Chi vi scrive è la classica persona che salta a pie’ pari introduzioni e prefazioni. Sono quel genere di individuo che si è annoiato a leggere De Sade perché troppo carico di antefatti, e per colpa del quale i programmatori videoludici rendono obbligatori i tutorial. Dal mio punto di vista, il peggio del peggio sono sempre state le lunghe manfrine che precedono i fumetti brossurati, quelli che investono pagine e pagine per raccontare una storia finita, ma per i quali qualcuno sente sempre la necessità di spendere parole che, solitamente, non aiutano neppure troppo a farsi un’idea sulla sua genesi. Eppure un’eccezione per “Azimut: gli avventurieri del tempo perduto” l’avrei fatta. La quantità di lettori abituati alla scuola di fumetto francese è ormai ridotta a un numero esiguo: il lavoro di Wilfrid Lupano e Andreae Jean-Baptiste stonerà terribilmente agli occhi degli assidui lettori manga e comics, ormai abituati a disegni e ritmi di tutt’altra levatura.
In effetti, tutto nello sfogliare “Azimut” sembra riportare “indietro” di quarant’anni almeno: una struttura rigida dell’impaginazione, disegno caricaturale (anche se qui ricorda maggiormente le pietre miliari delle strisce belghe) e un sistema di colorazione ricercato che cerca di imitare un effetto organico quasi acquarellato. Rimanendo sul tema cromatico, il risultato è estremamente altalenante. Jean-Baptiste dimostra in questo volumetto di essere un grande illustratore, ma certo non è riuscito a dare il meglio di sé nel mantenere il dinamismo e la vitalità che richiede la normale sequenza di vignette. Le pagine, tra le altre, sono impregnate in scale di tinte seppiate o in verdi morenti, forse a richiamare ulteriormente quell’effetto anticato che pare voler essere al centro dell’esperienza.
Il design è indubbiamente interessante, un misto tra steampunk e burlesque, con strani macchinari che convivono fianco a fianco con mezzi e strumenti ben più arcaici. Il fantasy che ne trasuda, esteticamente, rimanda superficialmente agli alti standard surreali di Arzach, ma non ne raggiunge mai la vitalità né la poesia; l’immagine non può che appoggiarsi a un testo solido e fin troppo leggero nell’uso di “spiegoni”, ma offre comunque molti spunti di estremo interesse. L’universo di “Azimut” è bello quanto folle, ma per tutto il tempo che ho passato a leggerlo non sono riuscito a togliermi dalla mente il fatto che avrebbe funzionato incommensurabilmente meglio quale libro illustrato.
Le sole 46 pagine del cartonato non sono di certo sufficienti a farsi un’idea sulla qualità della trama: questo primo volumetto concentra, infatti, buona parte delle sue energie a descrivere il mondo e le leggi che ne governano le dinamiche, introducendo personaggi ad oltranza e concedendo loro una quantità di spazio sorprendentemente democratica. A fine lettura, tanto per intendersi, non si ha ancora un’idea decisa su chi possa essere considerato il protagonista e chi l’antagonista di quest’avventura ambigua, ove tutti hanno motivazioni e sotto-trame degne di sostegno.
Il regno di Deponducato si trova a vivere il bizzarro problema dell’aver smarrito il Nord. Non intendo certo che il sovrano abbia perso la fedeltà di fantomatiche regioni settentrionali, quanto che in tutto il globo non vi sia più il polo magnetico che influenza bussole e movimenti migratori. Grossi pesci volanti si spiaggiano senza speranza, strani volatili depongono le uova in zone inverosimili e prodi esploratori si ritrovano al punto di partenza dopo mesi di estenuanti viaggi. Nel frattempo conosciamo uno zoologo che ha dedicato la sua vita allo studio di animali capaci di violare la barriera temporale, un pittore scapestrato ossessionato da un folle rapporto di amore-odio, e un avventuriero che si muove in compagnia di un coniglio bianco parlante; l’unico filo conduttore parrebbe essere una splendida e prosperosa bionda che continua ad approfittare della sua bellezza per ottenere ciò che il suo cuore desidera, continuando a fuggire e cambiare identità ogni qual volta i suoi schemi vengono scoperti.
Come ho menzionato prima, siamo ben lungi dal poter giudicare l’intreccio, ma l’impressione superficiale è che ci siano tutte le possibilità per ricavarne una grande fiaba in sospeso tra contemporaneità e fascino arcaico. Peccato, insomma, che testi e disegni non abbiano trovato un vero punto d’incontro e che l’aspetto vada a soffocare per molti versi le brillanti intuizioni di Lupano. Ho onestamente passato più tempo ad apprezzare il risguardo fregiato di schizzi e appunti enciclopedici che a rimirare le scene del fumetto effettivo, fin troppo consapevole che “Azimut” finirà per essere ricordato per le forme seducenti di quella ragazza mezza nuda posta sin da subito in copertina. Complessivamente non posso che ammettere di dirmi mosso da sentimenti contrastanti: a voi che leggete suggerirei di attendere le prossime uscite, giusto per capire se certe premesse siano mantenute o se le buone idee finiscano con l’essere inghiottite da un banale virtuosismo narcisista di un illustratore forse troppo affascinato dalle belle donne e dallo stile retrò.
–Walter Ferri–
Azimut: Gli avventurieri del tempo perduto – Recensione
Isola Illyon
- Un mondo fantasy strepitoso;
- Tante belle idee;
- Ottima edizione;
- Numero esiguo di pagine;
- Prezzo non indifferente;
- Estetica troppo predominante;