“All Good Things….” si intitolava l’episodio finale, articolato in due parti, della serie di fantascienza Star Trek: The Next Generation, sottintendendo il celebre modo di dire anglosassone “All good things must come to an end”. Che tradotto letteralmente significa “Tutte le cose buone devono avere una fine” e, un po’ meno letteralmente, trova una corrispondenza nell’italiano “Un bel gioco dura poco” (o non all’infinito, perlomeno). Per quella qualità esclusiva del cervello umano di ragionare per analogie ed associazioni di idee, è la prima cosa che mi è venuta in mente leggendo, nella rubrica epistolare dell’albo di “Brendon” n° 96 “L’Unicorno”, che la serie principale avrebbe definitivamente ed ufficialmente chiuso i battenti in concomitanza del numero 100, fatti salvi speciali e numeri celebrativi vari. La chiusura di una serie a fumetti è quasi sempre una sconfitta di per sé e ha suscitato disappunto e malinconia in più di un lettore, tra i quali il sottoscritto: confessando di non aver seguito questo bimestrale bonelliano con continuità, parliamo pur sempre della chiusura di quella che è stata per molti anni l’unica vera serie fantasy a fumetti italiana prima dell’avvento di Dragonero. Un fantasy lontano dai canoni della classica “sword and sorcery” (al massimo potremo chiamarlo “guns and (poca) sorcery”), ma sempre di fantasy si tratta, come vedremo.
Papà di “Brendon” è Claudio Chiaverotti, autore anche di tutti i testi degli albi della serie fin qui usciti: torinese, Chiaverotti inizia la carriera in Bonelli come autore di testi per Dylan Dog (ne scriverà quasi 50 per la serie principale) e Martin Mystere (una quindicina di albi), oltre ad episodi (fantasy) per Zona X e contributi a diverse altre pubblicazioni. Nel 1998 crea il personaggio di Brendon (apertamente disegnato sulle fattezze del compianto Brandon Lee), che esordisce in edicola col n°1 “Nato il 31 febbraio”. E’ lo stesso Chiaverotti ad annunciare appunto la chiusura della serie nelle colonne della posta del numero 96, parlando di traguardo comunque ragguardevole per un bimestrale (100 albi e 10 speciali), e spiegando che i motivi della chiusura si possono ritrovare in un esaurimento delle tematiche e delle idee originali per la serie; in altre parole “Brendon” ha dato tutto quello che poteva dare e altri filoni narrativi sarebbero risultati poco attraenti. In effetti negli ultimi tempi la serie stava segnando il passo e si era potuto notare un certo appiattimento negli intrecci, poca originalità nel concetto ed una generale minor cura di tutto il prodotto. Oltre a questo, aggiungiamo noi, la serie era ormai condannata dalla dura legge del mercato a non essere più da tempo ormai nemmeno in pareggio. Questione dovuta, oltre che a una generale crisi del settore fumetto, anche dal peggioramento qualitativo della serie e probabilmente da una gestione non ottimale della politica dei prezzi da parte della casa editrice. Sia come sia, a mio parere è un peccato: un altro pezzo di fumetto italiano che se ne va. Un peccato perché è una delle pochissime serie fantasy a fumetti, perché certe storie e filoni narrativi mi avevano appassionato e coinvolto, perché è un’ambientazione fantasy originale e che sfugge dai clichè del genere.
Riders on the storm
Come il titolo di una leggendaria canzone dei Doors, dalla quale Chiaverotti trasse addirittura l’ispirazione per uno degli albi più struggenti della serie ( “Anja ritorna”, nella quale Brendon viaggia tra le dimensioni attraverso una tempesta che si ripete all’infinito), così “Brendon” ha attraversato diverse tempeste editoriali, dovute in parte anche alla visionarietà ed originalità che hanno caratterizzato gli albi fin dall’inizio del percorso.
In un futuro non troppo lontano, per colpa della caduta di un’asteroide sulla Terra (causato anche, si legge tra le righe, dall’innominabile rituale perpetrato dalla setta esoterica che diventerà la Setta della Luna Nera, la nemesi più tremenda del nostro eroe), l’umanità è sprofondata indietro di secoli, in quel periodo che Chiaverotti definisce “Medioevo Prossimo Venturo”. In un’ Inghilterra postapocalittica ed allucinata, isolata dal resto del continente, gran parte della terra emersa si è trasformata in un deserto polveroso e sterile, battuto da venti infiniti e popolato da banditi, esseri umani mutati e mostruose aberrazioni dovute alle radiazioni susseguenti alla catastrofe. Attorno alle poche terre coltivabili sono sorti piccoli e contorti borghi neomedievali, dove la popolazione cerca di ricostruirsi una vita dignitosa con quel poco che riesce a strappare alla terra, mentre nelle poche città ricostruite la vita è appena migliore: un nuovo ordine politico si coagula nella Nuova Inghilterra, mentre la tecnologia e il sapere ritornano a livelli preindustriali: persa la conoscenza dell’informatica, dell’elettricità, del petrolio e perfino del vapore, ci si sposta e lavora esclusivamente tramite locomozione animale e forza di gambe e braccia. L’unica tecnologia non andata del tutto perduta è quella della polvere da sparo e delle armi da fuoco. In questo contesto, tra razziatori, mercenari, creature mostruose e pericoli di ogni sorta, nemmeno i centri abitati sono luoghi sicuri, dato che la gente comune vi è spesso esposta alle angherie e ai soprusi di borgomastri disonesti, magistrati avidi, prepotenze degli “elmetti” (la Milizia, l’esercito della Nuova Inghilterra) e del potente di turno. A volte, le persone devono fare affidamento su uomini e donne a metà tra avventurieri, mercenari ed investigatori privati, chiamati Cavalieri di Ventura, che ottengono giustizia per la gente comune – dietro il giusto pagamento, s’intende.
