Tanto tempo fa, in un’Italia lontana lontana, prima dell’arrivo de Il Trono di Spade e dei suoi vari cloni americani, si producevano fiction fantasy.
Quell’epoca antica erano gli anni ’90, e quelle fiction si chiamavano Fantaghirò, Desideria e l’anello del drago, Sorellina e il principe del sogno e La principessa e il povero.
Forse qualcuno di voi storcerà il naso a sentire questi nomi, ma altri, specialmente i nostri lettori con qualche annetto in più sulle spalle, non avranno certo dimenticato l’attesa davanti al televisore per l’arrivo di una nuova puntata di Fantaghirò, o la fatica fatta per registrare la serie su VHS.
Questi titoli hanno segnato la storia della nostra cinematografia fantastica, prima dell’arrivo di Peter Jackson e delle strafamose serie kolossal. Dietro a tutte queste fiction, in realtà, c’è praticamente una sola mente, anzi due: quella di Gianni Romoli, sceneggiatore, e quella di Lamberto Bava, regista. Tutto cominciò quando, proprio all’inizio degli anni ’90, si iniziò a parlare dentro Mediaset di un format ‘per famiglie’, con una forte identità fantastica e nazionale: le favole di Italo Calvino.
Da lì iniziò una selezione delle storie più adattabili, tra cui spiccò proprio Fanta Ghirò, persona bella. Da qui, il progetto poteva prendere tante strade, ma Romoli e Bava le diedero una svolta fantasy più moderna, seppur radicata nelle radici fiabesche originali.
Fantaghirò riprende dalla favola calviniana il concetto della donna che, per farsi strada nel mondo, deve travestirsi da uomo. Un tema diffuso in tante storie popolari, e sicuramente ancora caldo oggi, quando il conflitto di genere non è stato certamente superato.
La storia narra di un re con due figlie, che desidera un erede maschio. Quando scopre che anche la terza figlia è una femmina, va su tutte le furie, tanto più che la regina muore durante il parto. Il re vorrebbe quindi sacrificare la bambina (Fantaghirò, interpretata da Alessandra Martines) alla Sacra Bestia, una sorta di demone pagano, ma viene fermato dalla Strega Bianca, e alla fine desiste. La bambina, però, cresce come un maschio, studiando, combattendo e tagliandosi i capelli in stile “scolapasta”. Il suo atteggiamento è mal tollerato, e come ogni maschiaccio Fantaghirò non vuole sposarsi con principi stranieri. Finirà per affrontare mostri, parlare con sassi, oche e pesci, far innamorare bei guasconi (Romualdo, aka Kim Rossi Stuart) e sconfiggerli in duello.
Si tratta di una storia piena di creature fantastiche, ambientata nel tipico medioevo fantasy di tante favole, con storie d’amore che finiscono sempre bene e adatte anche ad un pubblico giovane.
La prima serie fu un vero e proprio successo, conquistando 6,5 milioni di spettatori alla prima serata, e aprendo la strada ai sequel.
Furono anni intensi, se si considera che il duo Romoli-Bava produsse altre 4 miniserie di Fantaghirò tra il 1991 ed il 1996, intramezzate da Desideria (1994), Sorellina (1995) e concludendo con La principessa nel 1997. Si trattò, però, principalmente di rimpasti della stessa formula.
Sorellina parla di Alisea, una ragazza che si vede uccisa la madre e rapiti i fratelli da un mago malvagio (interpretato da Christopher Lee!), e che deve affrontare avventure per liberarli e unirsi al suo amato.
Desideria narra invece la storia di una principessa che si innamora dell’uomo sbagliato, un ribelle, e con una sorella trovatella che è in realtà una malvagia incantatrice. La Principessa e il povero torna sempre sul tema dei sovrani incapaci di concepire: Leonardo e Mirabella sono uno il principe del regno e l’altra la figlia di una contadina, ma uno scambio nelle culle voluto dal malvagio stregone Epos fa sì che i loro ruoli vengano invertiti.
Si tratta sempre di storie con protagoniste femminili, che girano intorno a maledizioni, dinastie reali, sovrani incapaci di avere figli, stregoni malvagi e oggetti parlanti. Impasti che mostrano sì sempre un po’ di creatività e innovazione, ma che si capisce essere generati in poco tempo dalle stesse menti.
Riguardandoli oggi, che ne dobbiamo pensare?
Sicuramente queste fiction sono state in grado di conquistare il pubblico nostrano, e questo anche perché sono state concepite come intrattenimento per tutti. I bambini le divoravano, e gli adulti non le disprezzavano, tanto più se tra gli attori figurava qualche bella pulzella e qualche maschio avvenente. Sono state una scommessa riuscita, perché nessuno ha avuto il coraggio, né prima né dopo, di produrre delle miniserie fantasy in Italia. Sono state una pietra miliare con cui un’intera generazione è cresciuta, replica natalizia dopo replica natalizia. Il tutto cercando un fantasy sì “ruffiano”, ma con un minimo di radice nella cultura italiana, che poco non è: prima dell’eroina dai capelli a scolapasta c’erano solo i vari Labyrinth, Excalibur, Legend, Krull, Willow… insomma, tutti titoli più o meno belli, ma invariabilmente hollywoodiani.
Eppure, dopo gli encomi, è necessaria anche una critica. Perché, infatti, questo “movimento fantasy italiano” è morto? Primo, perché si è trattato di un esperimento di una rete televisiva e di due persone, incapace di lasciare un’eredità. Secondo, perché non è stato in grado di rinnovarsi: anno dopo anno lo spettatore si è trovato le stesse trame, gli stessi attori scadenti, le stesse location, con delle sceneggiature sempre più povere. Terzo per i dialoghi poco interessanti, recitati da attori improvvisati che poi sono stati ridoppiati (spesso pure fuori sincrono) da altri. Se Alessandra Martines o Christopher Lee possono essere state scelte di cast ben ragionate, non si può dire lo stesso di Anna Falchi o Valeria Marini. Forse, nel tentativo di raggiungere un pubblico quanto più ampio possibile, le produzioni hanno lentamente perso il consenso delle nicchie – o forse era solo un’epoca giunta al termine?
In ogni caso, il fenomeno è morto con la fine degli anni ’90, ma io spero ancora che la nostra nazione abbia imparato qualcosa da quella esperienza, e che magari un giorno riusciremo a vedere sui nostri schermi un reboot dell’eroina coi capelli a scolapasta!
–Daniele Gabrielli–
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