Quanto tempo è passato da quando i nostri rudi scarponi corazzati hanno calpestato le polverose strade di Faerùn, e le nostre babbucce di seta hanno sfiorato i pavimenti dei più sontuosi Saloni delle Feste di Neverwinter? Troppo tempo. È lo stesso pensiero che devono avere avuto alla Wizards of The Coast nel pianificare le uscite e la strategia della nuova edizione 5.0 di Dungeons&Dragons. Infatti, in ossequio al conclamato tono epico di tutta la produzione, la casa di Seattle ha fatto una scelta decisamente controcorrente rispetto alla politica editoriale delle precedenti versioni, e cioè presentare all’alba della 5.0 una complessa campagna “monstre”, quando ancora erano da completare le uscite dei manuali del regolamento base. Come ha dichiarato ai microfoni di Illyon l’autore Wizards Jeremy Crawford in quel di Lucca (potete trovare l’intervista completa qui): “Ci siamo chiesti: perché partire in sordina?!….”. E sicuramente una campagna di più di duecento pagine complessive, ambientata nei Forgotten Realms è tutt’altro che un avvio in sordina. Vuoi perché poche ambientazioni, nonostante ci sia chi la reputa troppo dispersiva, hanno il fascino, il carisma e il respiro leggendario dei Reami Dimenticati del buon Greenwood; vuoi perché l’intento dichiarato è sempre stato quello di catturare l’attenzione dei giocatori, esordienti e veterani, e catapultarli subito nel vivo dell’azione della nuova edizione, coinvolgendoli in campagne leggendarie e comunità di giocatori come l’Adventurers League sul sito ufficiale della Wizards.
A fare da sfondo a questo avvio esplosivo è appunto questa campagna Faeruniana dall’evocativo titolo di “Tyranny of Dragons” (ToD), articolata in due volumi temporalmente consequenziali: “Hoard of The Dragon Queen”, oggetto di questa recensione, uscito il 19 agosto 2014; e il successivo “The Rise of Tiamat”, uscito il 4 novembre scorso. Una campagna di questa portata è già di per sé un segno di rottura col passato da parte degli autori, considerato che non sono mai stati molti i prodotti simili anche tenendo conto delle edizioni passate. Per fare un esempio, “La Città della Regina Ragno” per i FR della terza edizione era sì una campagna paragonabile come mero numero di ore di gioco a ToD, ma i paragoni finivano lì. Quella era una serie di avventure localizzate nel sottosuolo linearmente concatenate tra loro, sostanzialmente un gigantesco dungeon dalle primissime pagine fino allo scontro finale. ToD è molto più complessa, un prodotto nel quale esplorazione, interazione e combattimento si intrecciano tra loro e dove prevedere tutti gli esiti dell’azione di gioco diventa impossibile: insomma, una campagna propriamente detta.
“Hoard of The Dragon Queen” si presenta come un classico volume formato A4 dotato di copertina cartonata rigida, brossurato, di 94 pagine. Il layout è il classico a due colonne e font, grafica e illustrazioni hanno la solita eccelsa qualità e cura che ormai abbiamo imparato ad associare in particolare a questa nuova edizione. La prima parte di questa campagna è pensata per introdurre personaggi appena generati e portarli attorno al 7° o 8° livello. “The Rise of Tiamat” raddoppierà verosimilmente i livelli, per avere, alla fine della campagna, personaggi cresciuti attorno al 15° livello.
Sinossi
[spoiler]La campagna è ambientata interamente nell’Ovest del continente faeruniano, in quella zona conosciuta come Costa della Spada, compresa tra il Mare di Spade ad Ovest, il Deserto dell’Anauroch ad Est, Il Dorso del Mondo e il Mare di Ghiaccio a Nord e l’Amn a Sud. La campagna non si situa ufficialmente sulla timeline faeruniana citando l’anno, ma l’introduzione fa cenno al fatto che sia passato circa un secolo dalla Spellplague e dalla distruzione di Neverwinter causata dall’eruzione del Monte Hotenow, situandosi verosimilmente nella seconda metà del 1500 Calendario delle Valli (e confermando così indirettamente la tradizione di situare ogni ambientazione Faeruniana cento anni dopo quella in vigore nella edizione di D&D precedente). Molto è accaduto, imperi sono crollati e altri sono sorti, molto è cambiato, ma certi gruppi che ci suonano familiari sono rimasti. Gli Arpisti, per esempio, o l’Alleanza dei Lord. O il Culto del Drago. Lungi dalla tradizione di perseguire un impero di draghi non-morti, come usavano fare nella terza edizione, i nostri amici ossessionati dai draghi pare si siano riavuti un attimino e, guidati dal nuovo capo Severin, progettano di evocare nel Faerùn, direttamente dalla sua prigione nei Nove Inferi, nientemeno che Tiamat la sovrana dei draghi, essere malvagio dallo status semidivino. E intendono farlo tramite una serie di artefatti conosciuti collettivamente come Maschere del Drago, una per ogni colore di Drago Cromatico.
