La Forza scorre potente nella mia famiglia. Parole che sono diventate ormai una litania, un mantra da recitare in attesa che arrivi presto il 16 dicembre. Parole che con una forza evocativa unica ci riportano su Endor dove, poco prima della resa dei conti finale, due fratelli si riconoscono finalmente l’un l’altra. Parole che quasi fanno dimenticare il salto temporale che intercorre tra la storia passata, così come l’avevamo lasciata ne “Il ritorno dello Jedi”, e quella futura a cui assisteremo ne “Il risveglio della Forza”. Perché a pronunciarle è sempre Luke Skywalker, l’ultimo Jedi sopravvissuto dopo la morte del padre Anakin, che sacrificandosi per salvare suo figlio aveva finalmente riportato il tanto sperato equilibrio nella Forza. La profezia Jedi, infatti, si avvera solo dopo un percorso davvero travagliato per l’eletto, fatto di dolore e di perdita, che lo porta ad abbracciare le vie del Lato Oscuro con la vana promessa di un’onnipotenza capace di sovvertire il destino e di sconfiggere persino la morte. Troppa la brama di potere da parte di Anakin? Anche. Ma il vero motivo per cui il giovane cede alle lusinghe del suo malvagio mentore Palpatine è, in realtà, l’amore: un estremo bisogno di amare e di sentirsi amato da colei che ha riportato la gioia nella sua vita, Padmé, ma che il destino crudele vuole portargli via assieme ai futuri figli, così come già si era portato via sua madre e il suo primo maestro, Qui-Gon. Tutti sappiamo come sono andate davvero le cose in seguito e il finale del sesto episodio della saga ci aveva lasciati con una certezza, oltre che con i festeggiamenti dell’Alleanza ribelle: finalmente Anakin riesce ad amare con misura, senza egoismo e senza interesse personale, ma pensando solo al bene del suo amato figliolo.
Ma allora, se a dare un senso alla trama dell’intera saga è Anakin/Darth Vader, Luke Skywalker che ruolo ha veramente all’interno della saga? Inizio con il dire che ci sono (almeno) due modi per prendere in esame la storia del giovane agricoltore di Tatooine. La prima consiste nel considerare solamente le vicende del quarto episodio, il primo storico “Star Wars” e, per molti aspetti, l’unico episodio dell’esalogia a poter essere ritenuto anche una storia autoconclusiva. Dall’inizio alla fine, la storia raccontata in questo primo film ricalca alla perfezione lo schema delle grandi tradizioni narrative mitologiche, in cui un inconsapevole protagonista scopre di essere il solo a poter salvare tutti da un male superiore altrimenti imbattibili. Nel corso di questa avventura, infatti, affinché le forze del bene trionfino, prima c’è un messaggio da decifrare, un talismano magico da recuperare, una guida da seguire, una principessa in pericolo da soccorrere, inferi da cui risalire uccidendo mostri terribili e un oscuro nemico da sconfiggere. Se prendiamo in considerazione solo “Una nuova speranza”, dunque, Luke è il solo ed unico eroe protagonista, colui che compie il percorso per diventare ciò che è destinato a diventare e che torna tra la propria gente come vincitore, nel più classico dei percorsi di formazione descritto da Joseph Campbell nel suo imprescindibile “L’eroe dai mille volti”, più volte citato da George Lucas come una delle sue fonti ispiratrici principali.
Ma la saga è, anche se ancora per poco, composta da sei capitoli. Non possiamo quindi prescindere dal considerare nella sua interezza la storia così come l’aveva pensata Lucas, storia che evidentemente ha più un di un protagonista. In effetti, è possibile considerare diverse trame all’interno della saga, da quelle secondarie (come, per esempio, quella che riguarda Han Solo oppure quelle che seguono le vicende di Jedi come Yoda e Obi-Wan) a quelle principali, che racchiudono in sé il significato ultimo alle due trilogie. Uno degli aspetti più affascinanti di questa epopea galattica è il fatto che in essa coesistono diversi livelli narrativi e, quindi, possono essere applicati altrettanti livelli di lettura. Consideriamo per un attimo la Trilogia Prequel, in cui Luke ovviamente non compare. Inizialmente seguiamo gli eventi attraverso le azioni e il punto di vista di una coppia di protagonisti, cioè i due Cavalieri Jedi Qui-Gon e Obi-Wan. Poi fa la sua comparsa il piccolo Anakin Skywalker e la nostra attenzione vira su questo bambino dalle prodigiose capacità.
