Amici carissimi, che è mai il cuore dell’uomo! La mia anima è pervasa da una mirabile serenità, simile a queste belle mattinate di dicembre che io godo con tutto il cuore. Ho bisogno di un canto che mi culli, e questo l’ho trovato, in tutta la sua pienezza, nel nuovo D&D 5.0!
Vi chiedete se io stia vaneggiando, cari illyoners. Forse sì e forse no. Vedete, chi vi scrive è un accanito giocatore di ruolo da ormai ben tre decadi. Erano gli anni ’80, chi di voi era già abbastanza grande da ricordarseli? Lo ZX Spectrum contro il C64, il Drive In, Ritorno al Futuro, il Cubo di Rubik, Magnum P.I., i Duran Duran, i Paninari e…Dungeons&Dragons! Sì, la mitica Scatola Rossa di D&D, è lì che è iniziato tutto. Pochi mesi di gavetta come giocatore, poi l’esordio come Dungeon Master e da lì anni, ma che dico, decenni di divertimento sulle ali della fantasia. Ne è passata di acqua, sotto i ponti: altri sistemi sono subentrati, varie versioni di D&D si sono avvicendate, alcune con successo, altre con risultati controversi. Oggi, in un periodo che vede una sorta di rinascimento dei Giochi di Ruolo “tabletop”, arriva la quinta edizione del gioco che ha dato i natali all’intero genere e influenzato la cultura di un’intera generazione.
In questa sede non intendo formulare giudizi critici sul prodotto; se è questo che vi interessa, potete facilmente leggere le approfondite recensioni dell’esimio collega Illyoner Luca Tersigni. Mi limito a informarvi, amici isolani, che la relativa semplicità e coerenza del sistema, chiaro e non troppo (almeno per ora) vasto o complesso, hanno fatto presa su questo vecchio cuore di Dungeon Master come non accadeva dai tempi del mitico D&D Base. Chissà, forse è solo la nostalgia, la voglia di rivivere antiche emozioni ormai sopite; sta di fatto che, dopo aver pazientemente atteso, acquisito e fagocitato la triade dei manuali fondamentali (e anche lo Starter Set, lo ammetto), il vostro non più giovane Master è pronto a riunire i suoi amici attorno a un tavolo e iniziare una nuova avventura! No, un momento, c’è qualcosa che non va: ho la sensazione che manchi ancora qualcosa. Ma certo, sprovveduto che non sono altro! Come posso condurre una partita senza lo schermo del DM? Dunque, vediamo, potrei usare quello di una vecchia edizione e magari allestirlo con delle tabelle tratte dai nuovi manuali. Oppure farne uno tutto mio, personalizzato con le illustrazioni che preferisco, o magari potrei regalarmi quell’esagerato maniero con mura merlate e torri per il lancio dei dadi. Certo, il massimo sarebbe avere quello ufficiale, sì, quello che Chris Perkins esibiva alla GameHole Con con espressione sorniona e malandrina, quasi a dire: “io ce l’ho e voi no, sfigati!”. Quello, però, non è ancora disponibile…
Come dite? Cosa me ne faccio dello schermo del DM? Non si usano più, sono un retaggio “old school”? Tu, là in fondo, non ho sentito bene: puoi ripetere? Ah, ti sembra una superflua barriera psicologica tra il DM e i giocatori. E tu non lo usi da anni, ché tanto le tabelle le hai tutte stampate nella memoria e, comunque, quelle che ti servono davvero non ci sono mai? Tu invece, vicino alla tenda, pensi che sia un reperto superstite di uno stile di gioco che vede il DM antagonista dei giocatori? E lei, signorina, mi dice che in nome dell’uguaglianza attorno al tavolo il DM è tenuto ad effettuare i lanci di dado apertamente, senza nascondere nulla? Mentre il signore nell’angolo preferisce avere lo spazio per allungarsi verso il centro del tavolo, disegnare mappe, sistemare miniature e arraffare patatine?
