Li avrete visti in tutte le salse, con toni horror o da commedia. A volte terrorizzano, altre sono addirittura simpatici. Hanno invaso ogni media possibile, dai film ai videogiochi. Sì, stiamo parlando proprio degli Zombie! Creature fantastiche, da sempre presenti nel nostro immaginario collettivo, esseri immondi usati per incutere terrore. Del resto, come si fa a uccidere qualcosa che è già morto?
Vi siete mai chiesti dove e quando abbia avuto origine questo fenomeno? I primi a pensare a morti che camminano (no, Lazzaro non conta) furono gli Haitiani: secondo loro antiche tradizioni, dei sacerdoti chiamati Bokor sarebbero in grado di rapire l’anima di una persona, in modo tale da controllarne il corpo dopo la morte. Altre leggende, meno fantasiose, parlano invece di una pratica tra le popolazioni più povere di Haiti, dove la gente veniva indotta a uno stato di morte apparente, per poi essere riesumata e curata tramite sostanze che ne avrebbero ridotto la volontà, in modo da poterli usare come schiavi nelle piantagioni. Insomma, il concetto di Zombie è stato fin dagli albori associato a quello dello schiavismo e della perdita della volontà. È secondo questo modello che i non-morti approdano per la prima volta nel cinema, col film “L’isola degli zombie” (1932) dove i riti vudù per la possessione dei corpi vengono usati per schiavizzare uomini.
Solo qualche anno più tardi, si passa dal concetto “magico” a uno più razionale, almeno nelle intenzioni: non più riti vudù e maledizioni, bensì un virus che induce uno stato di non morte e porta la gente ad atti cannibali.
Tra i pioneri di questa tematica non possiamo non ricordare Romero che con “La notte dei morti viventi” (1968) dà il via a un processo destinato ad amplificarsi a dismisura. Ispirandosi al romanzo “L’ultimo uomo sulla terra”, immagina un futuro prossimo in cui la maggior parte della popolazione perde la capacità raziocinante, trasformandosi in zombie che danno la caccia ai pochi sopravvissuti. Sebbene diversa sia la motivazione che porta alla nascita del mostro, il concetto di fondo non cambia più di tanto. Se pensiamo a “Zombie” (1978), con i non morti che vagano per i centri commerciali ripetendo ciò che facevano in vita, è chiaro il rimando al concetto di schiavismo e di perdita di volontà tanto cara alla tradizione haitiana.
Del resto ormai lo stesso termine si è italianizzato, chi non lo ha mai usato come aggettivo per descriverci il lunedì mattina?
Certo, si può discutere su quanto sia stato saggio il passaggio dalle spiegazioni soprannaturali a quelle scientifiche. Forse andava bene cinquant’anni fa, ma con le attuali conoscenze sulla microbiologia, risulterebbe arduo spiegare come sia possibile tutto ciò. Volete un esempio? Prendiamo The Walking Dead, che tutti conoscerete: i protagonisti passano le puntate a farsi bagni di sangue infetto. Hanno il virus in corpo, di sicuro sarà penetrato tramite le mucose o le innumerevoli ferite sulla cute. Eppure l’unico modo per trasformarsi in zombie è ricevere un morso oppure morire per altre cause. Una pratica che ha radici antiche e soprannaturali, adesso modernizzata con la giustificazione del patogeno che penetra in profondità. Eppure, tremendamente improbabile da un punto di vista scientifico.
Al di là delle singole motivazioni, che possono interessare solo una ristretta fascia di pubblico pignolo, è chiaro che gli zombie siano diventati una moda inarrestabile, un’icona dell’horror che è stato possibile declinare in salse diverse.
Nel mondo dei videogiochi sono divenuti celebri quelli di Resident Evil, da molti considerato il gioco horror per eccellenza, ma si incentrano sulla non morte anche Left 4 Dead, Dead Rising, Dead Island, Piante vs Zombies o il più recente Dying Light. La lista sarebbe chilometrica se aggiungessimo tutti i giochi nei quali appaiono o vengono almeno citati, oppure quelli in cui gli zombie si tramutano in qualcosa di più mostruoso, solitamente esseri parassitati da alieni e non, che perdono la propria volontà e attaccano in maniera indiscriminata, come quelli di The Last of Us o Dead Space.
