A meno che nel corso degli ultimi trent’anni non abbiate vissuto in una torre d’avorio senza connessione Wi-Fi, avrete sicuramente sentito parlare di World of Warcraft, uno degli MMORPG più celebri di sempre. Giocato da milioni di persone al mondo, ancora oggi è in voga tra i giovani, mentre i più anziani lo ricorderanno come quel titolo che aveva catturato l’anima dei propri amici, ridotti in schiavitù davanti allo schermo di un PC a “farmare” per rendere più forte il proprio personaggio.
Che siate nella fazione dei WoW addicted o che lo conosciate a malapena, probabilmente nel corso della vostra vita avrete sentito almeno una volta una frase del tipo: “Oh, ma quanto sarebbe figo un film su Warcraft?”.
Qualcuno dall’alto deve aver deciso di accontentarci (o lanciarci una maledizione, dipende dai punti di vista), perché da ieri 1° giugno nelle sale italiane c’è “Warcraft – L’inizio“, pellicola che quando fu annunciata scatenò da una parte fremiti orgasmici, e dall’altra un vago presentimento di un mappazzone di trilogia con relativi sequel, prequel e spin-off con cui avremmo dovuto fare i conti per i prossimi quindici anni.
Vi avverto che abbiamo deciso di approcciarci alla pellicola e recensirla per quella che è, scevra da qualsiasi influenza videoludica o aspettativa da fanboy: non troverete, dunque, commenti su come gli stendardi degli umani fossero fedeli a quelli del gioco o su quante zanne avrebbe dovuto avere il capo degli orchi – sono argomenti che possiamo cestinare ancor prima di iniziare.
La storia (tratta direttamente dal primo episodio della saga, Orcs & Humans) ha per protagonista un’orda di orchi che dopo aver consumato la propria terra a causa di una fonte di magia corrotta, utilizza la stessa per aprire un portale verso Azeroth. Questo è un pianeta in cui uomini, elfi e nani vivono pacificamente assieme ad altre creature della mitologia fantasy.
L’evento dà il via alla storica rivalità tra orchi e umani, due culture che finiscono con lo scontrarsi per la sopravvivenza. Ma occhio a non saltare subito a conclusione affrettate credendo che gli uomini rappresentino il bene e gli orchi il male, poiché quest’ultimo può corrompere sia gli uni che gli altri, e anche i bestioni verdognoli possono mostrare sentimenti nobili, per cui allo spettatore è anche data la possibilità di scegliere per quale delle due fazioni fare il tifo.
Alla regia abbiamo Duncan Jones, un nome che aveva regalato qualche spiraglio di positività dati i suoi felici trascorsi (Moon e Source Code furono due film di fantascienza degni di nota), ma che qua deve piegarsi ai dettami della Universal Studios, che probabilmente non gli avrà lasciato troppa libertà. Apprezzabile comunque il suo lavoro nel tratteggiare combattimenti mai confusionari, e piuttosto divertenti da seguire.
È spostandosi più a monte, sul versante sceneggiatura (ma anche qua Jones ci mette la firma), che sorgono i primi problemi. La storia non si presenta particolarmente avvincente, soprattutto nella prima parte, che fa fatica a decollare, con eccessi di verbosità e dialoghi scontati che hanno rischiato di farmi entrare in fase REM. Fortunatamente la seconda parte, quella più d’azione, mi ha risvegliato e mi ha fatto godere di sane scazzottate e infiniti scontri colmi di testosterone, che è quello che mi aspettavo.
Un altro grosso problema riguarda i personaggi, che onestamente mancano di un qualsivoglia spessore, in particolare gli umani, che paradossalmente sono i più bidimensionali, anche per colpa di interpretazioni non proprio da Oscar. È pur vero che il cast è composto da nomi poco conosciuti, provenienti in particolare da serie televisive e film minori, ma ciò non giustifica una prova così blanda: Travis Fimmel, che molti conosceranno come il Ragnar di Vikings, interpreta il guerriero Anduin, che però necessita di un film intero per riuscire a venir fuori in tutto il suo splendore; Ben Foster, qua chiamato a interpretare il mago Medivh, sembra costantemente fuori parte, come se qualche incantesimo gli avesse azzerato il punteggio di carisma; Paula Patton, nel ruolo di Garona, è quella che appare più interessante e nella quale riserviamo maggiori speranze per i film futuri.
A vincere a mani basse è la CGI degli orchi, che sono quelli che regalano più emozioni (siamo messi bene, penserete). Apprezzabile il modo in cui viene proposta la loro cultura fatta di tradizioni e di onore, di coraggio e di amore per la propria famiglia. Insomma, impossibile non tifare per loro.
In effetti, tutto il comparto visivo è eccezionale. Le scenografie e i costumi sono ottimamente realizzati, ma anche la fotografia risulta azzeccata: vivida, lucente, satura di colori che impreziosiscono sia le scene di lotta che quelle panoramiche. Non c’è un eccesso di realismo, ma non è necessariamente un male: questo è un elemento che può piacere o meno in base alle proprie preferenze.
Tirando le somme, “Warcraft – L’inizio” è un film che dovrebbe riuscire ad accontentare i fan della saga videoludica attraverso le innumerevoli citazioni e i riferimenti alla trama originale. Il resto del pubblico che magari si recherà al cinema semplicemente per godersi un fantasy, invece, avrà probabilmente da ridire, in quanto da un punto di vista prettamente cinefilo il prodotto ha molte, troppe falle, a partire dai personaggi solo abbozzati fino ad arrivare alla sceneggiatura che avrebbe richiesto maggiore cura. Il fatto che si tratti del primo capitolo di una trilogia può farci sperare che la produzione impari dagli errori commessi qui per migliorare in futuro, ma al tempo stesso non può che lasciarci un po’ frustrati, perché ancora una volta ci troviamo di fronte ad una storia che si ripete: prendi un titolo importante con una marea di fan, fanne un film, pompalo di scene mozzafiato e non importa se sarà bello o brutto, tanto andranno comunque a vederlo in massa.
Quando ci decideremo a spedire un’orda di orchi contro Hollywood per fare un po’ di chiarezza su quello che vogliamo, sarà comunque troppo tardi.
– Andrea Carbone –
Warcraft – L’inizio: la nostra recensione
Andrea Carbone
- La fotografia vivida è davvero bella;
- Ottima rappresentazione della cultura orchesca;
- La regia è discreta e senza sbavature;
- Gli attori hanno un'espressività pari allo zero;
- La sceneggiatura ha troppi cali di ritmo e passaggi scontati;
- Il film non sembra voler ambire ad essere nulla più dell'ennesima produzione hollywoodiana senza infamia né lode;