Nell’accostarsi a ‘Stories: The Path of Destinies’ è facilissimo compiere un errore di (sotto)valutazione. A prima vista sembra di trovarsi davanti a un hack’n’slash con ambizioni da RPG: si uccidono ondate di nemici, peraltro premendo sempre e solo lo stesso tasto (che è anche quello con cui si parano i fendenti avversarsi, si aprono le porte, si azionano i comandi e si parla con gli altri personaggi – caro, vecchio “quadrato”, in questo gioco fai gli straordinari!); ogni azione consuma una barra di Stamina e una di Energia magica, esaurite le quali il personaggio faticherà a combattere e a parare; si accumula qualche punto esperienza e man mano si sbloccano delle abilità; e la grafica, priva di pretese, è tridimensionale, con una telecamera fissa, furbescamente piazzata in alto e alle spalle del personaggio, quasi a scimmiottare la visuale isometrica. La stessa trama, inizialmente, può apparire puerile: una volpe-guerriero, Reynardo (citazione dotta, in realtà, che rimanda ai racconti medievali del ‘Roman de Renart’), deve fermare le mire espansionistiche di un folle Imperatore-Ranocchio combattendo i Corvi, le guardie dell’Imperatore, e soccorrendo la Ribellione prima che venga distrutta.
Immaginate quindi, dopo questo esame superficiale, di continuare a giocare… beh, perché ormai avete il pad in mano. Dopo un tutorial iniziale, il gioco vi propone una scelta: andare a salvare il vostro amico Lapino, oppure andare a recuperare un antico manufatto che potrebbe spazzare via la Flotta Imperiale. Fatta la vostra scelta, affronterete un breve stage al termine del quale vi sarà chiesta una nuova scelta, e così via, fino alla fine della Storia (la durata può variare tra la mezz’ora e l’ora di gioco, a seconda della vostra propensione a mandare Reynardo incontro alla morte e a dover ricominciare dall’ultimo checkpoint). A questo punto, convinti di aver risolto ogni problema del mondo, vi troverete a fare i conti con i danni creati dalle vostre scelte: vi siete fidati di una certa persona? Questa vi tradirà. Avete scelto di recuperare una reliquia dai poteri semi-divini? Bene, avete innescato la fine del mondo. E così via.
Sarete quindi catapultati alla fine del tutorial, a fare le stesse scelte, con la differenza che sia voi che il povero Reynardo saprete a cosa conducono. Nelle run successive, complice anche l’aumento di livello e il crafting (piuttosto rozzo) delle armi, riuscirete a sbloccare nuove aree e a fare scelte diverse, acquisendo la consapevolezza di quattro Verità immutabili, che vi consentiranno di orientarvi per evitare di cadere nelle trappole che lo stesso gioco vi tenderà. In media, alla quinta run dovreste essere in grado di raggiungere un finale soddisfacente, ma chi di voi – come me – è affetto da un leggero OCD non esiterà ad attaccare tutte le altre combinazioni possibili. Come dicevo, anche il protagonista – o meglio, il narratore che descrive gli sviluppi della storia, rivela i pensieri più intimi di Reynardo e presta la voce ai diversi NPC – sarà memore degli errori compiuti nelle precedenti incarnazioni, sotto forma di una reminiscenza istintiva che avvertirà del pericolo i giocatori più smemorati.
Una nota di merito va anche alla scelta del narratore e di presentazione del lore. Il gioco, di per sé, affronta questioni in un certo senso “adulte”, come guerre, stermini, tradimenti e poteri demoniaci – la base dei ribelli distrutta, la fine del mondo… voglio dire, non sono sciocchezzuole. Il fatto che i protagonisti siano animaletti antropomorfi sdrammatizza un po’ il tutto, così come fanno gli interventi del narratore, sempre ironici (anche nei momenti più tragici!) e spesso infarciti di azzeccatissime citazioni della cultura nerd: dal classico “It’s a trap!” di starwarsiana memoria, passando per frecciatine ai giochi della serie ‘Assassin’s Creed’ (alcuni sviluppatori di Spearhead Games provengono proprio da Ubisoft), fino a incitamenti a “Lodare il sole!” (chi non coglie la citazione torni al falò precedente!) incisi sulle pareti di un antico tempio.
Come nel caso di ‘Infinity Blade’ e del recentissimo ‘Salt & Sanctuary’ (di cui trovate qui la recensione), gli sviluppatori hanno preso un punto di debolezza e lo hanno trasformato nella propria forza. L’impossibilità di creare mappe troppo vaste, dovuta a verosimili ragioni di budget, conduce alla necessità di ripetizione; questa, però, fuoriesce dalla dimensione prettamente ludica per assurgere a una giustificazione di sapore filosofico, attingendo all’idea dell’eterno ritorno, della reincarnazione, della reminiscenza di vite precedenti. È difficile, insomma, spiegare ciò che si prova giocando a questo videogame, tutt’altro che banale. È quello che cerco di fare nel gameplay che trovate qua sotto, ma penso che solo pad alla mano sia possibile apprezzare pienamente ‘Stories’.
In chiusura, ricordo che il titolo è disponibile per PC (via Steam) e per PlayStation 4.
– Stefano Marras –
‘Stories: The Path of Destinies’: recensione e gameplay
Isola Illyon
- Non è un banale hack’n’slash;
- Un lore interessantissimo, che meriterebbe di essere approfondito in altre sedi;
- Una trama che corre sempre sul filo dell’ironia e della tragedia;
- Ventiquattro possibili combinazioni per il finale;
- Il meccanismo non è di immediata comprensione, ma spalanca un piccolo mondo davanti al giocatore;
- La storia si ripete, ma mai in modo uguale: ogni volta il personaggio impara dai propri errori;
- Ciascuna storia può essere conclusa in un tempo relativamente breve, compreso tra la mezz’ora e un’ora di gioco;
- Tante citazioni da ‘Star Wars’, ‘Assassin’s Creed’ e ‘Dark Souls’;
- Il tasto quadrato è praticamente l’unico che premerete per tutto il gioco;
- Al primo impatto è facilissimo sottovalutare il titolo;
- Dopo aver sbloccato tutte le combinazioni per il finale, non ci sono grandi incentivi a rigiocarlo;
- Grafica tutt’altro che pretenziosa;
- Alcune scelte possono condurre a un binario morto e la circostanza, ripetuta, può risultare frustrante;
‘Stories: The Path of Destinies’ è un po’ una scommessa degli sviluppatori sul fatto che i giocatori non si fermino immediatamente alle prime impressioni. Perché dico questo? Perché il gioco ha certamente dei limiti (o, a voler essere cattivi, degli aspetti negativi, che sono praticamente tutti quelli che ho evidenziato nel primo paragrafo della recensione), ma procedendo nel gameplay il giocatore non può non rimanere affascinato da alcuni semplici espedienti, sapientemente calati (e inizialmente volutamente occultati) nel videogame, come appunto la tangibile conseguenza delle proprie scelte. Da limite necessario, la ripetizione diventa un valore aggiunto per la storia – anzi, le storie – che Reynardo ci porterà a raccontare, acquisendo una giustificazione filosofica. Quantunque il meccanismo rischi talvolta di portare il giocatore a un binario morto e, alla lunga, possa risultare frustrante, è a modo suo geniale e perfettamente integrato nel gameplay.