“La Ruota del Tempo gira e le Epoche si susseguono, lasciando ricordi che divengono leggenda; la leggenda sbiadisce nel mito, ma anche il mito è ormai dimenticato, quando ritorna l’Epoca che lo vide nascere. In un’Epoca chiamata da alcuni Epoca Terza, un’Epoca ancora a venire, un’Epoca da gran tempo trascorsa, il vento si alzò nelle Montagne di Nebbia. Il vento non era l’inizio. Non c’è inizio né fine, al girare della Ruota del Tempo. Ma fu comunque un inizio…”
Leggete queste frasi cento, mille volte: vi daranno sempre e comunque gli stessi brividi, sono pronto a scommetterci. Se ad una prima lettura non vi sembrano familiari, probabilmente è il caso di fiondarsi a leggere la saga alla quale danno il via, edita in Italia per i tipi di Fanucci Editore. Chi invece ha sentito vibrare corde familiari non avrà faticato a riconoscere lo straordinario incipit di una delle più sterminate e riuscite saghe fantasy (nello specifico: high fantasy) che abbiano gravato le librerie di tutto il mondo: ‘La Ruota del Tempo’, ad opera dello scrittore conosciuto come Robert Jordan (pseudonimo di James Oliver Rigney). E avrà immediatamente ricordato come, al netto della differente localizzazione sull’origine del vento, queste stesse frasi vengano ripetute all’inizio di ognuno dei quattordici volumi che compongono questo mastodontico ciclo fantasy.
Come abbiamo raccontato più diffusamente in quest’altro articolo, la tragica malattia di Jordan, la sua prematura scomparsa e l’intervento della moglie Harriet hanno fatto incombere su Brandon Sanderson il ruolo di “traghettatore” del ciclo verso l’ultimo volume. Tra il 1990 ed il 2013 quattro mani, quattordici volumi e migliaia di pagine hanno così consolidato un pilastro della narrativa fantasy moderna, che non ha nulla da invidiare al fenomeno George Martin (sulla cresta dell’onda ormai dal 2011, anno di esordio della serie TV ‘Game of Thrones’).
Il già citato incipit tradisce la concezione ciclica del Tempo sottesa all’intera saga, affine a quella induista del Kalpa: se per noi occidentali il Tempo scorre a senso unico, in una linea retta da un’origine all’infinito (o verso la sua fine), in questa visione si avvolge su se stesso, seguendo cicli lunghissimi che si ripropongono periodicamente. Nel mondo de ‘La Ruota del Tempo’ questo principio non vale solo per le Epoche, ma anche per le anime, soprattutto quelle di grandi eroi e condottieri, che di quando in quando vengono re-intessute nel grande Arazzo del Tempo. Naturalmente non ogni Epoca è uguale alla propria controparte di migliaia di anni prima: non si tratta di una sterile ripetizione, di un “eterno ritorno”, ma piuttosto di una reinterpretazione con personaggi in larga parte diversi e premesse mutevoli.
La saga è ambientata in una Terra che potrebbe benissimo essere la nostra in un lontanissimo futuro. In tal senso molti sono gli indizi disseminati da un libro all’altro: le armi e le meraviglie architettoniche dell’Epoca Leggendaria; le rimembranze di un antico dominio esercitato sulle stelle; perfino, in una collezione di “antichità”, quello che dalla descrizione sembra proprio… lo stemma trilobato della casa automobilistica Mercedes. Messe da parte queste curiosità, la saga costruita da Jordan nell’arco di un ventennio è solidamente fantasy. Dirò di più: è fantasy in un modo stereotipato. Volutamente stereotipato. Abbiamo la Terra dei Fiumi Gemelli, il locus amœnus simile alla Contea di tolkieniana memoria; un popolo pacifico e industrioso che vi lavora; quattro giovani spensierati e alquanto giocherelloni; una festa di paese per la quale Emond’s Field si riempie di stranieri e di curiosi; non può mancare, poi, il mago – o, in questo caso, la maga, misteriosa e sfuggente. Senza pericolo di rivelare troppo della trama – la quarta di copertina de ‘L’Occhio del Mondo’, primo libro della serie, rivela ben più di questo! – soggiungiamo che durante la festa si verifica un evento per il quale i quattro ragazzi (Rand al’Thor, Perrin Aybara, Matrim Cauthon e Egwene al’Vere) dovranno immediatamente lasciare il villaggio per impedire che il Tenebroso, la personificazione del Male di turno, si risvegli e si liberi dalla sua prigione.
Prima che gridiate al plagio, vi invito a riflettere su due aspetti.
