Nello scorso articolo abbiamo analizzato come la saga epica di Star Wars sia, in realtà, un’avvincente storia d’amore. In salsa fantasy, naturalmente. L’amore, il sentimento universale che alimenta le gesta degli eroi di ogni mito, ma soprattutto un sentimento spesso incoerente e difficile da capire, che costringe noi, uomini e donne nella vita di tutti i giorni, a scontrarci con le numerose contraddizioni che esso ci pone davanti. Non fanno eccezione i personaggi immaginari dei nostri universi di fantasia preferiti, spesso alle prese con dubbi esistenziali che non ci aspetteremmo di cogliere in valorosi eroi inossidabili e che, invece, li rendono ai nostri occhi così profondamente simili a noi. In questo senso, “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” stanno facendo scuola per gli anni a venire. Cosa siamo disposti a fare per le persone che amiamo? Al netto di Estranei e draghi, Primi Uomini e divinità rosse, sembra essere questa la domanda che George Martin – sta qui la sua grandezza – ci mette di fronte con i suoi romanzi. Ed è un interrogativo che tutti nella nostra vita abbiamo affrontato o che prima o poi dovremo affrontare.
Ma torniamo a Star Wars. Nel corso della sua storia, assistiamo ad un grande paradosso per cui tutto il male che è stato compiuto dal prescelto Anakin è stato, in realtà, compiuto per amore. Parlando quindi della misteriosa profezia Jedi, secondo la quale sarebbe venuto colui che avrebbe riportato l’equilibrio nella Forza, e dato per assodato che il predestinato a compierla è appunto Anakin, non possiamo fare a meno di domandarci se tutto il male e il dolore causati da questo “eroe” durante il proprio percorso siano giustificati. Il fine giustifica i mezzi? Sempre? Che razza di prescelto è uno che ripudia tutto ciò in cui crede per inseguire egoisticamente i propri scopi, per quanto siano dettati dall’amore? La Forza ha architettato una tortuosa serie di eventi per arrivare all’atto conclusivo in cui tutto sembra trovare una risposta – ho usato il termine “eucatastrofe”, coniato da Tolkien per indicare un finale agrodolce. Ma la Forza non poteva semplicemente condurre Anakin a uccidere l’Imperatore tre film prima de “Il ritorno dello Jedi”, invece che ad allearsi con lui prima di ribellarsi ed eliminarlo? Eppure tutto ciò è tremendamente simile alla vita vera, se ci pensate. Lo diceva anche la mamma di Forrest: La vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita. Tradotto, le vie della Forza sono infinite.
Quindi, Anakin Skywalker è l’eletto. Ha dovuto anche lui scegliere tra la pillola blu e la pillola rossa, tra rimanere uno schiavo o seguire la strada che il destino gli aveva disegnato davanti, abbandonando sua madre e la vita che conosceva. Qualcosa dentro di lui lo ha spinto a scegliere quella rossa, e così ha lasciato il deserto da persona libera e destinata a seguire le vie dei Jedi, trovando finalmente nel suo liberatore e maestro Qui-Gon la figura paterna che non aveva mai avuto. Ma, appunto, quasi mai le cose prendono la strada più ovvia, e presto quel bambino dallo sguardo innocente deve affrontare la perdita del suo maestro. Nei racconti mitologici il percorso dell’eletto non è mai semplice, e questa cosa appare chiara fin dall’inizio anche per quanto riguarda il destino di Anakin, che sarà segnato inevitabilmente e puntualmente dalla perdita. Dopo aver perso il proprio padre spirituale, infatti, il giovane arriva tardi in soccorso alla madre prigioniera dei Tusken, e può solamente stringerla mentre la guarda morire. È la fine di Anakin come lo conoscevamo fino a quel momento: da qui in poi, l’influenza del cancelliere Palpatine/Darth Sidious su di lui sarà pesantissima e impossibile da eludere. Per il Lato Oscuro la strada spianata è.