Beh, nulla da dire invero, specialmente sulle patatine, ma consentitemi qualche puntualizzazione. È vero, nessuno lo contesta, che una delle funzioni dello Schermo del DM sia l’avere sotto il naso utili tabelle onde evitare, in molti casi, di rallentare il ritmo della partita per cercare informazioni nei manuali. Un buon DM lo sa: meno si spezzetta il gioco, meglio è. Ma non è certo questa la ragione precipua dell’esistenza dell’accessorio. E’ innegabile che l’oggetto funga da barriera (mica per nulla si chiama schermo), ma il suo scopo non è certo creare un distacco psicologico, una separazione tra giocatori di diversa importanza. È vero che lo schermo del DM viene oggi visto con crescente scetticismo, come un accessorio superfluo, e che è diventato quasi un vanto e una moda affermare: “io non l’ho mai usato né lo userò mai, non ne ho bisogno”, quasi si trattasse di un disonore e di una scorciatoia illecita. Esso viene infatti ritenuto un reperto di un’epoca passata da chi preferisce uno stile di gioco dove il Master è tenuto a rendere conto di ogni sua azione agli attenti giocatori e a tirare i dadi apertamente per dimostrare che non bara.
Tutto ciò può suonare logico e coerente, ma mi trova in disaccordo. L’idea che un fondamentale alleato del DM venga trattato alla stregua di un accessorio inutile e sgradito provoca un dolore profondo al cuore di questo (non più) giovine Master. Vediamo, quindi, se riesco a farvi cambiare idea. Per cominciare, il discorso del “rapporto paritario” regge fino a un certo punto. Se è infatti vero che, in qualità di esseri umani, tutti i partecipanti sono sullo stesso livello (e ci mancherebbe altro!), è altrettanto vero che, in un’ottica di mero “gameplay” il ruolo del Dungeon Master è ben diverso da quello degli altri giocatori. Mentre questi ultimi devono pensare a gestire il loro personaggio, interpretarlo al meglio, superare le sfide presentate dall’avventura in corso, il DM ha un compito ben più gravoso, ancorché piacevole: lui crea il mondo di gioco, interpreta mostri e personaggi non giocanti, si preoccupa di mantenere la partita coinvolgente, arbitra valutando l’impatto e le possibilità di successo di ogni azione, interpretando le regole, ma soprattutto deve fare in modo che tutti si divertano. A questo scopo lo schermo non è più un accessorio superfluo, ma uno strumento essenziale. C’è da fare una precisazione: il bravo DM è leale, non parteggia né tanto meno gioca contro i giocatori o i loro personaggi. Idealmente un gruppo dovrebbe mettersi con fiducia nella mani del suo Master, consapevole che egli farà il possibile perché tutti traggano divertimento dal gioco. In virtù di tali premesse, questioni come tirare i dadi allo scoperto oppure dietro uno schermo diventano irrilevanti. Non dovessero sussistere tali condizioni, ovvero si fosse in presenza di un arbitro convinto di giocare contro i giocatori, che parteggi per qualcuno a scapito di altri o persegua fini diversi dal divertimento collettivo, allora verrebbero a mancare i presupposti per partecipare alle sessioni da lui arbitrate. Dato quindi per scontato che si parli di condizioni tendenti all’ideale, le ragioni per raccomandare l’utilizzo di uno schermo sono molteplici.
