“E’ notorio che i giochi di carte in Italia non si vendono“
Questo è solo uno degli aneddoti che Spartaco Albertarelli (qui trovate una sua precedente intervista), il celebre game designer, ha fornito agli appassionati che si sono riuniti attorno a lui e a Silvano Sorrentino, altro celebre ideatore di giochi e fondatore assieme ad altre persone di DV Giochi (Bang, Lupus in Tabula) di cui ci occuperemo a breve, per condividere l’esperienza del Playtest di Turing tenutosi durante il B-Geek di Bari: fondamentalmente è consistito in una bella iniziativa, strutturata in un quarto d’ora dedicato a ciascuno di coloro che intendono sottoporre un gioco di loro creazione ai due giurati (Albertarelli e Sorrentino, appunto) nelle vesti di “editori di giochi”, per poterli convincere della bontà del proprio prodotto o meglio, per essere più precisi, della bontà della loro presentazione del prodotto ad un editore di giochi. Si sa, l’apparenza alle volte è tanto, e una buona presentazione è la credenziale minima per suscitare l’attenzione di chi, in questo settore, probabilmente si confronta.
E così, tra una presentazione e l’altra, sovente condite dal pulsante “panico” per arrestare presentazioni carenti sotto qualche aspetto (sempre col sorriso e con un sacco di consigli elargiti dai due esperti giurati), abbiamo raccolto diversi aneddoti e racconti: per inciso, la frase con cui si apre l’articolo non è fine a se stessa, ma si riferisce a quando Spartaco ha visitato in vacanza l’Inghilterra ed ha assistito ad una autentica ressa di gente, in una fila lunghissima, per accaparrarsi un certo giochino di carte di cui tutti, all’epoca, sembravano andare pazzi. Incuriositosi, se l’è procurato, trovando che questo si presentava bene, con una grafica accattivante e meccaniche tutto sommato comprensibili: tornato in Italia, in riunione con l’ufficio vendite di Editrice Giochi, il nostro ha raccontato l’accaduto e che “[…] non ho ancora ben capito questa cosa, ma a Londra facevano la fila per acquistarlo”; tuttavia, il direttore delle vendite ha in effetti risposto con la frase d’apertura “È notorio che i giochi di carte in Italia non si vendono”. Quel gioco, forse l’avrete capito, era Magic, da noi non ancora arrivato. Ora, l’episodio in sé è servito a Spartaco per spiegare a coloro che si sono sottoposti al playtest di turing che alle volte persino chi è del settore, e quindi tecnicamente addetto a recepire le mode e le novità, può trovarsi di fronte a qualcosa che è troppo “strano” per essere debitamente tradotto in chiave pratica, commerciale, nella sua ottica: la stranezza può quindi essere fonte d’attrattiva maggiore eppure al contempo scriminante e limitazione ove “non si colga l’attimo” giusto.
Rinvangando la memoria, tra un aneddoto di Colpevole (i personaggi dell’ultima missione erano i playtester sotto falso nome, tra cui il mitico Albert A. Relli) ed uno di Risiko, si torna a parlare di giochi di carte: al che, la domanda fatidica… “c’è ancora spazio per i giochi di carte in Italia, di cui Magic è oramai l’archetipo, oppure il mercato è saturo?“. Spartaco, sorridendo, ci risponde con abituale padronanza e cortesia: “Intanto, dovremmo distinguere tra giochi di carte e giochi di carte collezionabili; quest’ultimo è chiaramente abbastanza saturo ed è comunque un mercato abbastanza di nicchia: una grande ed importante nicchia, beninteso, ma sempre di nicchia. È il classico mercato “ultra geek”, in cui difficilmente le donne poi si ritrovano.Va da sé che una delle notizie più importanti nel settore ludico è che, oggi come oggi, l‘utilizzatore medio, il cd. “cluster” per i videogiochi è una donna adulta, non più l’utente maschio quattordicenne: addirittura le donne adulte occupano nell’ambito dei videogiochi il 35% del mercato e costituiscono il nucleo più importante di acquirenti al mondo. È una cosa che dovrebbe farci riflettere, specie perché noi italiani a queste considerazioni arriviamo sempre un pochino tardi: semplicemente, c’è una tradizione che vede il mondo del gioco come “maschile”, almeno in Italia, eppure le donne giocano quanto, se non potenzialmente di più, di noi uomini. È chiaro, però, che anche il gioco in sé deve essere conforme ai gusti degli utenti, e così un gioco come Magic o Risiko potrebbe non incontrare i gusti del pubblico femminile”
Indicandoci le ragazze presenti in gran numero all’evento del B-Geek, Spartaco prosegue: “il gioco è un mondo di immaginazione e le donne hanno una immaginazione assai fervida: perché dunque il mondo del gioco si ritiene graviti principalmente attorno al pubblico maschile? Questo è uno stereotipo che deve essere sgretolato […] anche per un motivo commerciale: alla fine, queste scatole colorate contengono giochi che narrano delle storie. Sta a come le presenti“.
