Indovinate qual è il mio argomento di nerd-discussione preferito da qualche mese a questa parte. Lo stesso di tutti gli uomini e le donne dotati di senno su questo pianeta: l’imminente uscita del nuovo capitolo di Star Wars. Cos’altro poteva essere, sennò? Ebbene sì, sarò monotematico e ripetitivo, e di certo sarò anche bersaglio dei vari “ecchec***zo, basta!”, “fatti una vita” o “escine – non #escile – una volta per tutte”. Ma io rifiuto gli insulti e vado avanti, perché di eventi così non ne capitano tutti i giorni e, soprattutto se siete tra quelli che hanno qualche anno in più e che l’uscita dei film precedenti della saga l’avete vissuta in prima persona, sapete che cosa significa aspettare l’uscita di un episodio di Star Wars.
In questo stato di attesa palpitante, c’è però un pensiero che non mi ha dato pace fin da quando è stata annunciata la produzione di una nuova trilogia, e il pensiero ha un nome: Disney. Come tutti sapete, nel 2012 la LucasFilm è stata acquistata dalla The Walt Disney Company, vuoi per essere salvata dal fallimento, vuoi per strategia di mercato, vuoi – più probabilmente – per assecondare la tendenza al cannibalismo commerciale che caratterizza i grandi gruppi mondiali. Fatto sta che vedere il marchio di Topolino sulle spade laser a me è suonato strano – non so a voi. Ho sentito un tremito nella Forza fin da subito, perché la Disney non vuol dire solo Mickey Mouse e Donald Duck, pietre miliari con cui inevitabilmente siamo cresciuti tutti, ma porta con sé una ben definita identità, fatta di valori e simbologie, che inevitabilmente condizionerà in qualche – seppur minimo – aspetto anche l’universo di Star Wars, inteso come insieme di pellicole, libri, videogiochi, e merchandising. D’altronde, tutto ciò che porta il marchio Disney ha sempre dovuto rispondere a determinati canoni estetico-narrativi che tutti conosciamo: su tutto aleggia un’aura fatta di polvere di stelle, il male viene come mitigato tramite la comicità, le fiabe sono epurate dei dettagli più truci presenti nelle storie originali e le donne vivono un amore fatto solo di purezza. Perché tutto questo? Perché la Disney fondamentalmente crea prodotti per bambini. So già che alcuni di voi mi diranno che le pellicole prodotte dai Marvel Studios – anch’essi di proprietà Disney e ben prima della LucasFilm – non hanno risentito di un evidente disney-rinnovamento. Grazie al c***o, dico io! Ci mancava solo che Hulk diventasse il cugino irascibile di Shrek (sì, lo so che è della Dreamworks).
Ma lasciamo i supereroi e torniamo a Star Wars. Come ho detto più volte, anche la storia ambientata nella Galassia lontana lontana rispetta i canoni tradizionali della fiaba come genere narrativo. Non parlo delle fiabe ricoperte da una patina di magico e incantato: parlo di quelle vere, quelle fatte di miti e archetipi in cui non necessariamente tutto fila liscio. Quelle dei fratelli Grimm in cui la strega di Biancaneve era cannibale e Cenerentola faceva accecare le sorellastre dai colombi; quella di Collodi in cui il Grillo Parlante moriva; quella di Barrie che scriveva che Peter Pan uccideva i bambini troppo cresciuti per rimanere sull’isola; quella di Anders in cui la Sirenetta muore di crepacuore. Anakin è passato dallo sterminare intere famiglie di Tusken a strangolare i suoi sottoposti, fino a tagliare la mano a suo figlio. Ci dobbiamo aspettare che Kylo Ren non sia spietato perché altrimenti i bambini potrebbero spaventarsi? Ovattare il male, confinarlo come qualcosa che non fa parte della vita, non è un processo che le fiabe devono fare, altrimenti perdono il loro potere formativo. Come diceva tale Chesterton, “Le fiabe non insegnano ai bambini che i draghi esistono, loro lo sanno già che esistono. Le fiabe insegnano ai bambini che i draghi si possono sconfiggere”. Quello che voglio dire è che la Disney ha proposto un modello di fiaba tutto suo che poi si è imposto universalmente, tanto che siamo spesso portati a confondere il concetto di fiaba stessa con le immagini scintillanti disneyane. Onore alla casa di Topolino e all’impero a cui ha saputo dar vita? Solo in parte, direi io, perché se da un lato milioni di bambini – me compreso – sono cresciuti con i Sette Nani e Aladdin, da un punto di vista puramente educativo, invece, l’operazione fatta è stata quella di snaturare un genere narrativo che aveva una tradizione secolare.
