Boom, notiziona: la Warner Bros ha assunto Steven Spielberg per dirigere la trasposizione cinematografica di Ready Player One, libro di Ernest Cline.
E io non mi sento affatto felice. Cioè, Spielberg ultimamente se la cava benino: War Horse non è stato per niente male, anche se con fantasy e sci-fi non ha molto a che fare; Indiana Jones è sempre stato amato; La Guerra dei Mondi è stato magistrale sotto alcuni punti di vista, e niente da dire neanche su Minority Report (di cui aspettiamo la serie tv) e A.I. No, il problema con Spielberg è di più vecchia data, e affonda le sue radici in E.T., uno dei film più sopravvalutati della storia del cinema.
A me, come a tanti altri, sapere Ready Player One in mano a Spielberg ha generato sensazioni contrastanti. Da un lato la possibilità di una regia tecnicamente molto valida. Dall’altro il presagio che il regista potrebbe accontentarsi di completare un’opera solo mediocre e raggiungere comunque un successo eccellente, forte dei pregressi.
Speriamo in bene, dunque, speriamo che quello che lo spirito del libro non venga deluso.
Ma cos’è questo Ready Player One di Ernest Cline?
In Italia, come sempre, abbiamo deciso di cambiargli il titolo. E questa volta siamo al livello di Thor: The Dark Reign/World. Infatti non è che abbiamo tradotto il titolo o lo abbiamo riadattato. No, lo abbiamo solo mutilato, trasformandolo in Player One, edito nel 2011 per ISBN Edizioni al costo di una decina di euro, a seconda di dove lo comprate, visto che ormai non c’è molto fondo di magazzino sembra. Comunque c’è anche in comodo formato e-book, quindi siamo tutti salvi.
Cos’ha di speciale questo libro? Trasuda nerdaggine, nerditudine e nerdanza.
Ecco la sinossi di questo libro così amato: “Il mondo è un brutto posto. Wade ha diciotto anni e trascorre le sue giornate in un universo virtuale chiamato OASIS, dove si fa amicizia, ci si innamora, si fa ciò che ormai è impossibile fare nel mondo reale, oppresso da guerre e carestie. Ma un giorno James Halliday, geniale creatore di OASIS, muore senza eredi. L’unico modo per salvare OASIS da una spietata multinazionale è metterlo in palio tra i suoi abitanti: a ereditarlo sarà il vincitore della più incredibile gara mai immaginata. Wade risolve quasi per caso il primo enigma, diventando di colpo, insieme ad alcuni amici, l’unica speranza dell’umanità. Sarà solo la prima di tante prove: recitare a memoria le battute di Wargames, penetrare nella Tyrell Corporation di Blade Runner, giocare la partita perfetta a Pac-Man, sfidare giganteschi robot giapponesi e così via, in una rassegna di missioni di ogni tipo, ambientate nell’immaginario pop degli anni ’80, a cui OASIS è ispirato.”
Di nuovo, si verifica quel singolare fenomeno che negli ultimi anni marcia in silenzio dietro il grande e il piccolo schermo, sputando agli spettatori, di tanto in tanto, un’icona pop degli anni ’80 o inizi ’90. È un fenomeno che una certa fetta di pubblico ha ben notato, e che riguarda tanto il retrogaming (con mia somma gioia), quanto il ritorno nell’immaginario culturale di un passato mai troppo dimenticato: i Lego, per esempio; i G.I. Joe e Jem and the Holograms (in lavorazione), entrambi della Hasbro; la marea di reboot di vecchi giochi arcade; Pixels – di cui la nostra allesia Alessia ha parlato in modo egregio, immergendoci proprio nello spirito in cui si trova a vivere chi non ha mai perso l’occhio di riguardo per il “retrò”.
È una cosa molto strana, quella che sta succedendo. Come diceva un certo comico di Colorado, “non se ne esce dagli anni ’80”! Per altro, non sono solo quelli nati negli anni ’80 a non scappare da quel periodo, ma pure quelli nati negli anni ’90, perché si sono ritrovati ad avere un bagaglio pregresso da cui non potevano fuggire in nessun modo. Colpa del bagaglio culturale sociale, non tanto dei genitori, anche se alcuni hanno influito parecchio. Cosa è restato oggi? Tanta malinconia, non se ne esce”.
Torniamo a Ready Player One, prima che mi perda troppo nelle nebbie del tempo.
Alla regia Steven Spielberg, prodotto dalla Warner Bros e sceneggiato da Zak Penn con l’aiuto dello stesso Ernest Cline (o così dicono tutti, in virtù di un vecchio contratto dell’autore con la Warner Bros).
I punti di forza previsti sono facili da individuare ed elencare: citazionismo a pioggia, anni ’80 come se non ci fosse un domani, prodotti nerd-ma-mainstream che ormai tutti conoscono (quindi sono familiari, quindi sono piacevoli), una regia quasi sicuramente buona, la CGI certamente di alto livello e molto probabilmente una storia a quadri che saprà catturare, di certo anche grazie ad una colonna sonora che, se fanno le cose come vanno fatte, sarà un grande omaggio alle musichette degli arcade da sala giochi.
Ma proprio sugli stessi punti il film potrebbe vacillare così tanto da cadere e non rialzarsi. Noi siamo nostalgici, noi abbiamo i nostri personalissimi ricordi. Leggendo un libro ci si crea nella mente un’immagine unica e personale, basata sul proprio gusto e cultura; quando andiamo a vedere il film tratto da quel libro ci pieghiamo volentieri alla visione che ha qualcun altro di quello stesso mondo. Tuttavia, non potremmo mai fare lo stesso con Ready Player One: noi quelle cose le abbiamo vissute. L’immagine unica e personale è veramente personale, è qualcosa che abbiamo sentito sulla nostra pelle, codificata nel nostro cervello, ormai parte del nostro sangue – da nerd, videogiocatori, fantasysti o appassionati. Il film rischia di pretendere di sovrascrivere tutto questo e, lo sapete bene quanto me, è impossibile. Non accetteremo di buon grado di vedere in un film noi stessi riflessi in un personaggio che, però, non ci rispecchia in tutto.
Oppure… oppure andrà bene. Riusciranno a mettere in quel film tutta la passione necessaria ad appassionarci e zittirci, a rappresentare tutti e nessuno.
Questo problema comunque ce lo aspettiamo anche con Pixels, anche se in modo ristretto – in quanto il tema è uno solo: il videogioco anni ’80/’90, e non si tratta di qualcuno che entra in altre ambientazioni, ma di alieni invasori che copiano icone spedite nello spazio dall’uomo.
Staremo a vedere, l’unico consiglio è di non cedere ad aspettative troppo alte e godersi al meglio quello che ci verrà dato.
– Lucrezia S. Franzon –