Capita, circa i franchise che hanno segnato la propria infanzia, che si usino parole sempre e comunque colme d’affetto quando se ne parla, perché grande è il senso di nostalgia che lega ad essi: che si tratti di Saint Seiya Omega o Next Dimension, ma anche spesso menzionando una serie non riconosciuta ufficialmente dai fan, come per esempio Dragon Ball GT. Eppure, il desiderio di conoscere sempre tutto dei propri beniamini quando cala il sipario, quando l’autore scrive la parola fine (bei tempi quando questo succedeva per davvero), è quello che mantiene vivo il ricordo e l’amore verso una certa opera: ammettiamolo, l’affetto più profondo è quello che non viene mai appagato del tutto.
Ma questi concetti oggi sono poco spendibili, in un periodo in cui ogni speranza o capriccio degli appassionati merita d’essere accontentato, se ovviamente smuove la macchina dei $$$oldi. Poteva un brand come Dragon Ball sfuggire a tutto ciò? Ovviamente no, ed è per questo che Akira Toriyama si è lanciato in una serie di nuovi progetti che coinvolgono “l’universo” di Guku e compagni nella probabilmente azzardata speranza di creare un contesto vasto quanto è il Marvel Universe (cartaceo o cinematic che sia).
Dopo Dragon Ball: La battaglia degli dei (lungometraggio del 2013), che cronologicamente si colloca tra la sconfitta di Majin Bu e i quattro anni precedenti all’ultimo torneo Mondiale in cui Goku combatte contro la reincarnazione buona di Bu (il piccolo Uub), e dopo il più recente Dragon Ball: La resurrezione di ‘F’ (qui vi rimando alla recensione mentre qui al mio personalissimo giudizio spoileroso) dell’aprile 2015 (da noi uscito lo scorso settembre), che invece si svolge diverso tempo dopo il precedente lungometraggio ma sempre prima della fine della serie Z, Toriyama ha lanciato Dragon Ball Super, nuova saga televisiva che ad oggi conta 14 episodi, e che riprende dall’inizio e sviluppa in modo leggermente diverso la trama già vista in Battaglia degli Dei, attuando un autentico reboot.
Giusto per incasinare il tutto rendere più incomprensibile la cosa, La resurrezione di ‘F’ si dovrebbe collocare in un punto non meglio precisato della serie televisiva che ATTUALMENTE sta andando in onda – quindi nel lungometraggio al cinema abbiamo già visto una storia FUTURA rispetto a quello che ADESSO stanno trasmettendo nella Terra del Sol Levante.
Se non è questa una mera operazione di marketing, sinceramente non ho idea di cosa possa esserlo: sceneggiare qualcosa di simile vuol dire essere veramente sotto sostanze stupefacenti. È un qualcosa di paragonabile alla scelta di far uscire nei cinema un film incentrato sulla saga di Majin Bu quando in televisione devono ancora trasmettere gli episodi della saga di Freezer: giustamente non ci si capirebbe un’acca.
DRAGON BALL SUPER: COSA C’È DI SUPER, QUINDI?
A questa domanda, è possibile rispondere solo così: l’affetto di legioni di fan che comunque seguiranno il prodotto, che si tradurrà in ricchi introiti per Toei e Toriyama che, un po’ come Kurumada (l’autore de I Cavalieri dello Zodiaco), oramai vive di rendita riciclando sempre le stesse cose.
All’apparenza il principale difetto dell’opera, oltre alla storia che punta a sviluppare eventi che si collochino nemmeno dopo la conclusione del manga (ma proprio a cavallo tra il 517° ed il 518° capitolo del manga, e tra il 288° e il 289° episodio della serie Z), è la sua resa grafica, da moltissimi criticata per il suo essere approssimativa se non scadente, che sminuisce un brand dell’importanza di Dragon Ball, oltre alla sceneggiatura che mira più a introdurre personaggi e un “universo più vasto” che ad approfondirli: si mostra quanto costoro siano forti e non come agiscano o il perché facciano certe scelte, cosa a cui, se non altro, si dava il giusto spazio proprio ne La battaglia degli dei: Lord Bills, in particolare, nella serie televisiva viene pesantemente svilito nelle motivazioni e nel suo carattere rispetto al lungometraggio appena citato, così come i dialoghi tra lui e Goku durante lo scontro sono meno affascinanti. Poco emerge il carattere semplice del nostro affezionato Saiyan, che sempre nel suddetto film ammetteva che non amava lo stadio del Super Saiyan God in quanto non raggiunto con le proprie forze, quasi ad accettare fin dall’inizio la resa, almeno sotto il profilo morale.
Chiaramente non si può giudicare una serie televisiva che non si sa nemmeno da quanti episodi sarà composta, però è innegabile che si sia puntato più sull’affetto dei vecchi fan, con l’intenzione di prenderne di nuovi tra i più giovani con trasformazioni inedite e combattimenti su scala “universale” (dato pare ci siano altri Dei della Distruzione), piuttosto che sulla qualità del prodotto.
Le animazioni non sarebbero nemmeno male per un prodotto televisivo, ma sono proprio i disegni dei personaggi ad essere di molto sotto gli standard odierni: perché sì, si può obbiettare che anche la serie Z spesso ostentasse puntate disegnate maluccio, ma si trattava pur sempre di un anime andato in onda dal 1989 al 1996 per ben 291 episodi, quindi alti e bassi erano tutto sommato giustificabili, laddove Dragon Ball Super è un prodotto del 2015, e queste pecche non gliele si possono perdonare.
È noto che coloro che lavorano alla resa grafica di un cartone animato spesso lo facciano con la frusta, sottopagati e con ritmi di lavoro proibitivi, ed è del pari noto che la Toei è proprio famosa per queste sue produzioni qualitativamente altalenanti: tuttavia, il tanto bistrattato Dragon Ball GT, pure con la sua ingenuità, gli errori palesi e la continuity mandata alle ortiche, era disegnato bene.
In ogni caso, se rileggete ciò che ho scritto più sopra, ho premesso che l’aspetto grafico è “il difetto principale all’apparenza“, perché questo colpisce subito, specie nel tanto citato quinto episodio in cui Goku sfida per la prima volta Lord Bills. Però l’anime pecca anche sotto il punto di vista della sceneggiatura e dei personaggi, come ad esempio Vegeta che, per quanto mutato di carattere, causa non pochi colpi al cuore veder fare l’idiota per distrarre Bills; oppure proprio quest’ultimo, che improvvisamente TUTTI conoscono (Re Vegeta, il Drago Shenron, i Kaiohshin, Re Kaioh e persino Freezer); o ancora un plot che non può tendere a “più Infinito” circa i livelli di potenza e gli avversari contro cui scontrarsi, forte anche della scusa di ben “Dodici Universi” alternativi, grazie a cui Toriyama e prole possono vivere di rendita per i prossimi due lustri.
Semplicemente, alle volte bisogna saper dire “no, basta”. Pretendo che mi si spieghi perché, a questo punto, un’opera horror-fantasy (più o meno) come Ushio e Tora, che smuove l’interesse di un decimillesimo del pubblico di Dragon Ball, possa oggi invece venir presentata e sceneggiata in maniera eccellente attraverso una serie animata, mentre l’opera di Toriyama non riesca nemmeno ad evitare di andare a proporre lungometraggi che poi la controparte del piccolo schermo andrà a smontare, quasi a dire “quello che avete visto, per cui comunque ci avete pagato al cinema, adesso dimenticatevelo”.
Sì, è la logica dei reboot.
Sì, però a tutto c’è un limite.
– Leo d’Amato-