L’aria intorno a me è gelida, sferzante. Sono giorni che viaggiamo, ma né la fatica né il freddo delle Balinok Mountains possono rallentarci. Interrompiamo la scalata mentre il sole scompare oltre la linea dell’orizzonte, un globo giallo pallido appena visibile al di là della nebbia. Innalzo una silenziosa preghiera a Belanos, Dio del Sole, mentre Ardail la recita ad alta voce a beneficio del gruppo. Resto in disparte: non sono in vena di condivisione.
Mentre appoggio lo zaino all’interno della tenda mi folgora un pensiero: è irrazionale, ma non posso combatterlo. Rovisto con ansia all’interno del bagaglio, poi sospiro, rasserenato. L’urna piena di ceneri è ancora lì dove l’ho lasciata. Anche da morto, il conte Strahd Von Zarovich tormenta i miei pensieri.
Quando ho scoperto che Jeremy Crawford sarebbe stato al Lucca Comics & Games, e che avrebbero fatto da Master ad una partita di D&D appositamente scritta per l’occasione, sono venuto nelle mutande sono rimasto piacevolmente sorpreso. Crawford dovreste ben sapere chi è, ormai, essendo stato a più riprese ospite di Isola Illyon, l’ultima volta proprio qualche giorno fa tramite l’intervista realizzata dal nostro Luca Tersigni nel corso dell’ultima edizione della fiera toscana (la trovate qui): in ogni caso, vi ricordo che è uno degli autori della quinta edizione di Dungeons & Dragons, uno con il quale può capitare di giocare forse solo una volta nella vita. E il suo “pel di dado” deve aver tirato ben più di parecchi carri di cosplayers, perché quando ho mandato la mail per iscrivermi alla partita, la risposta è stata che i giocatori sarebbero stati sorteggiati: troppe richieste.
Ricevuta l’amena novella e persa ogni speranza (troppe, le scatarrate in faccia ricevute dalla Dea Bendata), mi ero già rassegnato ad una domenica spesa guardando le tette di sconosciute insicure ed emotivamente fragili. Poi, a tre giorni dal Lucca Comics, la notizia, lo stupore e la rinnovata eiaculazione felicità: gaming batte poppe 1 a 0 (al lettore decidere se fosse o meno la prima volta).
Quando arrivo a Villa Gioiosa, dove si deve svolgere la sessione, partono le prime due sorprese: si tratta di un evento ufficiale della D&D Adventurers League. È il primo che gioco in vita mia, oltre ad essere – peraltro – la mia primissima partita a D&D 5.0. Inoltre nella stanza ci sono almeno altri quattro tavoli, occupati da i poveracci quelli che non sono stati sorteggiati per la partita con Crawford; mentre l’organizzazione mi consegna la tesserina DCI (con la quale entro ufficialmente a far parte di “quelli che giocano gli eventi ufficiali WOTC” – una roba tipo la golden league dei disadattati) ripasso il mio inglese, baldanzosamente certo di essere all’altezza della situazione. Nelle ore successive le pause piene di perplessità che Jeremy farà seguire alle mie sbiascicate mi suggeriranno il contrario.
Al tavolo dovremmo essere cinque giocatori più il GM: dei cinque iscritti, uno manca. L’assente viene atteso fino a che è possibile, poi parte il sorteggione fra i presenti per riempire il posto vacante. Assente, se stai leggendo, rosica pure. Jeremy si dimostra cordiale e disponibile, ma soprattutto sorride un sacco. Siamo immediatamente tutti presi bene. Una volta consegnate le schede, ci tuffiamo nell’avventura.
Le informazioni ricevute fino a quel momento sono poche: si tratta di un’avventura ambientata a Ravenloft. Scopriamo che il conte Strahd è morto, ucciso anni prima proprio da quegli stessi personaggi che andremo ad interpretare: un paladino dalla bussola morale più simile a quella di un inquisitore, Alistar; uno stregone paranoico, Idril; un chierico con il vizio della bottiglia, Ardail; un guerriero Eldritch saccente, Aramil; e un nano compagnone, Francis. Aver ucciso Strahd non semplifica nulla, perché ora è pieno di maledetti cultisti che vogliono recuperarne le ceneri e resuscitarlo. La situazione di partenza ci vede diretti a Barovia, proprio nella bocca del (defunto) leone, alle pendici di Ravenloft. La sorella di Alistar, Andrea, è scomparsa, e si teme che la cosa abbia a che fare con il complotto che vorrebbe riportare in vita Strahd. Nonostante il rischio dettato dalla presenza dell’urna, fardello alla cui protezione siamo tutti votati, la sparizione di Andrea è troppo preoccupante per poter essere ignorata.