Brendon D’Arkness è uno di questi: infallibile pistolero, segugio sopraffino e donnaiolo impenitente dal cuore d’oro, vaga per la Nuova Inghilterra, spesso dormendo in locande d’infima categoria e giocandosi la vita per due regine (e spesso nemmeno quelle), sempre in sella al suo fido Falstaff (baio dalla caratteristica macchia a forma di stella in mezzo alla fronte) in cerca di un ingaggio. La caratteristica più forte di Brendon, nel corso della serie, è sempre stato l’innato senso di giustizia derivante da un passato tragico, che lo porta più volte ad accettare cause perse ed incarichi da chi non è in grado di pagare (specie se di sesso femminile e dotata di occhioni dolci). Il fantasy nel quale si muove il nostro Cavaliere di Venturà è, come detto, molto particolare. L’unica specie presente è quella umana, (mutati a parte, come i Nomadi del Deserto), e anche le aberrazioni sono in qualche modo riconducibili a forme di vita animale precedenti la catastrofe. Niente elfi, nani, orchi e altre razze che hanno fatto la fortuna dell’High Fantasy. La magia, altro caposaldo del fantasy per eccellenza, è spesso presentata come qualcosa di sfuggente e sottile, più come capacità sopita della mente umana o come facoltà sciamanica: niente palle di fuoco e fulmini quindi. I rarissimi Stregoni e Streghe che Brendon incontra nelle sue peregrinazioni sono più “esper” con facoltà mentali straordinarie e sensi che abbracciano dimensioni più vaste che classici maghi da libro-e-incantesimo. Anche i paesaggi, dai deserti nei quali spuntano come totem relitti della Vecchia Era (la nostra), come corazzate arenate sulle dune o carcasse di elicotteri, aerei e carri armati, alle città “ibride”, metà medievali e metà ricostruite con materiali di recupero dell’era tecnologica, tutto è onirico, sognante, pauroso e oppressivo, come lecito aspettarsi dallo stile di Chiaverotti.
Anzi, i temi cari all’autore torinese sono all’ordine del giorno negli albi di “Brendon”: il gusto per le fiabe nere; fate, gnomi, folletti, figure fiabesche dell’infanzia capovolte nelle loro controparti maligne ed oscure; la perdita dell’innocenza; il sogno come dimensione alternativa quasi fisica; lo spostarsi su diversi piani di coscienza e realtà, come facevano gli sciamani. Tutti temi ricorrenti che si fondono e danno vita ad una serie difficilmente classificabile. Su un sottofondo fantasy si innestano di volta in volta narrazioni horror, thriller, gialle, addirittura fantascientifiche. In uno dei fumetti più visionari ed originali, almeno nei presupposti, mai visti in Italia.
Rimarranno le lotte di Brendon contro la sua nemesi più tremenda, i folli cultisti della Luna Nera. Rimarrà la disperata e struggente storia d’amore con Anja, la potente guerriera dell’esercito di Nympha (esercito di sole donne), tanto bella quanto fragile e sfortunata. Rimarrà il maniero di cui è proprietario Brendon, mandato avanti da Christopher, automa alimentato a celle solari, relitto della Vecchia Era. Rimarrà una galleria di bei personaggi come Zeder, lo Stregone amico di Brendon; Greta, la vendicativa amica di Anja; Shadow, la selvatica lottatrice salvata da Brendon; gli orfanelli di Old London.
Dopo aver regolato i conti colla Luna Nera negli albi n° 98 e 99, il numero 100, in uscita a dicembre, si preannuncia speciale: “La Notte degli Addii” sarà scritta ovviamente da Chiaverotti e vedrà il ritorno alle matite di Corrado Roi, coi suoi chiariscuri. Sarà nelle edicole a partire dal 19 dicembre e, pur non essendo a colori, come da tradizione Bonelli per gli albi conclusivi, sarà ben più lungo del canonico centinaio di pagine. Il nostro Brendon, da tempo ritiratosi a vita privata, tirerà le fila della sua vita passata ed inforcherà nuovamente il fido Falstaff verso l’inevitabile fine. Claudio Chiaverotti, invece, pare che sarà da subito al lavoro sul suo nuovo personaggio, che spie dell’Isola ben informate ritengono di ambito sci-fi (se così dovesse essere, sarà probabilmente una sci-fi sui generis, come da stile Chiaverotti), e chissà che nelle prossime settimane la vostra Isola preferita non vi anticipi qualcosa, magari da parte del diretto interessato.
Intanto addio, Cavaliere. E Buona Vita.
– Luca Tersigni –