Hardcore! è un film scritto, diretto e co prodotto da Ilya Naishuller nel 2015 e sbarcato nelle sale italiane il 13 aprile scorso. Ne avrete sentito parlare come una pellicola rivoluzionaria: quando in televisione veniva annunciato il “film che cambierà il modo di fare cinema”, ci si stava riferendo proprio a questo. Il motivo è dato dal sistema con cui è stato girato, cioè interamente in prima persona, con una telecamera GoPro posizionata in fronte al protagonista (e ai suoi stuntman), riprendendo la storia esclusivamente dal suo punto di vista.
In realtà molti aspettavano questo film già dal lontano 2013. Il regista esordì sul web con un cortometraggio girato con lo stesso stile, Biting Elbows: Bad Motherfucker. Allora fece restare il pubblico a bocca aperta: non solo lo stile era qualcosa di mai visto prima, ma ad esso era associato un alto tasso di violenza e adrenalina: Wombo Combo!
Grazie all’ottimo riscontro ottenuto, Naishuller decise quindi di partire con una campagna di crowfounding su Indiegogo, che ha condotto il nostro regista fino al grande schermo.
Hardcore! è essenzialmente un action movie, ma di quelli in cui la trama è ridotta all’osso, in cui non c’è un attimo di respiro e il novanta per cento delle scene è rappresentato da azione pura, con sparatorie, inseguimenti, parkour tra palazzi e molto sangue che scorre. I titoli di apertura del resto sono abbastanza chiari nelle intenzioni: è un film nel quale vedrete molta violenza, e se avete lo stomaco debole siete ancora in tempo per uscire dalla sala.
La trama sembra quasi un contorno a quest’opera, un contentino per giustificare l’esistenza stessa del lungometraggio: il protagonista si risveglia senza ricordi, in un lettino di un centro sperimentale dove una dottoressa mozzafiato si prende cura di lui installandogli arti meccanici. Capiamo subito di trovarci in un ambientazione futuristica e che il protagonista (cioè noi) è una sorta di cyborg scampato a qualche incidente, che sta per essere ricostruito. Di lì a poco il centro viene preso d’assalto da una banda di criminali organizzati e capitanati dal villain, tra l’altro dotato di poteri particolari, innescando una sequela di eventi che portano il nostro super-uomo a dover fuggire, sopravvivere e scoprire cosa gli sia accaduto.
Provate a immaginare una qualsiasi scena d’azione: nel film c’è. Provate a immaginare un modo in cui uccidere qualcuno: probabilmente ci sarà anche quello, a meno che la vostra fantasia non sia eccessivamente perversa (in fondo è vietato solo ai minori di 14 anni).
Probabilmente chi si sentirà maggiormente a proprio agio qui saranno i videogiocatori di FPS, e sicuramente una volta seduti sulla poltroncina rossa non potranno non pensare alla serie di Call of Duty, che negli ultimi anni si è mossa verso un tentativo di spettacolarizzazione cinematografica (a discapito del gameplay): quello a cui assisterete guardando il film non è altro che un’intera storia di un FPS di ultima generazione in cui non morirete mai, ma che completerete tutto d’un fiato. Un’immersione in un mare di bossoli e sangue che a fine visione vi lascerà frastornati e col mal di testa, specie per chi è sensibile ai movimenti rapidi della telecamera.
Di tutto il resto rimane poco. Il protagonista è volutamente privo di identità o di qualsiasi emozione di sorta, rabbia a parte. Attorno a lui gravitano una serie di personaggi sopra le righe, come la spalla comica ma cazzuta, il cattivo fuori di testa, e la bionda per la quale lottare. Ma, come già detto, sono solo pretesti per donare al film quel minimo indispensabile necessario a definirlo tale, senza la reale intenzione di tracciare personaggi memorabili, nonostante comunque un livello recitativo più che buono.
Di tanto in tanto, nel corso della storia del cinema, capita di assistere a tentativi rivoluzionari che provano a modificare il concetto stesso del medium, a partire dall’introduzione del sonoro a quella dei colori, passando per registi che hanno mischiato le carte in tavola inventando nuovi generi dal nulla, e arrivando fino ai giorni nostri, con l’avvento dei film girati come se fossero ripresi da una telecamera maneggiata dai personaggi (vedi Cloverfield o The Blair Witch Project).
In passato geni come Welles e Kubrick riuscivano a cambiare davvero il modo di fare cinema, ma negli ultimi anni non avete avuto anche voi la sensazione di assistere solo a mode passeggere? Il fenomeno del 3D, iniziato come una promessa rivoluzionaria (ricordo ancora le file chilometriche per Avatar), è andato pian piano scemando e rischia quasi di scomparire, un po’ come i mokumentary, che alla lunga pare abbiano stancato gli spettatori. Hardcore!, a mio avviso, è stato presentato nel modo più sbagliato possibile, appunto come una pellicola che dovrebbe cambiare modo di fare cinema: in realtà si tratta di un esperimento, per certi versi affascinante, ma che di certo non stravolge proprio nulla. Il cinema viene rivoluzionato nel momento in cui si cercano nuovi spunti creativi per esprimere qualcosa di interessante e di bello da un punto di vista artistico, e di certo non basta una ripresa adrenalinica per rendere una pellicola un capolavoro o addirittura per farne il capostipite di un nuovo movimento.
Mi piace pensare che queste etichette siano state inventate dai produttori che hanno bisogno di rientrare nel budget, e che alla base del film ci sia semplicemente l’idea di una persona che aveva voglia di fare qualcosa di diverso, di sperimentare, ma soprattutto di divertirsi e far divertire il pubblico, in particolare quello dei (tanti) appassionati di videogiochi. E sotto questo punto di vista ci riesce, un po’ come quando vai sulle montagne russe, che ti lasciano quel senso di adrenalina frastornante, un po’ di capogiro, un sorriso in volto, ma la consapevolezza che dopo qualche ora il mal di testa sarà passato, così come il ricordo di quel giro tanto divertente.
– Andrea Carbone –
“Hardcore!”: la recensione
Andrea Carbone
- La voglia di sperimentare del regista;
- Gli attori che fanno parkour dal vivo lasciano a bocca aperta;
- La capacità di non prendersi troppo sul serio con momenti autoironici;
- Quelli che lo definiscono un film rivoluzionario;
- Il mal di testa a fine visione;
- Nonostante la trama sia un contorno, hanno lasciato comunque troppe spiegazioni in sospeso;