La domanda legittima successiva è se il gioco debba essere indirizzato, come prodotto, verso una maggiore personalizzazione, così da incontrare i gusti femminili o se debba essere sempre più “asessuato”, così da poter venir giocato con pari divertimento tanto dagli uomini che dalle donne: la risposta, ovviamente, è particolarmente pertinente: “va ricercato il giusto compromesso, così come nella vita di coppia, per cui io lascio perdere un po’ del mio fanatismo e tu molli un po’ della tua ritrosia a sperimentare i giochi. Lupus in Tabula è un gioco di carte, ma le donne ci giocano volentieri perché, a parte la componente dell’immaginazione, è privo di quei fanatismi [regolistici] che caratterizzano altri prodotti: è un divertirsi reciproco.
Quindi, tornando a Magic, esso come fenomeno è lì, non puoi andare oltre.
Si riesce a creare un fenomeno simil-Magic che sia in grado di coinvolgere tanto il pubblico maschile che femminile? Non ne sono sicuro, ma certo è che se ci si riuscisse, chi lo ideerebbe farebbe il grande botto, tale per cui Magic al confronto scomparirebbe, commercialmente parlando. Il bello del gioco è che è un settore in cui quando pensi di aver dato tutto, allora può arrivare qualcosa di nuovo.“
Da Magic e Colpevole, il minigioco di ruolo, si passa appunto ai giochi di ruolo: agganciandoci al discorso precedente, portiamo a Spartaco Albertarelli la nostra esperienza con Druid, il gioco di ruolo celtico ideato da lui stesso (se non lo conoscete, cospargetevi il capo di cenere e recuperate questi due articoli QUI e QUO) in cui abbiamo riscontrato come, rispetto ad altri sistemi tra cui D&D, tanto per citare il più conosciuto, le donne abbiano preferito proprio il suo gioco, forse per la personalizzazione delle caratteristiche base, dieci e tutte con massimali raggiungibili diversi a seconda di razza e sesso, forse per l’accurata distinzione tra professioni e abilità aperte o accessibili agli esponenti maschili o femminili e così via. “[ciò accade] perché Druid è stato studiato per le ragazze. D&D infatti, nella sua genialità è caratterizzato da un difetto importante. Ossia, nella sua struttura portante c’è la progressione piramidale della tua forza: più passa il tempo, più sei forte, il che è un concetto tipicamente maschile se ci si pensa; in Druid, invece, c’è l’opposto: sei sempre più debole. Sì, potenzialmente puoi fare delle cose incredibili ed uscire da situazioni disperate, ma col proseguire delle avventure, l’ingiuria del tempo e le ferite subite o i Poteri impiegati, ti indebolisci. Il che significa che devi anche saper difendere i tuoi “cuccioli”, ossia i personaggi nuovi che subentreranno via via a quelli più “vecchi”, che dovranno lasciare la partita (il che comunque non succede con i ritmi di “mortalità” di “Girsa” o de “Il Richiamo di Chthulhu”, ndr), e preservarli finché non sappiano cavarsela da soli. Non conosco una ragazza che non abbia giocato volentieri a Druid. I miei giochi hanno una forte matrice femminile: Kaleidos, il mio gioco di punta, ne è un esempio. Non esiste una ragazza che, una volta aperta la scatola, non voglia giocarci: in questo caso, è la donna la figura trainante nella coppia che conduce a giocare l’uomo, ribaltando così lo schema. Non più l’uomo che chiede alla donna “ti va di giocare?” ma la ragazza che chiede “mi fai giocare a questo gioco?“. Se vuoi tirar fuori il meglio che Kaleidos può offrire non c’è da dubitare, bisogna giocare a squadre uomini contro donne, perché in questo modo la diversità diventa divertimento, perché diventa litigio a fin di gioco che si traduce in altro divertimento.” (se le parole di Spartaco vi hanno incuriosito, vi segnaliamo questi due link, la pagina FB di Kaleidos e il sito dove troverete ulteriori chiarimenti sul gioco).
