I fantasmi sono, secondo alcune correnti di pensiero di radice psicoanalitica, una rappresentazione immaginifica di compensazioni emotive che non siamo in grado di affrontare a livello conscio. Nella letteratura si tende spesso a giocare su questa falsariga e gli spiriti diventano eterno simbolo di qualcosa di disperso o, più comunemente, di qualcuno che è venuto a mancare; Anche la medicina si è appropriata del termine come dimostra il cosiddetto “arto fantasma” per il quale un paziente avverte ancora la presenza di un’appendice ormai amputato. Gli spettri sono dunque assenza e quale migliore esempio di Murdered: Soul Suspect per incarnare questo concetto di mancanza?
Un passo alla volta. Murdered: Soul Suspect è uno di quei giochi che la Square-Enix ha prodotto come progetto secondario e di nicchia, uno di quei titoli nei quali vengono riversati pochi finanziamenti e ancor meno interesse, concedendo libertà agli sviluppatori, ma limitandone notevolmente le risorse. Il risultato di questi esperimenti varia grandemente ed è spesso imprevedibile; per ogni inaspettato capolavoro (vedi Bravely Default) vi sono altrettanti rappresentanti bizzarri (vedi Nier) e un nutrito gruppo di fallimenti degni della damnatio memoriae. In questo caso ci troviamo ad analizzare il canto del cigno dello studio Airtight Games, un gruppo di sviluppatori tristemente noto per il mediocre Dark Void e per avere chiuso i battenti nel Luglio 2014, a distanza di un solo mese dall’uscita della loro creatura spettrale concepita idealmente per spopolare sul mercato occidentale.
I canoni qualitativi che contraddistinguono il titolo si palesano non appena esso viene avviato, nel momento in cui la sfilza di réclame a cui siamo ormai abituati si impone sul volenteroso videogiocatore, impedendogli di interagire col controller fintanto che l’intera slide show non sia esaurita. Il glaciale silenzio dei primi secondi viene finalmente interrotto da effetti sonori tutt’altro impressionanti che accompagnano un menù spartano ed essenziale malamente ottimizzato per gli utenti PC. Nel cominciare una nuova partita, vestiamo i sovra-accessoriati panni di Ronan O’Connor mentre viene eiettato a forza da una finestra e incontra rovinosamente il selciato. L’occasione è propizia e un lungo flashback ci illustra tutta la sua archetipata vita; ragazzo di buon animo la cui adolescenza è macchiata da atti malavitosi ispirati dalla negativa influenza paterna, viene riscattato dall’amore della sua vita, Giulia, unica capace di salvarlo dal peccato, rappresentato graficamente come grosse occhiaie da panda. L’aspetto esteriore segue di pari passo la banalità dimostrata nel retaggio: sigaretta perennemente accesa all’angolo delle labbra, barba incolta, mimica facciale ideale per serate di poker, una voce rauca degna di Batman e il corpo coperto di maschi tatuaggi che celebrano ogni attimo incisivo della sua esistenza. Come al solito, insomma, i giapponesi non hanno la beneamata idea di che genere di personaggio sia in grado di creare empatia nel pubblico occidentale e scelgono come protagonista una versione aggiornata di Clint Eastwood che risulta quantomai scialba e anaffettiva.
Reduci dal filmato iniziale, sono concessi pochi istanti per godersi la cittadina di Salem che, sebbene sia terrorizzata dal fittizio “serial killer della campana” (e chiunque abbia mai sentito parlare di Salem ipotizzerà sin da subito il coinvolgimento delle streghe negli omicidi), parrebbe essere colorata e vivida. Pochi istanti perché Ronan riceverà immediatamente il colpo di grazia che terminerà le sue sofferenze e lo tramuterà in uno spettro in scala di grigi obbligato a camminare in un mondo atmosfericamente desaturato. Bloccato in questo insipido limbo terreno, l’eroe dovrà portare a termine l’indagine in corso prima di poter raggiungere la fine del mistico tunnel luminoso e riunirsi con la, ormai defunta, moglie. Per fronteggiare le prove si potrà fare affidamento sui neonati poteri ultraterreni che la nuova particolare situazione mette a disposizione, intangibilità e capacità di possedere esseri coscienti in primis. Come capitato anche per l’ambizioso Beyond: Two Souls, tuttavia, troviamo le nostre aspettative castrate da rozzi escamotage atti ad arginare un potere che, secondo le stesse regole dettate dalla trama, dovrebbero essere tendente a sfociare in infinite possibilità; nel caso specifico scopriremo che quasi tutte le strade della minuscola (almeno nella sua trasposizione videoludica) cittadina sono opportunamente bloccate da residui spirituali con cui è possibile interagire solo in rari casi decisi arbitrariamente.