Ma d’altronde, cosa rappresenta il Lato Oscuro se non l’insieme palpitante delle nostre pulsioni legate agli istinti, positivi o negativi che siano? E quanti di noi, di fronte agli eventi tragici di cui Anakin è spettatore, non avrebbero sentito montare dentro un desiderio incontrollabile di vendetta? In definitiva, cosa significa portare l’equilibrio nella Forza? In realtà, è un concetto più vicino alla filosofia e alla ricerca interiore che non alla fine della stirpe Sith. È metaforicamente il raggiungimento di una piena maturità, nella quale ciascuno di noi è in grado di trovare il proprio posto nel mondo, dopo aver seguito un percorso di crescita personale che porti ad un equilibrio, appunto, psico-emotivo appagante. È, insomma, lo scopo del classico viaggio simbolico dell’eroe mitologico. Tante pompose parole per dire che Anakin è, però, il modello da non seguire, cioè colui che dà retta solamente ai propri istinti senza ascoltare la ragione, e che non ritorna dal viaggio per svelare cosa ha appreso – almeno non in apparenza.
La cosa forse più interessante da notare è come Anakin/Darth Vader, nel suo essere simbolo di un percorso di crescita non terminato, sia forse la figura cristologica che più ha segnato l’immaginario collettivo dell’età contemporanea, diventando uno dei personaggi mitologici più interessanti e meglio riusciti di tutti i tempi. Ci sono degli elementi narrativi nella saga di Star Wars che sono indicativi di come questo personaggio sia fortemente debitore anche del mito cristiano narrato nel Nuovo Testamento. Certamente questo ha avuto un ruolo determinante nel suo essere diventato un simbolo universalmente riconosciuto, quantomeno nel mondo cosiddetto occidentale. Anakin non ha un padre, come non lo aveva Gesù di Nazareth: la Forza e lo Spirito Santo sono l’origine del loro concepimento. Entrambi hanno un legame molto forte con le proprie madri, ma non esitano ad allontanarsi da loro quando sentono di essere destinati a qualcosa di più che essere uno schiavo o un falegname. Già dalla nascita, insomma, Anakin è segnato dal fato, o meglio, dalla Forza. È destinato a diventare un uomo fuori dal comune e a cambiare per sempre le sorti dell’umanità. E così Gesù Cristo. Ma poiché è difficile riconoscere ciò che hai aspettato tutta la vita quando finalmente ti si palesa di fronte, quando essi vengono presentati rispettivamente ai Maestri del tempio Jedi e ai Dottori del tempio ebraico, i pareri nei loro confronti sono piuttosto scettici. L’amore che essi offrono incondizionatamente e che sta al centro delle loro vite è un altro elemento in comune, ma mentre Gesù non cede alle tentazioni di Satana, Anakin è succube dell’influenza dell’Imperatore, e sul pianeta Mustafar subisce una vera e propria trasfigurazione come Cristo nel Getsèmani, con la piccola differenza che questo momento culmine non porta il figlio di Dio al Lato Oscuro. In ogni caso, non sono più gli stessi, sono qualcun altro, e sono ormai vicini alla fine. Il giovane Jedi caduto ha uno sguardo diverso, un aura diversa, un linguaggio diverso. È ormai un Sith.
Ultimo, ma non meno importante, parallelismo tra queste due grandi figure: la resurrezione dopo la crocifissione. Ricordatevi l’inquadratura in cui Darth Vader appare per la prima volta con la sua armatura nera, e il letto su cui giace legato che viene messo in posizione verticale, non occorre altro. Anakin sarebbe di certo morto dopo lo scontro con Obi-Wan, ed è solo l’intervento miracoloso di Darth Sidious a salvarlo. Ma mentre Cristo risorge per salvare tutti dalla morte, Anakin risorge per portarla in ogni angolo della Galassia, almeno fino a quando dovrà scegliere se salvare da una fine certa il figlio Luke. Non era riuscito a salvare né la madre né la moglie, ma può ancora salvare suo figlio. Ecco il ritorno provvidenziale dell’eroe. È in definitiva lui, e non Luke, il Jedi che ritorna, che risorge con la forza sufficiente per poter sconfiggere finalmente Darth Sidious. Il giovane Anakin non ci sarebbe mai riuscito prima, e il suo destino non poteva che compiersi in quel preciso momento sulla seconda Morte Nera, guidato non più dalla brama di vendetta ma, ancora una volta, come durante i bei momenti su Tatooine mano nella mano con Padmé, dall’amore.
– Michele Martinelli –