Anzitutto la conoscenza di ogni regola, procedura e meccanica di gioco da parte dei giocatori, sminuisce il loro divertimento e il senso di meraviglia. Immaginatevi di giocare a un magnifico videogioco di ruolo, completamente immersi nel suo mondo virtuale, la sospensione dell’incredulità a mille, il cuore che batte nell’aspettativa di ciò che vi attende dietro l’angolo di quell’oscuro corridoio. Ora immaginate che, improvvisamente, in una” finestra di debug” sullo schermo appaiano tutti i calcoli e i processi in tempo reale che il motore di gioco svolge per gestire quello che succede attorno a voi. Il mondo di gioco vi sembrerà ancora così magico, così reale? La vostra incredulità resterà ancora sospesa? No, vero? Stesso discorso vale per D&D o qualsivoglia GdR tabletop, old school o moderno che sia . Vi voglio raccontare un aneddoto: quando chi scrive viveva le sue prime avventure nelle Caverne del Caos (Il famoso modulo “B2”), era oltremodo affascinato dagli “incontri casuali”. Nella sua ignoranza era convinto che, in qualche modo, il DM tenesse conto in ogni momento delle attività degli abitanti delle caverne, di dove si aggirassero, e che quindi gli incontri avvenissero in caso di intersezione del loro cammino con quello degli avventurieri. Più tardi egli scoprì, come tutti voi ormai saprete, che gli incontri casuali erano gestiti mediante un paio di lanci di dadi su delle tabelle di “mostri erranti”. Molto più logico e umano da gestire, ma quanto era più affascinante l’idea che le creature avessero una loro vita virtuale, sia pur “fatta girare” dalla CPU dentro la testa del DM! In sostanza, come regola generale, il non vedere tutto quello che il DM fa dietro lo schermo, ignorare ciò che è meglio non sapere, rende l’avventura più “realistica”, coinvolgente e divertente.
Nel particolare, le situazioni nelle quali lo Schermo del DM è particolarmente utile si sprecano. Per esempio, un mostro continua a colpire i personaggi: i giocatori si chiederanno se il DM sia fortunato con i tiri per colpire, oppure se la creatura sia troppo potente per loro e se sia il caso di darsela a gambe. Un personaggio cerca di nascondersi nelle ombre, ma non sa se ha avuto successo oppure è stato visto: lo scoprirà in gioco, quando un nemico si dirigerà all’improvviso verso di lui. Gli avventurieri cercano invano una porta segreta o qualcosa di invisibile ma, non vedendo i lanci di dado del DM, non sanno se hanno fallito nell’individuarla oppure non esiste. Non mostrare quello che si fa è utile anche a scoraggiare episodi di metagaming, quali: ” il DM ha lanciato un 13 ma per colpire la mia classe di armatura aveva bisogno di un 15, quindi il mostro ha un bonus di +2!”. E ancora, il DM può talvolta cambiare o decidere i risultati di un lancio di dado (solo al fine di aumentare il divertimento o giovare alla partita): quel critico di troppo avrebbe punito immeritatamente un giocatore che stava giocando bene, dunque lo ignora. Oppure, il rumore del rollio di dadi dietro lo schermo (magari lanciati senza motivo) può aumentare la suspense e tenere i giocatori sulle spine: ci sarà una trappola, arriverà un mostro? Ultimo, ma anch’esso importante, il fattore estetico: alcuni schermi sono delle vere e proprie opere d’arte, perfette per creare l’atmosfera ed ispirare i giocatori che vi stanno di fronte.
Si potrebbe proseguire con innumerevoli esempi, ma il concetto resta quello: lo schermo è una potente arma in più a disposizione del Dungeon Master per svolgere al meglio il suo compito di intrattenere, divertire e appassionare la sua “audience”. Aumentare il senso di mistero ed affrancarsi dal giogo di dover fare tutto sotto gli occhi dei giocatori libererà notevolmente il potenziale del DM, gli permetterà di ottenere partite più appassionanti e maggior soddisfazione per se stesso e per i suoi giocatori. Farne a meno si può, ma significa limitare volontariamente le risorse a propria disposizione, privare il proprio arco “masteriale” di una freccia importante. Un Dungeon Master che ambisca ad eccellere nella propria arte dovrebbe pensarci due volte prima di operare una tale rinuncia.
E voi, cari lettori, cosa ne pensate?
– Lorenzo Santini –