Spartaco ci ha raccontato che in Bretannia ha potuto sperimentare proprio la potenza di questa affermazione: dopo un viaggio di oltre tremilaseicento chilometri per partecipare ad una piccolissima fiera, ha detto che sono sopraggiunte presso il suo stand una nonna e la sorella (entrambe più vicine ai novanta che agli ottanta), con una figlia di circa quarant’anni e nipote di circa tredici/quattordici anni, che hanno iniziato a cimentarsi col gioco per quasi due ore. Di lì a poco, la bagarre con sorrisi sulle labbra e litigi divertiti ed insulti bonari, che hanno dispiegato la potenza del gioco. Laddove quindi un gioco simile coinvolge aprendosi praticamente a tutti, altri non hanno questa peculiarità perché pagano la “specializzazione” del pubblico cui si rivolgono: sempre per il discorso della punta della piramide, più si innalza la punta, ossia il livello di specializzazione dell’utente per giocarci, più la base (ossia gli utilizzatori) si restringe, finché diventa un qualcosa che potrà soddisfare solo una nicchia di persone (un obelisco), come nel caso di Dungeons & Dragons 4° edizione, ma anche lo stesso Magic: ad un certo punto, bisognerà segare la punta, ricostruire la base e aprirsi al pubblico (cosa che stanno tentando di fare attualmente con D&D Next o la cd. “5° edizione“). La ricerca del gioco iper perfetto è deleteria: se per giocare serve una conoscenza maniacale di regole e dinamiche di gioco, sconfinando nel lavoro più che nel divertimento, a quel punto si smette di giocare o si torna a sistemi magari più imperfetti ma meglio calibrati sul divertimento, come possono essere i vecchi Vampiri La Masquerade, Il Richiamo di Chthulhu, Advanced D&D e Druid, appunto. “È la varietà che ci fa stare bene, nel gioco come nel cibo. Una donna non si cura di diventare la superesperta di un gioco perché non è di quel tipo di competizione che la preoccupa, a differenza di un uomo che, di solito, cerca di dimostrare d’essere il più bravo. Un esempio clamoroso è dato dal Mancala africano o dalle numerose versione successive come l’ Oh-Wah-Ree egiziano, il Bao dell’Africa Orientale o il Congklak del sudest asiatico: si è passati da una versione semplicissima di grande attrattiva ed intrattenimento per tutti, uomini e donne, a numerose altre varianti fino a che esso è diventato praticamente ingiocabile per le numerose regole inserite e per la impossibilità di calcolare determinate mosse. Eppure in Thailandia viene venduto parecchio e, guarda caso, il pubblico di riferimento è quello femminile: perché, dunque, delle donne dovrebbero appassionarsi ad un gioco così complesso da rendere necessari calcoli assurdi ed un livello di complessità tali per cui persino un super appassionato del genere non riesca a fruirne? La spiegazione trascende la logica: […] le donne hanno un rapporto con la Natura, con il Cosmo tale per cui mentre l’uomo cerca di capire, loro sanno invece dove e come fare in maniera naturale. Quel gioco è talmente complesso che, semplicemente, loro non calcolano: intuiscono la mossa. L’esempio è che mia moglie, grande appassionata di giochi, se gioca con me ad Oh-Wah-Ree si annoia, perché io vinco; eppure, se giochiamo al Congklak (una variante più complessa del gioco base) lei mi batte almeno il 70% delle volte: e non è pura fortuna, perché io divento pazzo ad ideare la mossa mentre lei riesce ad intuire la mossa successiva.”