Ovviamente è il cinema la loro massima espressione, infatti in seguito ai titoli capostipiti sopra citati, sono divenuti talmente sdoganati da rendere imprescindibile la loro presenza nelle sale e in tv. Ma la cosa da far notare è come gli zombi non siano rimasti sola espressione di horror trucido, bensì divenuti una caratteristica dell’ambientazione, un dettaglio grazie al quale sviluppare diverse tematiche. Stiamo parlando di film in cui gli zombie non devono necessariamente far paura: prendiamo ad esempio L’alba dei morti dementi o Zombieland, in cui l’intento principale è quello di far ridere, oppure 28 Giorni dopo o lo stesso The Walking Dead, che si incentrano maggiormente sul dramma anziché l’orrore. Avrete fatto caso come nelle ultime stagioni della serie tratta dai fumetti di Robert Kirkman, gli zombie siano divenuti poco più che macchiette sullo sfondo, carne da macello, tanto da non rappresentare più la principale minaccia per i protagonisti. Il vero orrore in quel caso si sposta sull’uomo (vivo), sulla trasformazione psicologica data da un mondo in subbuglio. Abbiamo anche casi estremi in cui gli zombie vengono usati per motivi diametralmente opposti a quelli per cui furono creati: esiste un film poco conosciuto ma dannatamente riuscito, Zombie Lover, nel quale un ragazzo si prende cura della sua amante divenuta una zombie priva di volontà; oppure c’è la miniserie In the flesh, dove il governo ha instaurato un metodo per riconvertire gli zombie in esseri umani, che tuttavia fanno fatica a essere accettati dalla società, che sviluppa un odio razzista nei loro confronti. E potevano mancare le trashate, volontarie o meno? Warm Bodies prende il tema zombie per farne un teen-movie romantico e Orgoglio, Pregiudizio e zombie… beh, lo dice il titolo stesso.
Il fenomeno ha assunto ripercussioni anche sociali: basti pensare a quando, pochi anni fa, era in circolo una droga che scatenava la violenza e come nei vari social media se ne parlò come un’epidemia di zombie in arrivo, oppure al noto fungo in grado di attaccare il cervello delle formiche per controllarle, cosa che aprì teorie e congetture sull’effettiva possibilità di trasformarci, un giorno, in esseri privi di volontà e controllati dai parassiti a scopi alimentari.
Ma stiamo quindi parlando di una moda destinata a terminare o di un fenomeno immutabile? Difficile dare una risposta certa. A giudicare dall’andazzo, considerando che da più di cinquant’anni i media non accennano ad abbassare la quota di Zombie da proporci, si può ipotizzare che non ce ne libereremo facilmente, e chiamarla moda sarebbe quindi riduttivo. Evidentemente c’è qualcosa che spinge il pubblico a usufruire di tematiche simili, in cui esseri morti tornano a camminare tra noi. Che sia legata alla nostra paura della morte e quindi a un tentativo inconscio di esorcizzarla in questo modo? Del resto, anche i vampiri che sono considerati immortali godono di una grande fortuna e non accennano a sparire dalla circolazione, a differenza di altre creature e mostri che nel corso dei tempi abbiamo visto estinguersi. L’uomo è dunque innegabilmente affascinato da chi riesce a ingannare la morte. Del resto il nostro istinto principale, quello della sopravvivenza, non è altro che un modo per rimandare la morte, per vincere su di essa. Ecco perché forse questi esseri ci sono tanto simpatici e perché i produttori continuano a investire su di loro. Di certo, se non una scomparsa, assisteremo a una continua mutazione del tema, che potrà andare ad allontanarsi sempre di più rispetto al concetto originario dell’essere che vuol mangiarti, per avvicinarsi a qualcosa di diverso, non necessariamente visto in chiave negativa.
Nel dubbio, vi consigliamo di tenere sempre in mente le regole di Zombieland per sopravvivere a un’epidemia zombie, non si sa mai.
– Andrea Carbone –