“Jonathan Strange & Mr Norrell” è una miniserie da vedere assolutamente, qualcosa che ogni buon appassionato di fantasy non può perdersi. È magica, non esiste parola più appropriata per definirla. È un distillato di spiriti fatati e Inghilterra dell’800, è una fiaba per adulti, per coloro che da bambini hanno amato Peter Pan e sperato che comparisse alla loro finestra. E se si segue l’assioma “Il libro è sempre meglio del film”, allora penso che finito qui andrò ad ordinare il romanzo da cui è stata tratta, pare molto fedelmente, la serie.
Ma partiamo dall’inizio: “Jonathan Strange & Mr Norrell” nasce come libro, uscito nel 2004 (nel 2005 in Italia, grazie alla casa editrice Longanesi), scritto dall’inglese Susanna Clarke, un “piccolo” tomo di centinaia di pagine diviso in tre parti. Il romanzo ha vinto più di un premio illustre, tra cui quello Hugo per il miglior romanzo nel 2005, e nel 2004 il titolo di miglior libro dell’anno del Times. Insomma, un’opera di tutto rispetto, tanto che il 15 ottobre 2004 ne vennero anche acquistati i diritti dalla New Line Cinema per realizzarne una trilogia per il grande schermo. E invece di comparire nelle sale di tutto il mondo pochi anni dopo, si è dovuto aspettare fino al 17 maggio 2015 per vedere su uno schermo le avventure dei due illustri protagonisti del romanzo della Clarke. E tutto sommato è andata bene così, perché ormai abbiamo capito quanto uno show televisivo possa a volte rendere meglio giustizia ad una storia, grazie al fatto che si ha molto più tempo a disposizione per raccontarla. Fin dalla prima puntata si viene catapultati in un universo differente, eppure molto simile al nostro. Siamo nel mezzo delle guerre napoleoniche, è inverno (almeno suppongo, visto che spesso nevica), e anche se l’intero popolo inglese sa dell’esistenza della magia, nessuno la pratica più visto che, oramai, viene considerata non socialmente accettabile. Rimane solo qualche incantatore di strada nelle sue tende gialle piene di cianfrusaglie a fingersi praticamente di magia così da truffare chi cerca fortuna e amore. È in questo mondo che incontriamo per la prima volta il Signor Norrell, ultimo mago praticante, uomo che si è chiuso nella sua libreria a studiare e a giocare con la magia solo come passatempo. Si convince a recarsi fino a Londra per offrire i suoi servigi all’esercito, in difficoltà contro quello napoleonico. Lo fa un po’ per il desiderio di rendere la sua passione di nuovo qualcosa di rispettabile, un po’ spinto dal suo servitore Childermass. Norrell è tutto il sapere magico dell’Inghilterra: è saggio, cauto fino all’eccesso, e sa tutto ciò che c’è da sapere. Dall’altra parte, invece, c’è Jonathan Strange che, a parte l’essere un membro dell’alta società e un talento per la magia, con Norrell ha ben poco in comune. Quando si presenta come mago, in realtà di questa professione sa poco o nulla. È un giovane avventato, innamorato, fantasioso e di grande talento. I destini dei due sono legati da una profezia che li vede come protagonisti: hanno il compito di riportare la magia in Inghilterra. La storia sarebbe già abbastanza interessante così, ma fin dall’inizio si divide in più trame, tutte tenute assieme dalla suddetta profezia, le parole di un mezzo folle e i giochi di una creatura dei regni fatati, uno spirito, una fata, un essere della magia antica, anche lui protagonista della storia.
Per le sette puntate ci si sposta dall’Inghilterra alla Spagna, fino ad un’assolata Venezia (e un contorno di italiano visto dagli stranieri, in grado di far sorridere chiunque) e, ovviamente, si attraversano specchi per visitare Senzasperanza e altri luoghi del regno delle fate. Ma “Jonathan Strange & Mr Norrell” non è solo il mix tra un racconto di magia che ritorna, battaglie ed eventi storici realmente avvenuti, costumi d’epoca perfetti e amicizia: è anche qualcosa di più profondo. Si tratta di una riflessione su cosa possa significare avere un dovere verso il mondo, come quello di dover riportare la magia, e fin dove ci sia necessità di spingersi per portare a termine il proprio compito nel modo giusto. L’animo dei due protagonisti viene messo a nudo, così come i loro diversi punti di vista, le loro debolezze e la loro forza, in modo che non siano solo portatori di magia ma anche e, sopratutto, esseri umani, testardi e fedeli alle proprie convinzioni, certi di stare ad agire nel modo giusto. Si vede l’incontro/scontro di due opposti, prudenza e curiosità, scienza e arcano, ragione e follia, moderno e antico, il tutto sullo sfondo perfetto dato dall’Europa di inizio ‘800.
A ripensarci sembra difficile credere che siano bastati sette episodi, visto che si passa dalla pace di Londra alla follia della guerra, per poi tornare nelle campagne del Regno Unito e arrivare a ville fatate con fluida delicatezza. Ogni elemento, ogni capitolo che viene raccontato, non è mai troppo lungo e non si perde nella noia di combattimenti o discorsi privi di senso e utilità; non viene mai detta una parola di troppo o mostrato un solo elemento in più del necessario, cosa rara oggi, dove si tenta di allungare il brodo il più possibile per favorire i guadagni, a discapito della qualità. Certo, dobbiamo ricordarci che la produzione è stata nelle mani della BBC: ci basta pensare a “Sherlock” per capire che a questa azienda non interessa portare per le lunghe una storia. Ovviamente “Jonathan Strange & Mr Norrell” deve parte del successo ai suoi attori, in primis Eddie Marsan (Norrell) e Bertie Carvel (Strange), che sono riusciti a rendere i loro personaggi alla perfezione – fa quasi male pensare che esistano al di fuori del mondo della miniserie. Senza poi dimenticare Charlotte Riley (Mrs Strange), Alice Englert (Lady Pole), Paul Kaye (Vinculus) ed Enzo Clienti (Childermass), anche fin troppo abili nelle loro parti. E non solo loro: un plauso va anche a Toby Haynes, regista di alcuni episodi di “Doctor Who” e “Sherlock”, che ha diretto la serie, e a Peter Harness, sceneggiatore di “Wallander” e alcune puntate del Dottore, che ha scritto le sette puntate di questa nuova serie della BBC. Quando arriverà da noi, dite? Beh, è una domanda che, purtroppo, non ha ancora risposta.
– Caterina Gastaldi –