Bevande gassate prodotte da perfide multinazionali che umiliano la natura stessa dell’essere umano, rastrelliere di matite 2B attentamente temperate perché incidano un segno preciso e cancellabile, stuzzichini di varia natura oculatamente selezionati in modo non lascino tracce di unto da nessuna parte, medicinali messi preventivamente a portata di mano in modo da poter sconfiggere l’emicrania sul nascere: questi sono mediamente tutti gli ingredienti per un’intensa serata di gioco di ruolo tra amici, ma di certo non si tratta dell’unico approccio possibile a questo sfogo ludico. Il LARP (Live Action Role-Play) sta lentamente prendendo piede persino nelle sue accezioni più elaborate, attecchendo sul suolo italico anche grazie alle note proprietà di “rimorchio” insite nel concetto di propinquità (esistono interi siti di incontri a tema LARP, per la cronaca). Lo scopo del gioco di ruolo, in ogni caso, è spesso legato al divertimento, all’appagamento personale di varia natura o al mero gusto di convivialità: tuttavia v’è chi prende questi spunti per creare esperienze multimediatiche che, virtuosamente, si prefiggono scopi didattici sensibilizzando le persone a problematiche astratte dalla loro quotidianità.
Prendiamo “Sconfinati: siamo tutti sulla stessa barca. La vera sfida delle migrazioni contemporanee”, progetto della Caritas Ambrosiana concretizzatosi tra il 18 e il 20 marzo in occasione di “Fa’ la cosa giusta! 2016” presso Fieramilanocity. Quindici minuti, solamente quindici minuti nei quali i volontari della Caritas chiedevano all’utenza di immedesimarsi con le sofferenze dei migranti siriani, eritrei, afghani, nigeriani, pakistani, ivoriani e di tutti coloro che hanno dovuto sfidare il mediterraneo per raggiungere di nascosto le coste italiane. Ogni partecipante ha rivestito i panni di una delle molte persone che hanno chiesto aiuto alla diocesi di Milano, rivivendone l’odissea in base alle cronache raccolte dagli uomini di Fede che li hanno assistiti.
Tutti i passaggi principali della traversata sono stati sintetizzati in una pantomima accessibile, dalle accese contrattazioni in lingua franca con gli avidi scafisti alla navigazione sul mare in tempesta (un barcone era appositamente installato in uno spazio oscurato per ricreare la sensazione di calca e fragilità dell’imbarcazione), fino allo sbarco e alla prima “accoglienza”. Grande enfasi è stata riservata proprio a quest’ultimo passaggio: se la cupidigia dei mercanti di uomini e i pericoli del viaggio possono definirsi lontani dalle nostre possibilità di intervento e, pertanto, colpiscono in maniera ovattata la sfera emotiva, tutt’altra storia è quella inerente ai meccanismi di gestione dei migranti.
Non è un segreto che ultimamente l’Europa stia affrontando un periodo di paranoia e xenofobia: si costruiscono inferiate di filo spinato, si litiga tra nazioni per rimpallarsi problemi, e si discute la chiusura delle frontiere in barba all’accordo di Schengen. L’Unione Europea è ora disseminata di cosiddetti “hotspot” nei quali intercettare, giudicare ed, eventualmente, registrare persone comuni mosse dalla propria terra natia da disperazione e guerra. Proprio in questi luoghi «invece di garantire una prima vera accoglienza, si procede a respingimenti arbitrari, trattenimenti coatti, uso della forza per ottenere l’identificazione delle persone, senza che venga in alcun modo applicata la procedura prevista della normativa», denuncia la Caritas facendo riferimento alla pavida deformazione delle linee guida redatte con la Convenzione di Ginevra, dettami che oggi sembrano essere sempre più abbandonati in favore di paure e isteria.
Ecco dunque il senso di “Sconfinati”, un sedicente gioco che si fregia del compito di controinformare un pubblico sempre più accerchiato da notizie che de-umanizzano l’immagine dei profughi per tramutarla in banale statistica, privando i migranti di quel legame empatico che ogni essere vivente dovrebbe condividere. Giornali, telegiornali e politici tendono a trattare l’argomento al pari di una pandemia, piangendo ai quattro venti come l’avvento di rifugiati stia mettendo in ginocchio il nostro modo di vivere (affermazione che forse andrebbe rivista alla luce della situazione che sta vivendo il Libano a seguito della crisi siriana).
Il gioco/attrazione si è accattivato i risultati desiderati? Difficile a dirsi così a caldo, ma la Caritas Ambrosiana si è già fatta le ossa in passato trattando argomenti di pari sensibilità quali la violenza sulle donne e la questione del sovraffollamento delle carceri. A prescindere dalla questione specifica, comunque, l’evento si è tradotto in un’ottima occasione per rivedere i fatti di questi ultimi mesi in un’ottica più umana, una prospettiva che contrasti l’idea di “sciame di migranti” suggerita da David Cameron o la definizione di “spazzatura umana” fortemente sostenuta da Janusz Korwin-Mikke. Pur portando avanti le proprie idee, infatti, non bisogna dimenticare che i rifugiati sono innanzitutto esseri umani, e che l’assoggettarli a questa schiacciante propaganda mediatica sia semplicemente un pretesto per scaricare colpe improprie o sedurre masse facilmente abbindolabili.
– Walter Ferri –