Ultimo punto della nostra conversazione verte sulle nuove tecnologie, le app ed i giochi digitali: una nuova frontiera oppure un ostacolo per i giochi, nel loro formato tradizionale? E quali prospettive si aprono nell’ambito del lavoro? “Attualmente oltre a Magnifico, che è stato pubblicato (e a cui vi consigliamo di dare un’occhiata approfondita, ne vale davvero la pena! Qui trovate la versione per dispositivi iOS e qui la versione nella per dispositivi Android, ndr), collaboro con il Politecnico che presto verrà messo a disposizione e, se completato, distribuito da Polimi Interactive che è sostanzialmente il gioco dei trenini del 1800 con uno schema appropriato ad un gioco da tavola, ma studiato per essere fruito – e quindi ricco di animazioni – come un videogioco. Lo scopo è soddisfare le richieste di ciascuna città, che a loro volta producono altre merci, così da ottenere i punti vittoria che determinano il vincitore sia contro l’intelligenza artificiale che contro altri giocatori. Questa è solo una delle numerose iniziative: l’anno prossimo a Milano, non presso il Politecnico ma bensì presso lo Statale, parte il primo corso di laurea in “videogame design“, e questa è una novità assoluta perché poi di lì a tre anni avremo i primi possessori di laurea magistrale in “videogame design”. È il primo corso in Italia, però sta anche per nascere una nuova scuola, da gennaio probabilmente, una scuola di programmazione privata che serve a consentire agli italiani di studiare e prepararsi a dovere per poi entrare nell’industria del videogioco. Io stesso terrò lezioni di board-game a persone che strutturano videogiochi, perché il concetto è che il gioco da tavolo sia l’ABC, e che una volta apprese le sue basi si possa ideare un videogioco che tenga conto del tutto. Negli Stati Uniti, dove tutto questo è già realtà, si tengono costantemente corsi di board game design, quindi sono due mondi in strettissima aderenza l’uno con l’altro: Ruzzle è alla fine un board game che riunisce Il Paroliere a Lo Scarabeo, ed ha avuto un successo mondiale proprio perché anche questo gioco vede come cluster donne adulte, un po’ come Candy Crush; ecco che quindi cambia l’approccio alla materia perché si tratta, come nel discorso di prima, di produrre giochi che tengano conto di una fetta di utenti così importante come le donne. L’altro grande fenomeno che sta esplodendo negli Stati Uniti sono i “board game cafè“, che non sono certo ludoteche, ma un posto dove porti la fidanzata e dove le donne si sentono maggiormente a proprio agio, perché sono caffè dove scegliere il tè, la torta e nel contempo anche cosa provare e giocare. Questi magari sono più casual: un ottimo modo per abbassare la piramide di cui sopra, ampliando quindi la base di usufruitori del materiale. In America ne apre praticamente uno a settimana, a Londra ne vedrà la luce uno in questo periodo, mentre in Italia il problema è come qualificare l’attività, se “ludoteca” o, appunto, “caffè”: nel board game cafè i board game si vendono pure, rispetto ad una ludoteca.
Il problema dell’Italia è che spesso ci si aspetta che le istituzioni “facciano qualcosa per”: secondo me sarebbe già tanto se non “facessero qualcosa contro” perché ci si scontra sempre contro un muro che ti porta a non fare le cose o lasciar perdere.”
Su queste parole colme di esperienza di Spartaco Albertarelli ci siamo congedati da lui, lasciandolo libero di rifocillarsi quel tanto che bastava per affrontare gli impegni seguenti. Segnaliamo qui la pagina di Polimi Game Collective e la pagina del Google Play Store dove gli studenti hanno già messo a disposizione i giochi da loro sviluppati.
Non si può fare a meno di notare quanto il mondo del gioco sia ben più vasto di una serie di scatole colorate, carte illustrate e schede e dadi in quantità.
Perché il gioco è una cosa seria.
– Leo d’Amato –