony ha preferito cancellarlo del tutto. Non ho visto The Interview. Non so se sia un buon film o meno. Potrebbe essere esilarante. Potrebbe essere stupido e offensivo e oltraggioso (sono abbastanza certo che sia oltraggioso). Potrebbe essere tutte queste cose insieme, ma non è questo il punto. Se sia il nuovo Quarto potere o il nuovo Plan 9 from Outer Space (del famoso regista Ed Wood, NdR), mi sconvolge che un film di Hollywood possa essere soppresso a causa di un gruppo di hacker anonimi. Per quanto conti, il Jean Cocteau Cinema sarebbe felice di proiettare The interview (sempre che la Sony non voglia farlo uscire direct-to-DVD), noi ci rendiamo disponibili. Vieni a Santa Fe, Seth, mostreremo il tuo film per te!”
Personalmente, lo scrivente si associa a queste considerazioni, così come in passato aveva trovato coraggiosa la scelta di Parigi di non sottostare al medesimo ricatto che aveva visto la Danimarca protagonista; ed ha tratto estrema ispirazione dal discorso che viene fatto durante l’episodio 10×3 di South Park, di cui si parlava più in alto, quando nella cittadina del Colorado si propone di nascondere la testa sotto la sabbia per dimostrare ai fondamentalisti islamici di non aver guardato l’episodio de I Griffin in cui si sarebbe mostrato Maometto: “[…] e che siamo tutti uniti nel difendere il nostro diritto di ogni persona dire ciò che pensa: siamo onesti, per noi è stato facile dire quello che ci passava per la testa ed in questi ultimi decenni la nostra libertà non è stata mai messa in pericolo . Ma dobbiamo essere pronti a difenderla , e questo è il momento per farlo: se tutti noi non saremo disposti a rischiare per ciò che abbiamo, allora significa che non difendiamo ciò in cui crediamo.”
Al di là del fatto che questo discorso attecchisca o meno sulle menti degli abitanti di South Park, il concetto è il suo essere patriottico, cercando di mostrare i limiti i cui siamo alle volte scivolati nella incapacità di difendere un diritto acquisito per il sacrificio ed il sangue altrui ed esprimendo la concezione occidentale e liberale del diritto di espressione: ogni persona è libera di mostrare la sua cultura e non dovrà mai accadere che venga meno questo grande fondamento etico e morale. Si tratta di una critica alla censura ed al fondamentalismo che soffoca e paralizza tanto la coscienza quanto l’intelletto, avvalendosi della paura.
Una cosa è sicura: che ad oggi, con il fenomeno mediatico che si è creato attorno a questo film, e mentre la Russia si schiera con la Corea del Nord nel definire il film “scandaloso”, The Interview non poteva beneficiare di maggior battage pubblicitario. E, come recita un vecchio adagio, “parlatene bene, parlatene male, purché se ne parli.” In questo senso, se davvero il regime nordcoreano è dietro questi attacchi hacker e mirava a relegare nell’ombra questo film, non poteva fallire più clamorosamente.
-Leo d’Amato-