Diciamo che il mio augurio (credo privo di speranza, ormai) è quello di non dover assistere a delle sfilate a Disneyland in cui Pippo fa a braccetto con Darth Vader mentre Pluto piscia addosso a Chewbacca. Ma al di là di questo discorso in generale sul connubio Star Wars-Disney, su cui ovviamente si può essere in disaccordo, a proposito della disneyzzazione di Luke e soci vi riporto una notizia fresca fresca che parla di rumors (confermati poi dal disegnatore della Marvel J. Scott Campbell) secondo i quali la Disney avrebbe intenzione di ritirare dal commercio tutto il merchandising fino ad ora marchiato come “Slave Leia”. Vi dice niente il sexy bikini metallico che Jabba fa indossare alla principessa mentre è sua schiava? Cerrrrrto che vi dice qualcosa, birbantelli… Scherzi a parte, è una scelta che fa riflettere. La figura di Leia ne “Il ritorno dello Jedi”, schiavizzata in catene e in abiti succinti, fu fin da subito controversa, e può dare tutt’oggi adito alle opinioni più diverse. Ci tengo a chiarire subito una cosa, però, e sarò molto categorico in questo senso: se ci atteniamo al film, è chiaro come la volontà dei creatori non era quella di proporre una nuova icona sexy, semmai quella di rendere credibile la condizione umiliante a cui erano costrette le donne di un gangster pappone, il quale viene puntualmente sconfitto dalle forze del bene. Quella parte di film avrebbe avuto lo stesso potere immaginifico se Leia fosse stata obbligata a indossare collo alto e gonna alle caviglie? No. Invece, così siamo tutti d’accordo nel dire che Jabba è un bastardo e merita la fine che ha fatto. Messaggio: le donne non vanno umiliate e utilizzate come oggetti sessuali. L’immagine sexy semmai arriva dopo, con l’iconografia pubblicitaria, con i servizi fotografici di Carrie Fisher su Rolling Stone e, da ultimo, con il cosplay (pratica capace di far diventare porno anche i Pokémon, figuriamoci una donna in bikini). E l’iconografia sexy, con buona pace della Disney, non sarà certo cancellata ritirando delle action figures dagli scaffali.
Ho come l’impressione che questo colpo di spazzola della Disney, che vuole disfarsi di un’immagine offensiva per la donna, sotto sotto nasconda l’intento di dire “fino ad ora la saga ha proposto ai fan una nobile principessa come fosse una prostituta, e ora noi vogliamo ridarle l’aura angelicata che merita”. E no! Non ci sto! Sconfitto Jabba, Leia riprende a vestirsi normalmente e impugna nuovamente il blaster, mica va in giro in bikini. Leia è una principessa guerriera, non una giovane dagli occhi languidi; è una che combatte per il bene altrui e per la sua condizione di donna che occupa un posto di potere; è una che uccide a mani nude il suo carceriere per dire che le donne non si trattano così. Non c’è nessuna aura angelicata da restituire, e anzi, la figura della donna-angelo (che spesso vediamo appiccicata addosso alle principesse Disney) è semmai l’antitesi del concetto di parità dei sessi. Quindi, la domanda che mi e vi pongo è: Leia e le donne protagoniste della saga da qui in avanti diventeranno a tutti gli effetti delle principesse Disney? Se, come e quanto la Disney porterà beneficio al proseguo della serie? In termini di numero di fan che saranno coinvolti direi che il binomio sarà sicuramente positivo, e vedendo come i film della Marvel sono stati prodotti e quanto ne hanno beneficiato forse non c’è di che preoccuparsi più di tanto. Altra cosa a mio avviso positiva è sicuramente l’azzeramento dell’Universo Espanso, ormai diventato un coacervo di opere e prodotti a dir poco deliranti. In conclusione, io confido solo in J.J. Abrams, ma sono curioso di sentire cosa ne pensiate voi fan.
– Michele Martinelli –