Il primo è la piega che prenderanno gli eventi: quella che parte sulla falsariga de ‘Il Signore degli Anelli’ è infatti una narrazione completamente diversa da quella delle sorti della Compagnia dell’Anello; l’apparente fedeltà allo stereotipo è, come dicevo, voluta, ricercata, serve a mettere il lettore a proprio agio, a farlo ambientare in quello che – si scoprirà – è un mondo vasto e sorprendente (ben diverso è l’approccio di Brandon Sanderson, che nei suoi libri immerge fin da subito il lettore in un mondo sconosciuto e meraviglioso, spesso disorientante, utilizzando tutta una serie di termini come Stratolama, Sferzata, Corrivento e Folgoluce). La struttura stessa del romanzo si frantuma ben presto in un coloratissimo mosaico di punti di vista (forte elemento di affinità con George Martin), con migliaia – letteralmente – di personaggi, miriadi di trame e sottotrame, centinaia di location diverse caratterizzate con affascinante esotimo. Quando, leggendo il terzo volume – dal titolo ‘Il Drago Rinato’ – l’apparente protagonista sparisce per qualche centinaio di pagine, non c’è da stupirsi: è solo la prova che il vero protagonista dei romanzi è la trama, non una persona in particolare. Come nei libri di George Martin – il paragone è, ahinoi, inevitabile – è possibile tifare per un Regno o per un Principato, per un personaggio o per un altro, persino per uno dei Reietti (i Tredici maghi immortali al servizio del Tenebroso) a scapito degli altri. Gli intrighi si estendono sull’intero continente: i Reietti, ciascuno all’insaputa degli altri, tirano le fila di astuti complotti, seminando caos e distruzione per tutto il mondo, nel tentativo di affrettare l’avvento di Tarmon Gai’don, l’Ultima Battaglia, e di mettere fuori gioco le armate nemiche prima che li possano ostacolare. Ma anche Re e Regine non esitano a manovrare per il proprio personale tornaconto, dando vita al Daes Dae’mar, il Grande Gioco delle Casate (anche qui, vi fermo prima che gridiate al plagio: ‘La Grande Caccia’, secondo volume della saga in cui per la prima volta compare questa espressione, è stato pubblicato nel novembre del 1990, cioè sei anni prima di ‘A Game of Thrones’).
Il secondo elemento che differenzia fortemente questo ciclo da quello di Tolkien è il contesto in cui si svolgono gli eventi narrati. Il lore de ‘La Ruota del Tempo’, al di là della condivisione iniziale delle premesse, rivela ben presto la sua natura, articolandosi su migliaia di pagine e riportando un mondo vario e vitale. L’Umanità non è un fronte unito contro la tempesta in arrivo: non solo gli Amici delle Tenebre, servitori del Tenebroso, hanno infiltrato praticamente ogni organizzazione umana, pronti a colpire a tradimento; ma le stesse fazioni in cui il mondo si divide faticano a convergere verso un obiettivo comune a causa delle vicende che li hanno visti contrapposti in passato. Vi è però di più: la costruzione stessa della magia è radicalmente diversa dal binomio magia bianca/magia nera. Nell’Universo fantasy creato da Jordan l’Unico Potere si scinde in due distinte fonti: saidar, il potere femminile, potente e placido come un grande fiume; e saidin, la metà maschile, impetuoso e urticante come un torrente di lava. Quest’ultima metà è rimasta irrimediabilmente corrotta dal tocco del Tenebroso quando Lews Therin Telamon e i suoi Cento Compagni hanno sigillato la prigione del Tenebroso, subendone però il tremendo contraccolpo. Da allora tutti gli uomini in grado di incanalare l’Unico Potere sono destinati alla follia e vengono, giustamente, guardati con timore e considerati una minaccia da eliminare quanto prima. D’altronde, lasciare in giro dei folli che possono spazzare via un quartiere durante uno scoppio d’ira non sembra la cosa più indicata. Del trattamento di questo genere di problematiche si fanno perciò carico le Aes Sedai, maghe irreggimentate nella struttura delle Ajah della Torre Bianca, temute e rispettate nella maggior parte dei Regni. La più alta in grado, l’Amyrlin Seat, è considerata una sorta di papessa – se mi si passa il paragone -, diplomaticamente e politicamente più influente di qualunque sovrano temporale. Non finisce però qui: dall’altra parte dell’Oceano dimora un popolo, quello dei Seanchan, che giudica pericolosa ogni forma di magia, anche quella femminile, giungendo all’estremo di incantenare ogni marath’damane (donna in grado di incanalare), privandola della libertà e rendendolo una temibile arma da utilizzare in guerra.
Insomma, le premesse per un’elevata conflittualità tra fazioni, popoli e personaggi ci sono tutte… Soprattutto quando uno dei quattro baldi giovani di cui dicevamo prima manifesta la temuta capacità di incanalare saidin. Rendere in maniera più completa l’enormità del lore de ‘La Ruota del Tempo’ ed il fascino del mondo costruito da Jordan nei suoi libri, nello spazio di un solo articolo, è probabilmente impossibile. Non molti, soprattutto in Italia, conoscono questa saga, che rimane “di nicchia” in un genere già di per sé reputato “di nicchia” come quello fantasy. Eppure si tratta di una delle pietre miliari della letterattura fantastica del Terzo Millennio, la cui lettura dovrebbe essere imprescindibile per ogni appassionato.
E voi, Illyoners? Avete mai letto ‘La Ruota del Tempo’? Se sì, gradireste approfondire qualche aspetto? Se no, siete rimasti incuriositi da questa trattazione?
– Stefano Marras –