I nostri PG si troveranno subito scaraventati, loro malgrado, nel fitto della trama: nientemeno, si troveranno ad arrivare nella città di Greenest mentre questa è sotto attacco da parte del Culto del Drago e dei suoi sgherri. Dopo aver preso parte alla difesa disperata del centro abitato, verranno in contatto con alcuni gruppi che si oppongono al Culto del Drago e scopriranno che molti altri insediamenti hanno subito attacchi simili, tutti volti all’accumulo di un vero e proprio bottino degno di un Signore dei Draghi. Da quel momento affronteranno incursioni in campi nemici, viaggi in carovana, discese negli immancabili dungeon e visite a città famose come Baldur’s Gate e Waterdeep, sempre sulle tracce del fantomatico bottino e degli scopi per i quali dovrebbe venire utilizzato; e, alla fine del manuale, anche sulle tracce della prima delle Maschere del Drago.[/spoiler]
Smoke on the water, Dragons in the sky
La prima caratteristica che salta all’occhio, in una visione d’insieme della prima parte della campagna, è come il gameplay sia stato bilanciato rigorosamente per offrire un’esperienza ruolistica il più efficace e ampia possibile. Le avventure che compongono la campagna (ribattezzate “scene”, proprio a voler sottolineare la cinematograficità degli eventi) cercano di offrire esperienze eterogenee privilegiando al loro interno il combattimento, con la classica discesa nei sotterranei della fortezza del Culto, ma anche l’interazione ruolistica con la penetrazione sotto mentite spoglie in una locanda mal frequentata, senza tralasciare l’esplorazione durante il trasferimento in carovana nel ruolo di guardie mercenarie lungo le disastrate strade della Costa. E nel farlo il plot cerca di non risultare forzato, bensì di concatenare logicamente le diverse esperienze.
Come ormai ci ha abituato la quinta edizione, si coglie la volontà di scremare il più possibile il gameplay dai tecnicismi per lasciare spazio al roleplay e alle parti descrittive, essenziali per permettere al gioco di prendere direzioni imprevedibili e più possibile libere. Per esempio, gli spazi per le statistiche dei Png alla fine del modulo sono ridotti al minimo e riservati a particolari villain o a versioni alternative o completamente nuove dei mostri del MM, in favore di una descrizione molto più completa del range di reazioni che il Png potrebbe avere in conseguenza di questo atteggiamento dei Pg piuttosto che di un altro. I Png “carne da cannone” rimandano sempre al Monster Manual, senza ulteriore spreco di spazio: capita di entrare in una grotta e scoprire che è abitata da “tre coboldi”, “due cultisti” o “due bullywug” e stop. Si va prendere la statistica del MM e si gioca, senza scialo di righe per particolari inutili. Lo spazio così risparmiato viene invece utilizzato sacrosantamente per presentare un ventaglio di reazioni diverse dei mostri in questione all’approccio differente dei Pg, o comunque viene utilizzato per “aprire” la struttura di gioco. Per esempio, in una particolare scena nella quale i nostri eroi devono scortare una carovana da Baldur’s Gate a Waterdeep e nel contempo cercare di non perdere le tracce del contrabbando dei cultisti, ci sono quasi due pagine di descrizione dei componenti della carovana (descrizione di reazione alle interazioni sociali, non statistiche), e la tabella degli incontri casuali non è il solito elenco di mostri incontrabili percentualmente, ma un vero e proprio roster di eventi (quasi micro-avventure) giocabili durante il viaggio (dal mercante cattivo che maltratta i suoi animali da tiro ad una nobildonna e la sua scorta assaliti dagli hobgoblin lungo la strada): il paradiso del roleplay. Oppure ancora, in fondo alle “scene”, si trova un sunto non tanto di ciò che succederà, ma di ciò che potrebbe succedere e della piega che potrebbero prendere le scene successive in base a come si sono comportati i Pg precedentemente. Certo è un approccio al gioco non sconosciuto anche in prodotti di edizioni precedenti. La novità in “Hoard of the Dragon Queen” però è che questo approccio è sistematico.
Non mancano, intendiamoci, classiche avventure guidate per i puristi del dungeon: del tipo entri qui ed esci lì dopo aver massacrato il massacrabile, razziato il razziabile e scoperto lo scopribile fino alla ricompensa finale. Ma anche in questo caso (che è il più aderente alle vecchie avventure soprattutto nel dungeon layout, dove le diverse aree sono descritte sommariamente nelle loro caratteristiche, nelle creature che ivi risiedono, nelle relative reazioni e nel bottino lootabile) si riscontra una precisa attenzione a far sì che l’insieme non risulti un’accozzaglia di mostri senza arte né parte, ma un dungeon con una sua ecologia, biologia, economia, insomma una sua verosimiglianza. Un luogo capace di far pensare ai giocatori: se esistessero i coboldi, una loro tana sarebbe verosimilmente organizzata proprio così!
E allora, pronti ad entrare nella caverna del redattore mannaro per il suo giudizio?
– Luca Tersigni –
D&D 5.0 Hoard of the Dragon Queen – Recensione!
Luca Tersigni
- I Forgotten Realms di nuovo in tutto il loro splendore;
- È una campagna dal respiro davvero epico;
- Ci aspetta, letteralmente, una marea di roleplay;
- Da molto non avevo la sensazione di giocare una campagna così “aperta”: la sensazione di libertà di approccio alla trama è molto forte;
- la sbrigatività (per non dire l’assenza) delle descrizioni di certi elementi dello scenario quali città e paesi, che in assenza del manuale ambientazione potrebbero mettere in difficoltà i master con poca esperienza;