“Tutti i bambini crescono, tranne uno. Lo sanno presto che cresceranno e Wendy lo seppe a questo modo. Un giorno, quando aveva due anni, giocando in un giardino, colse un fiore e lo portò di corsa a sua madre. C’è da immaginare che la bambina, in quell’atteggiamento, sembrasse deliziosa poiché la signora Darling appoggiò le mani al cuore ed esclamò: “Oh, perché non puoi restare così per sempre?” Questo fu tutto quanto passò tra di loro sull’argomento ma, da allora, Wendy seppe che sarebbe dovuta crescere. Tutti, dopo i due anni, scopriamo questa verità. I due anni sono il principio della fine.“
Elen sila lumenn omentielvo, avventurieri! Con Bennato in cuffia e il cappellino piumato in testa, mi sono recato al cinema a vedere Pan, prequel cinematografico del celeberrimo romanzo di James Matthiew Barrie. Portando con me un bagaglio di ricordi (in cui troneggia il live action con Robin Williams – e colgo l’occasione per invitarvi a vederlo ancora una volta), nutrivo una discreta aspettativa. Non tanto perché apprezzi il personaggio di Peter Pan, ma perché la storia pullula di pirati. Pirati! Insomma, guardiamoci negli occhi: chi non ha mai amato i pirati da bambino? Colmo di buone speranze, mi sono dunque seduto di fronte al grande schermo.
Pan: trama, prime impressioni e una bottiglia di rum
La storia si ambienta nella Seconda Guerra Mondiale, durante la quale il giovanissimo Peter, interpretato dall’altrettanto giovane Levi Miller, vive in un orfanotrofio gestito da alcune suore. In un clima notoriamente rigido, le donne non sono certo il ritratto della simpatia, e il bombardamento tedesco di certo non contribuisce a stemperare l’animo di ghiaccio delle sorelle. Peter, insieme ad un amico, progettano quindi una fuga, spinti soprattutto dall’ardente desiderio del protagonista di riabbracciare sua madre, che lo abbandonò quando era piccolo. Ma una notte, dei misteriosi pirati rapiscono tutti i bambini dell’orfanotrofio e li portano così nell’Isola che Non C’è… riuscirà Peter a venire a capo di questo sconvolgimento di piani?
Va detta subito una cosa: l’intera pellicola è un tripudio di colori ed effetti speciali veramente godibili, anche se ci sono stati alcuni punti che mi hanno fatto letteralmente trasalire (perché mai l’intera tribù capitanata da Barbanera dovrebbe cantare Smells Like Teen Spirits? AIUTO!). Per il resto ho potuto apprezzare molte cose, a partire da un Capitan Uncino (impersonato da Garrett Hedlund) straordinariamente somigliante ad un incrocio tra Indiana Jones e Nathan Drake del videogioco Uncharted, a tratti farabutto, a tratti marpione. La nota dolente però è proprio il cattivo del film, il buon Hugh Jackman, che interpretava Barbanera – “il più temuto tra i pirati!”, come viene ricordato. Personalmente l’ho trovato difficile da inquadrare, e devo essere sincero, sono ancora perplesso nel tentare di capire se la sua interpretazione mi abbia convinto o meno. Il personaggio ha di certo il suo carisma e il suo fascino, eppure non sono riuscito ad apprezzarlo fino in fondo. Ben poco da dire in merito al doppiaggio italiano, anche in questa produzione estremamente calzante ed efficace.
Altre impressioni, dettagli rilevanti
Puntando sulla spettacolarità scenografica e dei costumi, il film colpisce svariate volte nel segno mostrando una grande cura per i dettagli. Per quanto la regia e la sceneggiatura non siano straordinarie, il film riesce comunque ad intrattenere piacevolmente lo spettatore (inutile dire che i bambini in sala ne saranno entusiasti, privi come sono di un severo giudizio cinematografico).
Devo segnalare anche un dettaglio importante, una questione per cui mi trovo spesso a brindare: niente scena amorosa sul finale. Dio grazie. Almeno qui mi sono salvato dalle solite trovate melensucce e torcibudella che ci propinano ogni volta allo scopo di intenerire il cuore dello spettatore. Per quanto il finale mi abbia lasciato decisamente perplesso e non sia scampato al fanservice (non possiamo avere tutto dalla vita, accontentiamoci), ritengo che il risultato finale sia senza infamia e senza lode, anche se devo far notare, per onestà di cronaca, che sull’argomento Peter Pan c’è decisamente di meglio – non me ne vogliate.
Alla fine di tutto posso dire che ”Pan – Viaggio sull’Isola che Non C’è” è una pellicola che, se approcciata senza grosse aspettative, può essere vista senza troppi rimpianti, sia da parte dei più grandi che dai più piccini. Galeoni pirata e combattimenti incredibili fanno per voi? Lasciate una pinta di rum qui sotto con un commento! A presto avventurieri.
–Michele Giuliani–
Pan: Viaggio sull’Isola che Non C’è – Recensione
Isola Illyon
- Abbastanza godibile e adatto a tutte le età;
- Pirati che cantano Ramones e Nirvana mentre infuria nel mondo normale la Seconda Guerra Mondiale mi fa dubitare del sacro patto della sospensione dell'incredulità;