Raramente un videogioco italiano riesce a raggiungere un pubblico internazionale e a guadagnarsi la sua fetta di fama, eppure qualche volta succede. The Town of Light ne è un esempio. Si tratta di un titolo per PC ambientato nel nostro Paese, a Volterra, per la precisione nel manicomio della città toscana. E quando dico ambientato, non intendo un’ispirazione generica, ma che tutto l’edificio è stato riprodotto alla perfezione nei dettagli. Non a caso, il realismo è uno dei punti chiave di questo gioco.
“A volte la realtà supera la fantasia”, sembra essere il motto della produzione, perché in questo titolo thriller non ci sono zombie, vampiri, o mezzo Manuale dei Mostri di D&D a spaventarci, ma i crudi fatti della vita all’interno di un manicomio. Basta guardare il trailer per respirare l’atmosfera di ansia che il gioco trasmette, eppure, ripeto, qua il soprannaturale semplicemente non c’è. Niente al di fuori del normale, se “normale” si può definire l’asprezza della vita in una casa di cura del 1938.
The Town of Light potrebbe essere inserito nel genere “adventure/puzzle”, anche se in realtà l’elemento puramente logico, nella forma di enigmi, è piuttosto blando. Semplici sono le situazioni da risolvere, e anche nel caso peggiore c’è con noi la voce della protagonista, pronta a darci una mano. Qualcuno l’ha addirittura paragonato ad un film interattivo, ed effettivamente lo storytelling è l’elemento di forza di questo esperimento videoludico. Lo scopo stesso del gioco – recuperare la memoria della protagonista Renèe – ha più azione e introspezione: esplorare, osservare e comprendere sono i compiti principali del giocatore. Chiariamoci: The Town of Light non è un documentario, tuttavia i temi sono così seri e reali, spesso disturbanti, che si può parlare davvero di un’esperienza interattiva, che porta oltre il limite il concetto di gioco, creando qualcosa che raramente si riesce a vedere quando si parla di medium videoludico.
Per carità, la memoria ce l’abbiamo ancora buona e non abbiamo certo dimenticato il fatto che già in passato alcuni giochi abbiano esplorato il tema della pazzia (qualcuno ricorda Sanitarium?), ma in questo caso stiamo parlando di un lavoro davvero più maturo, più serio, che fatica a essere costretto dentro la definizione di thriller, figuriamoci horror. Il titolo stesso trae origine dalle visioni di una paziente, che identifica la follia con la luce, e da lì il manicomio come “città della luce” – niente di inventato, ancora una volta.
In un videogioco del genere, basato sulle atmosfere, ovviamente audio e grafica sono molto importanti: non a caso c’è il supporto al visore di realtà virtuale Oculus Rift, giusto per rendere l’esperienza ancora più immersiva.
Per quanto tutti i plausi vadano allo studio LKA, che ha avuto il coraggio di lanciarsi in un progetto simile, va detto che questo prodotto non salta fuori dal nulla: al contrario, è frutto di una tendenza lenta ma inesorabile, che rende il videogame sempre più distante dalla dinamica “colpisci la pallina” del primitivo Pong, e sempre più vicino ad un’esperienza multisensoriale, capace di intrattenere, coinvolgere e comunicare. Personalmente credo che nel prossimo futuro vedremo sempre più titoli seguire questa via. Dopotutto, non solo ormai i mezzi tecnologici hanno raggiunto una potenza tale da poter creare mondi quasi reali, che si evolvono e apprendono insieme al giocatore, ma anche il pubblico dei videogiocatori è cambiato. Una volta eravamo quattro nerd che invece di giocare al pallone sparavano ai mostri sanguinari di Quake; adesso virtualmente chiunque è un giocatore, specialmente da quando smartphone e tablet sono diventati endemici. Ed insieme all’espansione numerica, sono cambiati anche i gusti e le esigenze dell’utente medio.
Bene, fin’ora ho fatto l’elogio del titolo d’esordio di casa LKA, questo perché i suoi difetti coincidono grossomodo con i suoi pregi. Ciò di cui ci si potrebbe lamentare in Town of Light è soltanto il suo grado di sfida decisamente basso, che porta quindi un gameplay tendenzialmente poco eccitante. Ma si può ancora parlare di gameplay in un gioco così? Stesso discorso vale per la rigiocabilità: già genericamente bassa in questo tipo di prodotti, lo è ancora di più in questo caso.
Che dite voi? L’avete provato? Secondo voi siamo di fronte ad una pietra miliare o The Town of Light rimarrà solo un gioco di nicchia?
– Daniele Gabrielli –