Se parliamo di cinema italiano contemporaneo viene subito in mente – ahimè – il dominio di centinaia di inutili commediole di autocontemplazione del proprio ombelico (niente a che vedere con le corrosive commedie francesi) oppure, quando va di lusso, il ritorno ad un passato sì innovativo e durante il quale lo Stivale ha fatto la storia del Cinema, ma ormai storia diventata leggenda e leggenda diventata mito. Di film apertamente e dichiaratamente di respiro internazionale e non fruibili solo nel nostro miserando giardinetto (AIMBY – Always In My BackYard, e guai a mettere il naso fuori che ci viene mal di testa) ne contiamo pochi – di film fantastici, poi, non parliamone. Mi infervoro, anzi mi sale la viulenza come ad un vampiro durante i prelievi del sangue: non ne posso più della malafede di un pugno di intellettualoidi, produttori ed editori che non vogliono prendere atto che il fantastico riesca a raccontare i grandi temi molto meglio della cosiddetta attualità e che tengono così in ostaggio letteratura e cinema italiani a livelli di encefalogramma nemmeno piatto, ma perennemente in discesa. Bisogna armarsi di sfacciataggine ed ignoranza, e andare oltre. Ma ignoranza sana, quella che ti porta a fregartene delle convenzioni e a tentare quella che sembra una follia: girare un film di supereroi in Italia. Quella che ha preso Gabriele Mainetti, attore, compositore e regista di fiction tv e di acclamati cortometraggi d’autore, che si è messo in testa di dimostrare che anche nel nostro Paese possiamo girare un film simile, sì declinato all’italiana, ma senza compromessi. Inutile dire quindi che Lo chiamavano Jeeg Robot, con Claudio Santamaria, Luca Marinelli e Ilenia Pastorelli, fosse un film attesissimo.
SINOSSI
Enzo Ceccotti, maldestro ladruncolo che vive di espedienti nella capitale, per sfuggire alla Madama dopo l’ennesimo furtarello non trova di meglio che buttarsi nel Tevere: peccato nessuno lo abbia informato si tratti di uno dei fiumi più inquinati d’Italia e infatti, mentre è immerso, il malcapitato viene accidentalmente in contatto con alcuni fusti contenenti sostanze radioattive. Il giorno dopo, non solo Ceccotti si risveglia ancora vivo, ma si scopre in possesso di una serie di superpoteri che decide immediatamente di usare a suo esclusivo vantaggio. A complicare notevolmente la già turbolenta esistenza del novello supereroe ci si metteranno Alessia, ragazza sbandata e dal passato doloroso, convinta che Ceccotti sia Hiroshi Shiba, l’eroe di Jeeg Robot d’Acciaio di cui è una superfan, e Fabio Cannizzaro, detto “Lo Zingaro”, spostato e feroce gangster di borgata deciso a “fà svortà” la banda di cui è a capo passando sopra tutto e tutti…
CUORE D’ACCIAIO
Lo dico subito senza mezzi termini (tanto avrete già sbirciato il voto a fondo pagina, anfami): Lo chiamavano Jeeg Robot è un vero e proprio gioiellino. Finalmente. Al di là dell’omaggio al manga e all’anime di Go Nagai (che, tra le altre cose, sarà ospite del Romics questa primavera), siamo in presenza probabilmente del primo film supereroistico italiano propriamente detto. E pure fatto bene. Recentemente ci aveva provato Salvatores con Il ragazzo Invisibile (del quale uscirà a breve il secondo capitolo), impostando però un supereroe “d’autore” e ricadendo nella trappola di cui sopra, come se un film d’evasione fosse un peccato mortale e non potesse parlare di tematiche più che adulte.
La pellicola di Mainetti dimostra invece l’esatto contrario: l’idea di per sé non è originalissima (di supereroi sbandati e con superproblemi è piena la narrativa cinematografica, a partire dall’Hancock di Will Smith e da tutto il filone Marvel), ma è sviluppata in maniera eccellente, tutti i pezzi si incastrano quasi alla perfezione e il risultato è divertente, godibile, commovente ed emozionante. Lo chiamavano Jeeg Robot affronta tematiche adulte e per nulla “d’evasione” come l’incontro di solitudini, la malattia mentale, l’alienazione e l’abbrutimento delle periferie, la violenza intrinseca del più forte sul più debole, e il riscatto morale attraverso la purezza dei sentimenti – e lo fa con il linguaggio dell’ironia, del fantastico, dell’iperbole e del pulp, per di più calando il tutto alla perfezione nel contesto della grande città italiana contemporanea.
Grande merito va al cast e ai tre protagonisti, davvero eccellenti. Santamaria interpreta un protagonista “buono” imbranato e dolente, misantropo, penosamente conscio del suo essere disadattato, con una recitazione asciutta e ignorante il giusto – a suo agio tanto da cantare in prima persona la cover unplugged di Jeeg robot d’Acciaio nei titoli di coda. Superbo “Villain” Luca Marinelli nel ruolo che lo consacra, Fabio alias Lo Zingaro, gangster ambizioso, disturbato e disturbante, un Joker borgataro dalla parlata alla Totti, ma che non ha nulla da invidiare alla psicopatia, all’eversione, all’anarchia, alla goffaggine e alla ferocia dell’originale, pur risultando assolutamente innovativo. Rivelazione assoluta Ilenia Pastorelli, ragazza traumatizzata e dolcissima, ingenua, mentalmente bambina ma sentimentalmente molto più adulta di tutti gli altri personaggi, vera chiave di volta che regge la narrazione di tutto il film. Ma il merito è anche del regista, che mantiene un ritmo adeguato, sostenuto ma non forsennato, con le dovute pause (a parte l’ultimo quarto d’ora un po’ troppo sbrodolato), e non abusa della post-produzione: gli effetti non sono iperbolici ma comunque credibili e all’altezza (e così sfatiamo un altro mito: le competenze tecniche per fare film simili ce le abbiamo eccome anche in Italia).
Ultima menzione per Roma, vero e proprio personaggio aggiunto della pellicola, tanto da diventare per Ceccotti quello che New York è per Spiderman e Gotham è per Batman: testimone ne sia la fantastica scena finale che non spoilero, ma che è già diventata iconica a poche ore dall’uscita del film nelle sale.
– Luca Tersigni –
- Nessun compromesso: è un film di supereroi, punto e basta, con alcuni momenti già cult;
- Attori superbi;
- Personaggi perfetti;
- Mai noioso, mai banale, mai retorico: si empatizza, ci si diverte, si riflette;
- Ritmo, ambientazione, effetti e fotografia praticamente perfetti;
- Ultimo quarto d'ora leggermente stiracchiato;
- Chi non è avvezzo alla parlata romanesca stretta potrebbe perdere di tanto in tanto qualche battuta;