DISCLAIMER: l’articolo contiene spoiler provenienti dal primo gioco della serie Infinity Blade e dal racconto Infinity Blade: Awakening.
Forse non tutti sanno che l’Universo di Infinity Blade, la serie di videogiochi mobile di straordinario successo creata da ChAIR Entertainment e da Epic Games per i dispositivi Apple, va ben oltre i confini di tablet e smartphone, estendendosi ed espandendosi in due racconti firmati da uno dei più produttivi e vulcanici autori fantasy dell’ultimo decennio: Brandon Sanderson.
Questi racconti – o romanzi brevi – si innestano in maniera inscindibile nella vicenda di Siris, il protagonista, divenendone parte integrante e strizzando l’occhio all’idea sempre più diffusa che cade sotto l’etichetta di “crossmedialità“, ma divengono anche un tutt’uno con lo stesso universo della saga, ampliandolo, razionalizzandolo, dandogli fondamenta più solide e più profonde di quelle che emergerebbero – a prima vista – dalla sola fruizione del prodotto videoludico. Purtroppo sia l’esclusività della piattaforma (i racconti sono disponibili solo in formato e-book), sia l’assenza di una traduzione italiana rendono questi anelli di congiunzione fra un gioco e l’altro assai misconosciuti in Italia.
Quello che mi propongo di fare con questo articolo e con quelli che seguiranno è di tracciare una sintesi ragionata – anche critica, ove necessario – dell’Universo di Infinity Blade, come emerge tanto dal versante letterario quanto da quello videoludico: con la speranza di sollecitare i lettori tra di voi più curiosi ad avvicinarsi ai racconti di intermezzo e di fornire a quelli più pigri una breve summa degli eventi che si svolgono tra un videogioco e l’altro.
La storia ha inizio per tutti i giocatori con un duello all’ultimo sangue nella sala del trono del Tempio di Lantimor. Il protagonista, manovrato dai movimenti – più o meno abili – delle dita del giocatore, sfida un tirapiedi del sovrano del castello e, battuto questo, il sovrano stesso. È una figura imponente, avvolta in un’armatura impenetrabile, con il volto coperto da una maschera priva di fori per gli occhi e per la bocca; nel complesso un’inquietante via di mezzo fra un re e un alieno. Si tratta di Raidriar, il Re Dio dell’Isola di Lantimor. Un Immortale, una creatura che ha già migliaia di anni alle spalle e che ha migliaia di anni di vita davanti a sé. Tra le sue mani, una spada dal disegno bizzarro ripropone nell’elsa e nella guardia la forma della lemniscata: il simbolo dell’infinito. L’Infinity Blade, per l’appunto: la sola arma che, secondo la leggenda, può uccidere gli Immortali. L’atmosfera della sala del trono è cupa, gotica.
Il trono del Re Dio, in cima ad una pedana in fondo alla sala, è di un bianco marmoreo, drappeggiato di rosso; lunghe spine metalliche, simili ad aculei, lo coronano. Anche la parlata del Re Dio è aspra, ostile, aliena. Non solo per i filtri che la rendono irriconoscibile e disumana (caratteristica comune a tutti gli altri Immortali che si incontreranno nei giochi successivi), ma anche per la lingua parlata: il pangeano. L’impressione è di trovarsi davvero al cospetto di una divinità.
Il duello ha inizio. Il divario di forze fra il Re Dio e il nostro Campione è tale da condurci in breve a finire impalati sull’Infinity Blade, tra lampi di luce azzurrognola, mentre l’avversario ci deride in pangeano. A distanza di una ventina d’anni (il tempo è variabile) ci si ritrova nei panni di un nuovo Campione, su una altura prospiciente alla Cittadella Oscura, detta anche Tempio di Lantimor, dove il Campione precedente ha trovato la morte. Sempre in lingua pangeana, il Campione mormora: “Padre, ti vendicherò”. L’avventura ha inizio.
Chi conosce il gioco sa che la caratteristica principale di Infinity Blade è la ripetizione – per i detrattori, invece, la ripetitività. Generazione dopo generazione ogni Campione affronta tutta una serie di duelli in singolar tenzone, procedendo di vittoria in vittoria all’interno della Cittadella Oscura e aprendosi la strada fino alla sala del trono. Ogni avversario ha caratteristiche diverse: alcuni sono giganteschi troll armati di clave, lenti e prevedibili, ma devastanti nei loro attacchi; altri sono enormi golem robotici, con poteri collegati ai vari elementi (fuoco, ghiaccio, elettricità…); altri ancora cavalieri in armatura approssimativamente della stessa taglia del Campione, armati di spadone o di spada e scudo, rapidi e incalzanti in combattimento. Il Campione deve adattare la sua tattica all’avversario che ha davanti: può trovare riparo dietro la fortezza mobile offerta dal proprio scudo fino a farlo stancare, oppure impegnarsi in una gara di schivate che gli consentirà di approfittare dei punti deboli del nemico, oppure ancora può azzardare una parata contro l’arma che sta per colpirlo, a patto di intuire la direzione di provenienza dell’attacco e la tempistica che consentirà di portare le lame ad incrociarsi.
