Un fantasy-oso saluto a tutti voi, Isolani! Benvenuti alla recensione del volume n. 23 della serie ‘Dragonero’, sceneggiato da Luca Enoch, che vede Walter Trono e Salvatore Porcaro alle matite. L’albo che recensiamo oggi conclude la storia ‘L’uomo delle foreste’ iniziata nel volume n. 22, ma contiene anche uno degli spin-off dedicati alle avventure di personaggi secondari della serie, che in passato abbiamo molto apprezzato proprio perché consentono agli autori di esplorare in lungo e in largo l’Erondar, senza dover rimanere legati al punto di vista dei protagonisti abituali.
DISCLAIMER: Questo articolo contiene SPOILER dall’albo n. 23! Se non lo avete ancora letto, non inoltratevi nella lettura o farete la fine di una cacciatrice del Sud tra le fauci di una tigre!
L’avventura riprende esattamente da dove si era fermata nel precedente albo, vale a dire dalla morte di Kuna, il cacciatore, impegnato in una relazione “a porte girevoli” (che è sorprendentemente fantasy!) con la bella cacciatrice sudrona Na’weh. La ritroviamo intenta a scavare una tomba e a predisporre una semplice lapide per l’amante caduto. Ad ucciderlo, come ricorderemo dal numero precedente, è stato il Viresilvhe, “L’uomo delle foreste” nella lingua erondariana, una sorta di orso mannaro giunto nella Vetwasilvhe, la “Foresta vecchia”, verosimilmente attraverso le pietre-portale degli Ubiqui, ora in cerca di vendetta per la morte del proprio padre adottivo. Il quartetto di inseguitori (Ian, Gmor, Na’weh – ormai in modalità missione suicida – e Due Facce) si accampa e trascorre una notte insolitamente tranquilla: è ormai chiaro perché il Viresilvhe non attacca pastori o taglialegna, concentrandosi sui cacciatori. Na’weh, in pratica, si è dipinta sulla schiena un bersaglio grande come un fienile e lo ha fatto col sangue del padre dell’orso mannaro. Beh, almeno metaforicamente.
Il Viresilvhe, scopriamo l’indomani mattina, non voleva agire nell’ombra: ha atteso il sorgere del sole per affrontare i quattro faccia a faccia; quasi pavoneggiandosi della sua rapidità ferina, appare e scompare fra gli alberi, manda l’ascia di Gmor a colpire le mosche, lascia che la balestra di Due Facce quasi spedisca al creatore il nostro Ian (che per fortuna para prontamente col piatto di Saevasecta), usa lo stesso Due Facce come scudo umano contro la freccia scoccata da Na’weh e, nella confusione generale, prende prigioniera la cacciatrice e si rifugia nella sua tana, il cenote che avevamo visitato nell’albo di marzo. Ian, quindi, si trova costretto (?) ad andare avanti da solo. “Devo restare, Gmor. Fra poco sarà buio e, se io tengo impegnato il Viresilvhe, voi riuscirete a uscire dalla foresta“: questo è l’alibi fornito da Dragonero. Gmor, che lo conosce come le sue stesse tasche, non ci crede neanche per un minuto. Nel breve dialogo che segue, Ian chiarisce di essere lucidamente consapevole della colpevolezza di Na’weh (contrapposta all’innocenza di Due Facce), ma qualcosa lo spinge a cercare di salvare la donna. Sarà per la scintilla scoccata fra loro la sera precedente, oppure solo l’immancabile impulso di essere l’eroe che salva la situazione? Sul movente di Ian, il mistero aleggia tuttora.
Lo scontro del cenote è un po’ quello che tutti ci aspettavamo da quando questa storia ha avuto inizio: la resa dei conti tra il Romevarlo e il Viresilvhe. C’è una certa circolarità nella narrazione, esplicitata dal ritorno al cenote. Qui, con l’astuzia di una vecchia volpe, Ian Aranill sfrutta abilmente un diversivo per liberare la prigioniera, ma questa perde sorprendentemente la vita nel caotico duello finale con il Viresilvhe. Sconfitto l’animale (non prima che, terzo a farlo nell’intera storia, questi abbia assaggiato il sangue del drago che scorre nelle vene del protagonista, restandone disgustato), Ian scopre il cadavere di Na’weh e, superato il trauma, le dona una spartana sepoltura accanto a quella di Kuna, che apriva la narrazione in questo episodio. Come dicevamo, c’è circolarità nella narrazione: siamo tornati al punto di partenza. Morire è un conto, scomparire senza lasciare tracce è tutta un’altra faccenda, riflettevano Dragonero e la cacciatrice; Ian lascia dunque una testimonianza del passaggio di Na’weh sulla Terra e se ne va a capo chino, la spada che sembra pesare come un macigno sulle sue spalle piegate.
