Cercando Ragnarr Loðbrók su Wikipedia si può leggere che Saxo Grammaticos, nel suo Gesta Danorum, ha cercato di ricostruire la vita di questo personaggio “per il quale pare attingere, riassumere, tentare di conciliare e consolidare molte leggende ed eventi di cronaca confusi e incompatibili fra loro”. Tuttavia è una delle figure più importanti della storia e della mitologia danese: non sorprende, dunque, trovare proprio Ragnarr al centro di Vikings, una serie televisiva firmata History Channel.
L’ovvia premessa è che siamo davanti a una docufiction, questo vuol dire che, a fianco dei molti eventi para-storici (non c’è certezza sulla completa storicità degli eventi attribuiti a Ragnarr), lo show introduce altrettanti particolari che servono solo a dare colore e mantenere alta l’attenzione dello spettatore. Ci sono semplificazioni, altre volte personaggi unici “splittati” in due diversi, individui introdotti anche se non ve ne è traccia storica, design resi diversi da quelli comprovati. Ma tutto ciò non ha importanza, perché alla fine la serie funziona… e funziona tantissimo! Ha schiere di fan accaniti che si incavolano come delle belve quando la serie viene attaccata: quindi ne farò una recensione positiva, non potrei mai affrontare le schiere delle fangirl.
Non è vero: farò una recensione positiva perché il prodotto, come è detto, è valido e ben funzionante. A partire dal fatto che, come le serie migliori degli ultimi anni, ogni stagione conta solo una decina di episodi, che non stancano ed evolvono il troncone di storia in modo più che valido, mai pesante, mai esasperato e, soprattutto, mai forzato.
Nella prima stagione, andata in onda in America nel 2013 (in Italia l’anno scorso), abbiamo fatto la conoscenza di Ragnarr, un contadino sposato con la donna guerriera Laugherta e padre di Bjorn. Grazie alla sua curiosità e alla sua intraprendenza, il contadino si trasforma prima in un esploratore, poi in un eroe e un capo, capace di sottrarre il potere al suo jarl (conte). Una prima stagione travolgente, in cui ferro, sangue e fango fanno da padroni, accompagnati da personaggi vividi, vari e sempre credibili. Niente nella serie è esagerato: i combattimenti sono plausibili, i cambi di fronte sono sempre spiegati, nessuno abbatte le leggi della fisica. Tuttavia la cosa veramente apprezzabile (e da applausi) è la “coerenza” storica: i vichinghi non portano gli stupidi elmi cornuti che D&D scatola rossa ci ha insegnato a vedere in testa ai barbari del fantasy. Ai barbari del fantasy, non ai vichinghi del nostro passato!
E sono proprio i vichinghi a emergere per quello che erano davvero. Non ci vengono presentati come un popolo di bruti, sanguinari e stupidi dediti solo alla guerra e alla razzia, bensì come una valorosa cultura che, per quanto basata sulla razzia, conservava tradizioni antiche e faceva dell’onore il proprio punto saldo. Vikings, poi, colorisce il mondo reale sfruttando il fantasy, rendendo “vero” l’intervento degli dei e le capacità degli indovini, non tralasciando in alcun modo l’apparente intervento di forze superiori sempre pronte a scombussolare o sostenere i piani dei protagonisti.
Sempre nella prima stagione, abbiamo conosciuto Laugherta che, inizialmente lasciata indietro da Ragnarr e dalle sue avventure, riesce poi a introdursi nella storia combattendo fianco a fianco con il marito. Proprio lei è uno dei protagonisti più amati dello show e uno dei personaggi femminili più azzeccati dell’universo seriale e cinematografico degli ultimi anni. Questo viene permesso proprio dalla cultura dei vichinghi, in cui le donne-guerriere non erano un’eccezionalità: Laugherta può così avere normalmente la sua dimensione di combattente vicina a quella di donna e di madre, senza che questo necessiti paradossi nella caratterizzazione del personaggio.
Ma non si può andare ad esplorare altre terre senza un costruttore di barche. Un altro personaggio importante e amato è stato Floki, detto anche Loki… per l’assonanza, e per l’evidente follia che lo accomuna alla divinità del fuoco e dell’inganno. Stretto amico di Ragnarr, vive isolato in mezzo alla foresta insieme a Helga, la sua schiava. Floki nella serie incarna l’archetipo del religioso: crede nelle divinità norrene, e non esiste nient’altro. È a lui che spetta quindi il compito di arrabbiarsi quando Rollo, fratello di Ragnarr, cede al battesimo cristiano (e non importa se questo faccia parte di un accordo) e quello di mantenersi sospettoso verso Athelstan il convertito.
