Ebbene sì, è ormai ufficiale: la serie tv di Minority Report si farà. Come poteva la 20th Century Fox cestinare un’opportunità così ghiotta? Soprattutto perché, fra i vari nomi della serie, figurano quello di Steven Spielberg nelle vesti di produttore e quello di Max Borenstein, già sceneggiatore dell’acclamato Godzilla e di Seventh Son. Fra gli attori, invece, ci saranno Stark Sands nel doppio ruolo dei gemelli precog Dash e Arthur, Laura Regan come Agatha, terza precog, Megan Good come co-protagonista interprete della detective Lara Vega, Li Jun Li come Akeela, un tecnico della polizia scientifica, e infine, Daniel London, che tornerà ad impersonare Wally, il Custode dei precognitori che abbiamo già incontrato nell’omonimo film del 2002.
Fortunatamente non ci aspetta nessun reboot della storia: non dovremo soffrire l’allungamento della trama originaria o sorbirci invenzioni di sana pianta lanciate in un prodotto che ha funzionato in tutto e per tutto, ottenendo un buon successo sia fra gli spettatori che fra la critica.
Con le dovute differenze di media, Minority Report riprende e traspone bene il racconto di Philip K. Dick da cui è tratto, intitolato Rapporto di Minoranza – e facente parte del terzo volume di quel libro che in Italia giunse fra il 1994 e il 1997 con il titolo Le presenze invisibili, una collezione di tutti i racconti dell’autore. Certo, non è una trasposizione perfetta, ma tutti ormai dovremmo aver capito che trasformare un libro in un film non è una scienza esatta, ma richiede malleabilità, piccoli cambiamenti, e capacità di adattare l’opera ad un altro tipo di pubblico. Se Rapporto di Minoranza era rivolto per lo più agli appassionati di sci-fi, e poteva permettersi quindi di centrarsi interamente su un’ambientazione che quasi appariva una realtà alternativa alla Terra, Minority Report doveva essere d’impatto, più d’azione e meno psicologico. Contemporaneamente, trasformare il film in un futuro possibile ha permesso di far correre brividi lungo molte schiene al pensiero di un simile livello di controllo sociale e dell’istituzione di una polizia onnipresente, onnisciente e autorizzata a qualsiasi genere di intervento… anche prima che un crimine venga commesso. In realtà, gli unici punti modificati su cui si può aver da dire sono due: la prima è l’origine dei precognitori, che nel racconto sono individui mentalmente “disabili” e deformi, le cui capacità nel film vengono invece indotte attraverso l’assunzione di droghe; la seconda è il finale, poiché il racconto si chiude in modo oscuro, con il protagonista esiliato perché non ci si può permettere la destituzione della PreCrime, mentre il film preferisce un finale più hollywoodiano e in linea con il gusto tradizionale.
La serie tv riprenderà la storia dieci anni dopo dove Spielberg la ha interrotta. Dash, Arthur e Aghata, i tre precognitori, cercano di vivere una vita normale, ma li perseguitano le visioni del futuro, in genere spiacevoli immagini in cui vedono omicidi e altri crimini. La detective Lara Vega, per dipanare il proprio passato, incontrerà Dash, cercando di aiutarlo a dare un senso al proprio dono. Ancora non è chiaro cosa c’entrino gli altri personaggi, ma per quello che sappiamo la serie ha l’aria di essere un semplice poliziesco in salsa sci-fi. Mi ricorda un po’ Person of Interest, in cui si parla sempre di previsione del crimine, ma attraverso un sistema computerizzato. Oppure Continuum, dove il detective co-protagonista affianca una protagonista proveniente dal futuro e che, ricercando i criminali scappati all’esecuzione, tenta di prevenire possibili paradossi temporali. Di quest’ultimo, la cosa più interessante a mio avviso è il parallelismo fra il passato della timeline della protagonista e il nostro presente, struttura per altro simile a quella di Once Upon a Time.
Un prodotto che sembra direttamente ispirato al film o al racconto Minority Report è la serie animata Psyco Pass: un enorme computer è in grado di calcolare il livello di “pericolosità” di ogni individuo; la società, proprio come in Minority Report, è controllata a vista da un sistema di telecamere e costantemente scannerizzata. Appena il livello cresce, dei robot arrivano per intimare all’individuo di calmarsi. Quanti arrivano al livello rosso, uscendo quindi dalle righe di questa utopia distopica, vengono subito braccati dalla polizia vera e propria. Una giovane agente, coinvolta in un caso controverso, scoprirà alla fine che il grande computer centrale non è altro che un assemblaggio di cervelli umani tolti a criminali e usati come calcolatori.
Questa premessa sui prodotti che rimandano al racconto di Dick, o che in qualche modo gli somigliano, l’ho fatta per arrivare alla domanda focale: quanto sarà ingegnosa la serie tv di Minority Report? Il film, nel 2002, ha avuto successo… riuscirà lo show a tenere alto il gargantuesco nome di Philip K. Dick e la buona nomea della pellicola? Riuscirà nell’impresa di farci vedere qualcosa di non troppo scontato e interessante anche per chi (tanti) non sentiva il bisogno né di un sequel, né di una serie di episodi? Si rischia di allungare soltanto il brodo e con una trama già perfettamente conclusa nel film. Quanto ci interessano i problemi esistenziali dei precognitori?
Per quanto mi riguarda, intanto ringrazio che non ci siano adolescenti problematici e superdotati, ma degli adulti (visto che i precog dovrebbero avere una trentina di anni nel periodo in cui si svolge la serie) che devono imparare a rifarsi una vita e scendere a patti con un dono controverso.
– Elena Torretta –