Gli edifici interni all’esiguo sand-box sono stati invece consacrati nei bei tempi andati per impedire il passaggio delle anime malevole che tormentavano gli abitanti ai tempi dell’inquisizione… peccato che le necessità narrative impongano che questa protezione sia ampiamente circumnavigabile, in quanto le energie ectoplasmatiche sono libere di muoversi attraverso a porte o finestre aperte, rendendo futile il processo se non ai fini espliciti di ostracizzare il giocatore. Destino migliore non tocca alla possessione che, di fatto, permette di suggestionare un numero limitatissimo di ospiti. Tutti i passanti generici (che reagiscono in maniera completamente apatica alla notizia degli omicidi seriali, visto che passeggiano serenamente in piena notte) serviranno solo a colmare gli spazi con due o tre frasi irrilevanti ripetute in loop, spesso in maniera atona e poco coinvolta.
Qualora aveste ancora speranze e il vostro ottimismo puntasse tutto sulla giocabilitá, è nostro ingrato compito riportarvi nel mondo reale, poiché gli sviluppatori non sono stati in grado di ispirarsi ai recenti illustri esempi di videogame action incentrati sulle indagini e hanno preferito puntare su ciò che parrebbe essere una storia interattiva che procede anche in assenza di interazioni. Le zone in cui recuperare indizi sono segnalate da un contatore che avvisa anche del numero massimo di prove nascoste, rendendo virtualmente impossibile il perdersi qualche dettaglio a meno che non si decida deliberatamente di saltare parte della ricerca; è infatti possibile in ogni momento entrare nella modalità deduttiva che permetterà di analizzare quanto saputo per far procedere un intreccio saldamente attaccato ai suoi binari. In questa parte del gioco sarà necessario abbinare tra loro i diversi dati, ma non essendovi alcuna conseguenza in caso di errore sarà possibile provare combinazioni casuali anche senza prestare attenzione alla scena del crimine. Di questo, in un certo senso, ringraziamo calorosamente.
Non è insolito trovarsi a sbagliare solamente perché le proprie deduzioni non siano in linea con quelle imposte dal titolo, magari creando attriti dovuti a divergenze di opinioni sull’importanza di alcuni reperti o, nei casi più estremi, perché il sistema prevede il raggiungimento di conclusioni tanto banali da essere date preventivamente per assodate. Essendo questo videogame un action-adventure, non può certo mancare la componente d’azione facente leva su meccaniche di combattimento assolutamente inadeguate e apparentemente implementate all’ultimo per soddisfare dei requisiti imposti dall’alto. Si tratta di sezioni ingiustificatamente aliene al normale fluire del gioco e dovrebbero creare ansia nel pubblico, ma la ridicola intelligenza artificiale dei nemici pare flagellata da un galoppante morbo di Alzheimer che li rende facilmente annientabili e che stempera ogni parvenza di tensione.
Una volta iniziato, è facile che Murdered: Soul Suspect vi convinca a finirlo, grazie alla sua trama dalle tinte gialle e ad una durata esigua (poco meno di 10 ore). I più coriacei potranno gratificarsi con missioni secondarie ben più coinvolgenti delle vicende del piatto protagonista o, addirittura, possono passare al pettine le mappe alla ricerca delle pagine sulle quali è riportata la storia di Giulia, piccola psicolabile romantica che vuole amare un “uomo cattivo”, ma che al contempo si scandalizza del suo passato disdicevole, impelagando il videogiocatore in una soap opera in equilibrio tra il verosimile e l’irritante. A prescindere dal tempo investito, tuttavia, il titolo si conclude con colpi di scena incapaci di stupire e con un epilogo frettoloso inadeguato a trasmettere emozioni; i titoli di coda si esauriscono, si viene rimandati alla misera schermata di selezione e rimane un sapore amaro in bocca, come se ci si fosse impegnati in un impressionante esercizio di futilità.
-Walter Ferri-
La fine non è che l’inizio dell’indagine
Isola Illyon
- Gioco alternativo
- Le vicende secondarie sono accattivanti
- Possibilità di possedere i gatti e miagolare allo sfinimento
- Protagonista insignificante
- Incostante nei toni
- Meccaniche frustranti