“All was well”. Harry Potter e i Doni della Morte si chiudeva così, mettendo il punto ad una storia lunga più di dieci anni. Un pomeriggio di dicembre, quasi vent’anni fa – ecco, sì, lasciate che si depositi. Vent’anni fa. Sono passati quasi vent’anni. VENTI-ANNI.
Dicevo.
Un pomeriggio di dicembre, quasi vent’anni fa, adocchiai quel libro dallo strano titolo mentre vagavo con mia madre dentro ad una libreria Feltrinelli (credo fosse una Feltrinelli). Non ne sapevo niente, ma la seconda di copertina fu sufficiente a farmi innamorare. Aspettai la notte di Natale sveglio, trepidante, in attesa di trovare il libro sotto l’albero.
Il giorno successivo, dopo averlo divorato, accolsi la parabola Satanica che celava e mi convertii al Diavolo. Fu così che Privet Drive venne eletta a nuova capanna, Silente e la McGranitt a Re Magi ed Harry Potter… vabbe’, avete capito.
Se pensate che esageri, evidentemente non avete colto la sottile stilettata a quelli ancora convinti che Harry Potter incoraggi i gggiovani alla magia, e dunque alla dannazione. Perdonatemi, parlo sempre delle stesse cose, ma il mio Padrone è molto esigente e ci tiene a che io curi i suoi interessi in terra – interessi che comunque non hanno ricevuto gran soddisfazione dalla saga del giovane Potter. E dire che Lui ci sperava tanto.
Sarà per questo che nel 2016 vedremo un sequel?
Nel dicembre del 2013 era stato annunciato che Harry Potter sarebbe stato portato in Teatro. Al tempo la notizia aveva riscosso un successo modesto: ci aspettavamo un adattamento – tuttalpiù, ad esagerare, un prequel.
E invece no. Due mesi fa arriva la conferma che “Harry Potter and the Cursed Child” sarà un sequel, nel quale le vicende del figlio di Harry (Albus) si intrecciano al riemergere del passato paterno, in un dramma che non sarà privo – nella miglior tradizione potteriana – di oscurità. L’opera è divisa in due parti, a causa dell’”elevata epicità” (parole di Mamma Rowling) e verrà rappresentata al Palace Theatre di Londra, che il regista John Tiffany (grosse frecce al suo arco teatrale e un curriculum di tutto rispetto) ha definito “Hogwartsiano”. La storia è stata scritta da J.K. e Jack Thorne, autore teatrale a cui va il merito di aver portato sul palcoscenico “Let The Right One In”, meraviglioso film sui Vampiri che se non l’avete ancora visto bruciate Twilight per gasarvi, guardatelo e poi piangete commossi.
Le ultime cose da sapere, prima di spicciolarvi le mie opinioni, riguardano il cast: Jamie Parker nel ruolo di Harry, Noma Dumezweni nel ruolo di Hermione e Paul Thornley nel ruolo di Ron. Non li avete mai sentiti nominare? Tranquilli, manco io. D’altronde non è che siamo proprio esperti della stagione teatrale inglese, quaggiù.

Paul Thornley (a destra) non ha i capelli rossi; io, che ce li ho e sono dunque l’autorità massima in materia, vi dico che basta essere ginger inside (e lui ha specificato di esserlo).
In compenso siamo bravissimi a scandalizzarci quando scopriamo che Hermione è nera. Di colore. Black. Annunciato il cast, ecco che si scatena il finimondo. “Ma Hermione è bianca!”, urlano i fanboy che hanno passato l’adolescenza a scaricare fotomontaggi da galera di Emma Watson. Per chiarire perché la cosa sia del tutto irrilevante mi tocca fare il maestrino e regalarvi il terribile elenco:

J.K. ha detto di non aver mai specificato che Hermione fosse bianca. Eeeh. A sua discolpa, nei 140 caratteri di Twitter non è che si possan fare difese molto elaborate.
1) È TEATRO
Non tutti i fan di Harry Potter hanno familiarità con questo mezzo, perciò l’errore è comprensibile. Ogni play, ogni recita, ogni testo teatrale che valga qualcosa attraversa i secoli con fluidità, capacità di adattamento e versatilità. Sconfessare un testo teatrale è ben difficile, perché è nella natura del testo teatrale offrirsi a molteplici letture ed interpretazioni; è nella natura del teatro farsi specchio di una realtà mutevole, offrendo di volta in volta qualcosa di nuovo pur sulle medesime premesse (l’Otello di Lo Cascio è recitato in dialetto siciliano, tanto per tirare fuori un esempio recente). Ed è nella natura del teatro fare dei personaggi delle maschere, in quanto tali indossabili da chiunque. Cosa volevate, una Hermione più simile ad Emma Watson? Hermione non è Emma Watson. Hermione non appartiene ad Emma Watson. E lo sa pure Emma Watson, che ha tweetato i suoi migliori auguri alla Dumezweni (la quale li ha graziosamente accettati).
2) BASTA
Niente, basta, l’elenco è finito.
Già che ci siamo, lancio un secondo avviso: non solo è teatro, ma sono passati quasi vent’anni tra gli eventi della saga e quelli rappresentati nella futura opera teatrale. Curiosamente, lo stesso numero di anni passati dalla pubblicazione del primo libro.
Quanto cambia una persona, in vent’anni? Quanto sarà cambiata Hermione, in vent’anni? Per questo metto in guardia tutti dal farsi aspettative sulla resa del personaggio: Hermione avrà pure i suoi capisaldi caratteriali, ma l’Hermione che conosciamo noi è una ragazzina, quella che andrà sul palco è un’adulta. La sfida che si presenta alla Dumezweni non è facile: interpretare un personaggio ben radicato nell’immaginario collettivo, ma più maturo e in un linguaggio nuovo. La sua carriera teatrale la dipinge comunque come un’attrice all’altezza, e posso solo che essere positivamente curioso.
Semmai c’è da chiedersi se e quanto il teatro si presti a trattare Harry Potter in toto. Prima che una saga fantasy, Harry Potter è un romanzo di formazione. L’opera che si profila all’orizzonte cosa sarà? Si parla di adulti e di passati che riemergono, ma anche di nuovi “bambini”. Per Star Wars le aspettative oscillavano fra il timore per lo sfruttamento di una fan base esistente e l’ugual timore per un massacro dell’originale. D’altro canto questo è teatro, e il secondo timore può qui essere ben sostituito dalla speranza di una interpretazione innovativa, adatta al diverso mezzo espressivo.
Le premesse sono ambigue. La produttrice dell’opera, Sonia Friedman, è nota per aver portato a teatro Benedict Cumberbatch nel ruolo di Amleto. Certa critica l’ha tacciata di aver cucito la rappresentazione sul Cumberbatch-Sherlock, ed allo stesso modo la accusa di aver diviso HPATCC (siamo già agli acronomi) in due parti per meri motivi di money grabbing.
Personalmente spero che la ragione sia quella della Rowling: too much epicness. Un cliffhanger cinematografico in chiusura della prima parte (l’unica traccia di cinema che spero di vedere) e la spasmodica attesa della seconda: una replica di quella dilaniante che, anno dopo anno, ci faceva compagnia fra un libro e l’altro. C’è piacere, nel ricordo del dolore? Il masochista che è in me vota sì. E spera di vedere Harry Potter and the Cursed Child il prima possibile.
– Luca Pappalardo –