Se qualcuno ieri mi avesse chiesto di girare un film sul Vangelo, gli avrei risposto che per farsi lapidare dal pubblico basta molto meno, tipo un remake de Lo Hobbit. Trenta, quaranta anni fa lo spettatore approcciava un film a tema biblico con uno spirito tendenzialmente positivo, mentre oggi non è così. Inutile dirlo: Hollywood e la religione sono due rette parallele, e i loro linguaggi stanno diventando sempre più diversi e inconciliabili. Troppo difficile essere fedeli e non fare flop, troppo difficile inventarsi qualcosa di nuovo interpretando un testo sacro.
Eppure di recente se ne sono visti di film a tema biblico: Exodus nel 2014, quest’anno Risorto, e a breve Last Days in the Desert.
Quest’ultima pellicola, in particolare, ci porta (appunto) nel deserto: non quello di Dune (altro libro ad alto rischio di lapidazione), ma quello narrato dal Vangelo, dove Gesù si ritira per quaranta giorni di digiuno e preghiera. Non è il passo più famoso del testo cristiano, ma di sicuro uno di quelli che ispira la fantasia.
In effetti cosa sono quei quaranta giorni se non una sorta di viaggio interiore? Ascoltando questa frase di apertura, la mia mente è corsa subito al già citato Dune e ai suoi aforismi: “Il deserto è spietato. Ti porta via la tua vanità, le tue illusioni, ti da l’opportunità di vedere te stesso, quello che sei”.
Le potenzialità narrative, insomma, ci sono, ed ecco che Rodrigo Garcia (sceneggiatore e regista) non se l’è fatte sfuggire, ambientando il suo nuovo film proprio negli ultimi giorni che Gesù (nel film Yeshua) passa in quella terra arida.
La trama in due parole: Yeshua è nel deserto da un pezzo, ormai. Dopo alcune “visioni” più classiche incontra una famiglia. C’è una forte tensione tra la madre malata e moribonda, il figlio che vuole fuggire di casa, e il padre che lo vorrebbe con sé. Yeshua, oltre a tollerare i continui commenti del diavolo, deve anche in qualche modo risolvere questo quadretto familiare. Una metafora della sacra famiglia? Un gioco freudiano? Una pessima trovata per inventarsi qualcosa di nuovo? A voi la scelta.
Dico la verità: vedere Ewan McGregor nei panni del messia mi ha fatto sorridere, ma ha anche attirato la mia curiosità. Difficile immaginare un ruolo più complesso per un attore, e McGregor ha passato il test.
Anche il suo background in parte aiuta. È vero, è stato il protagonista di Trainspotting, ma io lo ricordo come Obi-Wan Kenobi, personaggio per certi versi in odore di santità. In generale ho una grande simpatia per l’attore scozzese, quindi forse sono poco obiettivo. E chi interpreta il diavolo? Ecco, qui il film poteva prendere pieghe trash hollywoodiane con mostri in CGI, e invece no, il diavolo è sempre Ewan McGregor, che non si prende neanche la briga di un travestimento: Yeshua e demonio hanno la stessa faccia, e viene da chiedersi se non siano la stessa persona.
Per il resto, il cast è ridotto a zero: altri tre attori (di cui forse l’unico noto è Tye Sheridan) con personaggi senza nome, semplicemente madre, padre, e figlio.
Diciamolo, c’erano tante, tante pieghe che questo film avrebbe potuto prendere. Poteva essere il perfetto (e rompiballe) manuale del catechista, riprendendo in chiave assolutamente fedele la storia del Vangelo; poteva diventare una specie di trashone fantasy con un Gesù/Constantine che combatteva il diavolo a colpi di poteri psionici o armi futuristiche; alla fine invece ne è uscito fuori qualcosa di totalmente diverso.
È innegabile che lo sceneggiatore si sia preso un po’ di libertà. Tipo tante. Tipo che una cosa del genere in un compito in classe di religione vi costerebbe la bocciatura. Cioè Gesù che parla da solo, una famiglia che vive nel deserto (e soprattutto, perché?), e un po’ di tette e scene d’azione, per non parlare di un diavolo che quasi mi ricorda l’imperatore Palpatine nei modi di fare. Insomma questa pellicola gioca di fantasia, ma di brutto.
E forse è proprio per questo che mi convince: la sua atmosfera un po’ onirica, questo continuum sfocato tra realtà e sogno, coadiuvato dalla magnifica ambientazione e fotografia, gli danno un tono personale.
Qualcuno l’ha etichettato come “laico”, e in effetti qualche richiamo a interpretazioni freudiane ce l’ha: ma rimane tanto “laico” quanto può esserlo un film fantasy, che ammette senza troppi problemi poteri soprannaturali, apparizioni, spiriti e divinità.
Non sarà l’appuntamento del secolo, e i suoi punteggi sui siti specializzati non schizzano alle stelle, ma vi dico sinceramente: secondo me ha qualcosa da dire e non vedo l’ora che esca nelle sale italiane (in America è stato distribuito il 13 maggio scorso, mentre non c’è ancora una data per il nostro Paese). E voi, cosa ne pensate?
– Daniele Gabrielli –