Anche quest’ultimo è sicuramente uno dei personaggi meglio caratterizzati di tutta la serie. Athelstan è stato prima un monaco cristiano, poi è stato preso come schiavo da Ragnarr e, entrando in contatto con la cultura norrena, anche lui curioso, si è lasciato convertire ai costumi vichinghi, cambiando schieramento, diventando un guerriero, ma mantenendo la sua anima più profonda, quella di credente.
Rollo, fratello di Ragnarr, chiude la piccola rassegna dei personaggi principali che conosciamo fin dalle prime puntate. Rollo è il contrappunto di Ragnarr. Nella prima stagione lo conosciamo legatissimo al fratello, ma desideroso di uscire dalla sua ombra ed emergere a sua volta. L’invidia per il parente divenuto jarl culmina, all’inizio della seconda stagione, in uno scontro in cui potrebbe ucciderlo. Occasione mancata a causa dell’affetto che continua a provare per lui. Da quel momento, per Rollo inizia la discesa: traditore del clan, traditore del suo sangue, traditore della sua cultura, è destinato al niente, all’attesa di un perdono – quello di Ragnarr – che tarda ad arrivare.
Se nella prima stagione lo spettatore segue la scalata di Ragnarr e la conquista del titolo di jarl, nella seconda il problema diventa invece conservare il titolo ed espandere la propria influenza. Per questo, però, Ragnarr perde progressivamente la vicinanza della famiglia. Rollo, come detto, diventa un emarginato. Laugherta sceglie di andarsene per non dover condividere l’uomo che ama con la principessa Aslaug, e il figlio Bjorn la segue. Aslaug, che non può seguire Ragnarr in guerra, è costretta a restare indietro. Athelstan, diventato amico dello jarl, suo consigliere, fratello, compagno d’armi, resta in Inghilterra e viene riconvertito dalle pressioni della sua prigionia. Solo alla fine della stagione, dopo che il Ragnarr combattivo cade in vari momenti, la sua famiglia si stringe di nuovo intorno a lui, per soccorrerlo, aiutarlo e permettergli di ottenere quello che vuole. Ogni personaggio, però, evolve in autonomo: Laugherta diventa a propria volta uno jarl, Bjorn riesce a partecipare alla battaglia e guadagna il titolo di guerra di “Fianco di Ferro”, Aslaug partorisce un bambino storpio e riesce, finalmente, ad imporsi su Ragnarr per tenerlo in vita. Floki e Siggy (moglie dello jarl spodestato dal protagonista e attuale compagna di Rollo) ingannano re Horik, per permettere al loro conte di conquistare il potere.
L’ambizione non ha limite e Ragnarr lo dimostra molto bene. La sua curiosità inarrestabile e inguaribile lo porta ad avanzare sempre di più. Non basta essere stato in Northumbria per un certo numero di volte, bisogna ritornarci e colonizzare – ed è questa, in effetti, la grande novità culturale introdotta dal Ragnarr storico e dalla sua Grande Armata Danese, il cui simbolo (il corvo) ricorre come dettaglio anche nella serie tv. Forse nella terza stagione vedremo lo storico stendardo sventolare sopra le armate del nostro protagonista? La serie tv, comunque, è stata rinnovata per la quarta stagione, in arrivo in America a febbraio, ma pare che History Channel sia già intenzionata a produrre anche la quinta, visti gli ottimi ascolti.
Menzione d’onore a Michael Hirst, lo sceneggiatore delle puntate di tutte e quattro le stagioni, che è riuscito a dare a Vikings una scrittura ottima e continuativa – rarità nelle serie tv.
Grandiose anche la fotografia e le musiche, di cui sono usciti anche i cd, un’altra eccezionalità.
E per la serie “tartarughe parlanti”, complimenti a Travis Fimmel (Ragnarr) che, nato modello, è riuscito a interpretare incredibilmente bene il protagonista della serie, facendo parlare qualcosa che non fossero solo i muscoli (io, comunque, preferisco Clive Standen/Rollo).
– Elena Torretta –