Ascoltare Jeremy narrare è meraviglioso: non alza la voce più del necessario, non ne ha bisogno. Catalizza l’attenzione con un gesto, sceglie le pause giuste e le giuste parole. Non esita mai. In poche frasi dipinge la situazione in cui ci troviamo, facendoci piombare immediatamente nel gioco. È l’inizio delle cinque ore più brevi della mia esperienza di gamer (nel senso migliore possibile: cinque ore possono essere una noia, con una game master inesperto. Con Crawford volano). Ci tocca chiudere a causa della sessione di autografi presso il padiglione Games, ma è evidente che continueremmo volentieri. Qualche foto, qualche stretta di mano, e ce ne andiamo tutti a casa con un sorrisetto da beoti, paghi di un’esperienza unica.
Onde evitare di rovinare la sorpresa a chi dovesse avere la fortuna di giocare questa partita, non racconterò gli eventi della narrazione nel dettaglio; mi limiterò invece a qualche valutazione di ordine generale sul tipo di gioco e la resa complessiva. A titolo di premessa devo specificare che – nonostante i miei entusiasmi fin qui descritti – avevo qualche remora prima di iniziare a giocare, più che altro dettata dai miei gusti. Personalmente preferisco un gioco il più libero possibile dalle maglie regolamentari, centrato sull’interpretazione più che sulle meccaniche: non ero certo che lo “stile americano”, complice anche il fatto che si parlava pur sempre di D&D, non mi avrebbe fatto cadere in un trappolone fatto di dadi su dadi su dadi. Fortunatamente mi sbagliavo.
Le schede dei personaggi dimostravano una certa cura nella descrizione dei tratti psicologici e di background, sintetici ma molto precisi. La mole di nozioni regolamentari da tener presente era comunque notevole, quantomeno per i personaggi dotati di incantesimi, ma la cosa non si è rivelata in alcun modo castrante.
A livello regolamentare, da tendenziale ignorantone delle novità apportate dalla 5.0 (mea culpa, mea grandissima culpa) posso dire che un d20 e la conoscenza del sistema di vantaggi/svantaggi basta e avanza.
Sia chiaro, resta pur sempre D&D: il tempo speso a lanciare dadi è stato comunque notevole, se confrontato con altri giochi o con freeform di stampo puramente interpretativo. Detto questo, da fanatico sostenitore del diceless, esco da quest’esperienza arricchito della seguente verità: un Master con i controcazzi ti fa divertire anche solo tirando i dadi.
Probabilmente dico ovvietà, ma l’esperienza avuta mi ha dato una buona immagine di quella che è la sintesi ottimale fra una gestione centrata sull’interpretazione ed una legata alle meccaniche regolamentari. In questa sintesi diventa cruciale la capacità del Game Master di bilanciare una narrazione di qualità con un utilizzo ragionevole delle regole, giacché dal bilanciamento emergono per i giocatori gli spazi necessari all’interpretazione.
Questi spazi, noi appassionati del diceless siamo soliti prenderceli anche rosicchiando il terreno delle meccaniche, spesso viste come di ostacolo. Mi viene il dubbio, all’indomani di quest’esperienza, che il bisogno di spazio extra non sussista se i personaggi vengono calati adeguatamente nel contesto narrativo. Un’esperienza ad alto tasso di immersività come questa permette una maggior fluidità d’interpretazione e una maggiore integrazione della logica recitativa con le dinamiche regolamentari, andando così a creare il giusto punto d’incontro fra due modi opposti di gestire il gioco. In parole povere non pensavo che si potesse giocare tirando così tanti dadi senza rompersi i coglioni annoiarsi.
Da tutto ciò se ne traggono due morali: la prima è che, fanatici o meno del diceless, se capita uno come Jeremy Crawford in città è il caso di non paccare. La seconda, di ordine più generale, si rivolge ai jihadisti delle due correnti di pensiero “interpretativista” e “meccanicista”: rilassatevi (rilassiamoci). Da Aristotele e Ovidio in letteratura, fino a Jeremy Crawford nella pratica, la lezione è sempre la stessa: in medio stat virtus. A meno che, ovviamente, non dobbiate rollare un d20.
– Luca Pappalardo –