Permetteteci una breve riflessione. A parte che le donne di Ian stanno iniziando ad essere più sfigate di certe Bond girl che durano appena pochi minuti in scena e poi cadono come mosche… la cacciatrice Na’weh era un personaggio interessantissimo e ricco di potenzialità, di quelli che ci saremmo aspettati di rivedere in futuro, magari come personaggio ricorrente. Forse Enoch ha giocato proprio su questo, illudendoci per poi darle una morte che, se da un lato era lecito aspettarsi, dall’altro risultava imprevedibile proprio alla luce di questi ragionamenti, dimostrando in nuce una crudeltà degna di George Martin (lo diciamo con affetto per entrambi gli autori, beninteso). Alla luce di tutto, questa svolta ci è piaciuta. Perché Ian Aranill, anche se si presenta come eroe senza macchia e senza paura (sull’Isola ne abbiamo parlato più volte), non viaggia senza portarsi dietro un grave carico di senso di colpa. Alla fine di ‘Sangue chiama sangue’ questo senso di colpa è incarnato dalla stessa postura del Romevarlo, ingobbito sotto il peso del fallimento. Intendiamoci, c’è una nobiltà in questo fallimento, in questa sconfitta a metà, ovvero la nobiltà dell’eroe che fa l’impossibile per salvare qualcuno, ma ciò nonostante non ci riesce. In questo, la suggestione profonda ci ha rimandato con la mente a ‘The Night when Gwen Stacy died’ del 1973 (o, se preferite, alla rielaborazione fattane nell’ultimo ‘The Amazing Spider-Man’). Ci fa star male vedere Ian soffrire così e per queste ragioni, ma in fondo in fondo ce lo fa anche apprezzare di più.
A conferma dell’interesse di cui era meritevole Na’weh, la seconda parte dell’albo è dedicata ad uno spin-off tutto suo, per forza di cose ambientato nel passato. Ai testi sempre Enoch, mentre ai disegni troviamo l’esordiente (per la serie ‘Dragonero’) Salvatore Porcaro, che non sfigura affatto con le illustrazioni di Walter Trono nel raffigurare le vicende che hanno portato Na’Weh a conquistarsi le “zanne delle tigre” e a viaggiare verso la Vetwasilvhe. Si tratta giocoforza, com’è intuibile, di un flashback. La storia ha un tono piuttosto “maturo” anche per gli standard della serie (vediamo la cacciatrice catturata, legata e quasi stuprata), e ha l’unico difetto di concentrare forse troppe nozioni in un numero esiguo di pagine; il pregio, che è l’altra faccia della medaglia, è invece quello di aprire tanti spiragli su un mondo esotico e sconosciuto, che non vediamo l’ora venga visitato da Ian o da qualche altro personaggio. Prima dell’immancabile incontro con la Grande Madre, che segnerà – in positivo e in negativo – il destino di Na’weh, scopriamo che la foresta è popolata anche da strani esseri simili a Velociraptor, e che una casta di nobili di città è solita darsi alla caccia (anche di esseri umani) in sella a pipistrelli giganteschi, noti come “ali artigliate”; assistiamo, inoltre, ad un curioso incontro della cacciatrice con un Dio Dormiente, un essere veramente affascinante del quale ci è dato sapere – anzi, comprendere – pochissimo. Ne incontreremo degli altri in futuro? A questo punto è lecito sperarlo.
Nel complesso, in conclusione, ‘Sangue chiama sangue’ è un volume che ci sentiamo di valutare in maniera più che positiva, non ultimo anche per la bella copertina di Giuseppe Matteoni, in cui il Viresilvhe emerge in tutta la sua imponenza! Prossimo appuntamento su queste stesse spiagge con la recensione del volume n. 24, ‘Attraverso l’Erondar’!
– Stefano Marras –
Dragonero 23 – Sangue chiama sangue: recensione
Isola Illyon
- Molto azzeccata la copertina di Giuseppe Matteoni, che cattura l'enfasi del combattimentof fra Ian e il Viresilvhe;
- Finale un po' a sorpresa che abbiamo apprezzato molto;
- Bellissima l'ambientazione dello spin-off, capace di destare grande curiosità sul lore di quella parte del mondo;
- Uno spin-off dai toni più maturi della media della serie;
- Spezzare la storia in due, con uno stacco di un mese fra un volume e l'altro, fa perdere un po' il climax che era stato costruito;
- Lo spin-off dedicato a Na'weh è forse troppo corto e concentra troppe informazioni in poche pagine;