Da qui in avanti, e per l’intera durata dei due episodi successivi, sono le travagliate vicende di questo giovane Jedi, affiancato dall’amata principessa Amidala, a catalizzare la nostra attenzione, perché quasi tutto è visto attraverso i suoi occhi e lo spettatore è portato ad immedesimarsi con il lato umano di questo eroe dalle capacità quasi divine. Allora assistiamo ad un gioco a due tra Anakin e Obi-Wan, in cui il bene estremo caratterizzato dal raziocinio di quest’ultimo fa da contraltare all’emotività e all’istinto di questo giovane in piena crisi esistenziale, fino all’inevitabile scontro finale che si risolve con quella che per me è la scena più bella e significativa dell’intera saga: le lacrime del maestro che ha fallito e le sue parole all’allievo sconfitto in fin di vita mi fanno emozionare e battere il cuore come in nessun altro momento.
Nella Trilogia Originale, invece, con la comparsa di Luke, i piani narrativi si separano completamente. Da una parte seguiamo i piani dell’Impero assieme ad Anakin/Darth Vader, dall’altra i “buoni” trovano finalmente il loro eroe in un giovane agricoltore che si adopera per imparare le vie della Forza. Siamo di fronte a due protagonisti veri e propri, ciascuno con la propria storia da raccontare perché, anche se in realtà è il punto di vista di Luke a farla da padrone, non è possibile considerare l’affascinante Darth Vader un personaggio secondario, sia che ne consideriamo il passato raccontatoci nei tre film antecedenti o meno.
Insomma, la scelta di una narrazione dialettica tra questi due figure a mio avviso è semplicemente geniale. Mai come in questo caso seguiamo e viviamo la storia dal punto di vista dei “cattivi” con tanto coinvolgimento, senza smettere di parteggiare per i ribelli e urlare assieme a Han e Chewbe a bordo del Falcon. Ad un certo punto, però, i due piani narrativi convergono fino ad incrociarsi definitivamente quando il giovane Luke, finalmente nel pieno delle proprie facoltà di Cavaliere Jedi, capisce che è arrivato per lui il momento che la Forza, con le sue vie infinite, aveva previsto sarebbe arrivato. Nella più tipica conclusione dei percorsi di iniziazione che le mitologie di ogni cultura ci hanno rivelato, l’eroe prende coscienza di quale sia il proprio ruolo nel mondo. A differenza del padre, infatti, Luke ha completato il proprio cammino e la sua maturazione è tale che egli non cede alle lusinghe del Lato Oscuro, perché in lui il seme del male non ha attecchito; piuttosto, di tutto quello che l’eredità paterna poteva lasciargli, decide di raccogliere la parte buona, la parte che solo gli occhi di un figlio riescono a percepire in un genitore, anche attraverso il male che questi può aver compiuto.
La Forza è cresciuta talmente tanto nel giovane Jedi che nel drammatico duello finale Vader capisce che suo figlio è diventato più potente di lui e cade sconfitto. Ma Luke non cade nel tranello dell’Imperatore che gli intima di dare il colpo di grazia al Signore dei Sith e persiste invece nel suo obiettivo, che è quello di riappacificarsi con il padre e farlo rinsavire. In cuor suo il figlio ha già perdonato il padre e lo dimostra risparmiandogli la vita, un gesto di amore estremo a cui nemmeno il male in persona riesce a rimanere indifferente. E così, mentre l’ira dell’Imperatore si scaglia in tutta la sua potenza sul Jedi, Darth Vader torna ad essere Anakin Skywalker, si ricorda di Padmé, di come era felice alla notizia che sarebbe diventato papà e non può sopportare di perdere il figlio appena ritrovato. Luke è riuscito nell’impresa per cui la Forza lo aveva scelto, riscattare suo padre e affrancarlo dal vincolo del Lato Oscuro risvegliando in lui l’amore che aveva perduto per permettergli così di compiere finalmente la profezia.
Attraverso una leggendaria storia d’amore, un messaggio fondamentale ci viene rivelato proponendo un dualismo fortemente simbolico, che mette di fronte l’esempio corretto da seguire e quello negativo da evitare: in questo sta la predestinazione così come la intende Lucas, non tanto nel fatto che uomini e donne siano in balia di un destino già scritto, quanto piuttosto che ciascuno di essi abbia un ruolo da svolgere ben preciso e che la missione a cui devono dedicarsi è compiere il percorso corretto per giungere a ricoprire il proprio posto nel mondo. Di certo, una delle più grandi lezioni di vita in assoluto che il cinema ci abbia mai regalato.
– Michele Martinelli –