Questa non è – né pretende di essere – una recensione del videogioco. Alcuni lo considerano un picchiaduro, altri un gioco di ruolo. La verità, probabilmente, sta nel mezzo. Procedendo all’interno del castello, più e più volte, il Campione di turno accumula punti esperienza dopo ogni “incontro”, che potrà spendere per potenziare il proprio rudimentale skill tree, e monete d’oro, che gli consentiranno di acquistare armi e armature sempre più potenti – anche se spesso meno raffinate, dal punto di vista estetico, rispetto alle precedenti.
Già alla terza o quarta Stirpe (Bloodline, in originale; in pratica, ogni Stirpe corrisponde a un nuovo Campione) il nostro dovrebbe essere in grado di battere in duello il Re Dio. Dopo aver subito un certo quantitativo di danni, tuttavia, Raidriar interromperà il duello e offrirà al Campione una scelta: continuare a combattere, in una battaglia dall’èsito incerto, oppure accettare di passare al suo servizio. In questo caso il Campione guadagna l’accesso ai segreti degli Immortali, ma le ricadute in termini di gameplay sono, in concreto, assai più povere: semplicemente ci si ritrova nella sala del trono, pronti ad affrontare nuovamente il Re Dio.
Sconfitto finalmente il Re Dio, il Campione ha accesso al suo trono – solo in casi rarissimi il loot del boss finale sarà la preziosissima Infinity Blade; in tutti gli altri casi il giocatore sarà costretto ad acquistarla a carissimo prezzo. Sul bracciolo marmoreo del trono spicca un oggetto certo familiare per i giocatori/spettatori/lettori del Ventunesimo Secolo: un display touchscreen.
Per il Campione senza nome, ovviamente, si tratta di uno specchio magico. Toccandolo, Siris avvia una sorta di proiezione olografica di un pianeta, intento a ruotare sul proprio asse, circondato da un anello di rocce frantumate. Ecco emergere sottilmente quella commistione fra Medioevo fantasy e tecnologia futuribile che contraddistingue l’intera saga videoludica. Per lungo tempo, nell’intervallo tra l’uscita di Infinity Blade e quella del suo séguito, ci si è interrogati sul significato di questo ologramma. La teoria più accreditata ritiene che si tratti della nostra Terra fra n migliaia di anni, e che quelle rocce siano i resti di una Luna andata distrutta. Quindi non ci si troverebbe in un mondo parallelo al nostro, dominato da magia e da mostri Immortali: il mondo di gioco sarebbe la nostra stessa Terra, in un futuro lontanissimo. Per ora basti questo: torneremo sul tema nei prossimi articoli.
Per i giocatori, il gioco finisce qui, con questo piccolo grande enigma; o meglio ricomincia, visto che si avvierà una nuova stirpe, si impersonerà un nuovo Campione che prometterà di vendicare il proprio padre, si affronteranno nemici di livello sempre più alto e man mano si salirà di livello in modo da poterli contrastare. Si morirà infinite volte nella sala del trono della Cittadella Oscura, infinite volte si ucciderà il Re Dio, infilzandolo con la sua stessa Infinity Blade. In termini di puro e semplice gameplay è una ripetizione potenzialmente infinita ed è comprensibile che i giocatori di ruolo, sia su supporto cartaceo che su supporto informatico, storcano il naso davanti a un limite di tale portata. Da un punto di vista più filosofico, però, la ripetizione non è un limite strutturale del videogioco: è un Eterno Ritorno, un déjà-vu interminabile, una coazione a ripetere che si avvita su se stessa; è perfettamente consentanea alla Weltanschauung dell’Universo di Infinity Blade. Si uccide il Re Dio e anziché andare avanti si torna indietro. La scelta del giocatore si riduce a due pattern attraverso cui approcciare il castello, nulla di più. Al massimo, una volta acquisita l’Infinity Blade, si potrà aprire una serie di porte che consentirà al Campione ad affrontare quattro immortali, fra cui spicca Acharin, un antenato del Campione passato dalla parte del Re Dio e per questo divenuto Immortale. Al di là di questo, ogni Campione è destinato a rivivere le stesse esperienze ogni-singola-volta.
Fortunatamente, in soccorso dei giocatori corre il racconto Infinity Blade: Awakening, che si lega direttamente al finale del primo videogioco e si conclude con quello che, a tutti gli effetti, è il prologo del sequel, Infinity Blade II. Solo grazie al racconto apprendiamo il nome del Campione senza nome che ha sconfitto il Re Dio con la sua stessa Infinity Blade e che, con la medesima arma, ha tolto la vita ad Acharin nei sotterranei della Cittadella Oscura: Siris.
Cosa attende il nostro Campione? Come si evolverà la sua storia? Riprenderò proprio da questo punto..o tornerò indietro per poi ritornare indietro di nuovo, come se fosse uno scontro con il Re Dio?
Continuate a seguirci!
– Stefano Marras –