Piccola parentesi personale: era il 1998 ed io, come molti altri bambini della mia età, amavo passare parte del tempo libero a consumare il videoregistratore. Cosa vedere? La risposta era semplice, o Disney o Disney, in alternativa cartoni animati che pensavo fossero di Disney. La mia videoteca incominciava a crescere e allo stesso tempo a diventare ripetitiva, ne volevo – ne volevamo – sempre di più. Un giorno di primavera mi ritrovo con i miei genitori in un negozio ormai dimenticato, ed eccoli spuntare da uno scaffale: copertina con personaggi in bella mostra, riconosco la D, piccole implorazioni, l’acquisto fu fatto. Tornato a casa lo guardai fino allo sfinimento.
Ora sono passati molti anni da quei giorni e ho avuto modo di riflettere a più riprese su quello che avevo visto nella mia infanzia. Il primo quesito che mi sono posto era il perché i miei amici non lo conoscessero. Fischiettavamo “Robin Hood e Little John”, si cercava di capire se Winnie the Pooh fosse un ritardato, e si ballava sulle note degli Aristogatti. Appena parlavo di Taron e la pentola magica, silenzio imbarazzante, nessuno fiatava, al massimo mi veniva dato del bugiardo. Con il tempo iniziarono le mie ricerche. Il lungometraggio uscito nel 1985 era stato a lungo tempo occultato dalla stessa Disney: infatti rappresentava un enorme insuccesso economico (recuperò solo la metà del costo di produzione), su cui tra l’altro si era puntato e lavorato molto. Il flop fu pesante e ci vollero ben tredici anni di ripresa prima che uscisse in VHS.
Il film è basato sui volumi dello scrittore americano Lloyd Alexander, nello specifico le Cronache di Prydain, basato a sua volta sulle leggende del Mabinogion, manoscritto gallese contenente eventi storici e numerosi racconti mitologici. La scelta dei libri in questione nasce come una via d’uscita al rifiuto di Tolkien alla concessione dei diritti per un lungometraggio incentrato su Il Signore degli Anelli. Tolkien, che aveva più volte reso manifesta la sua ripugnanza nei confronti dell’animazione disneyana, concesse i diritti a Ralph Bakshi, che nel 1978 diresse un coraggioso e ambizioso capolavoro del mondo dell’animazione.
Come detto prima, il film esce nel 1985, per la regia di Ted Bernan e Richard Rich. Questo narra la storia di Taron, un giovane aiutante guardiano di porci che vive presso il saggio Dallben con il compito di accudire Ewy, una maialina con il dono della chiaroveggenza. Proprio questa sua particolarità la farà cadere nelle mire del perfido re Cornelius, il quale intende sfruttare le capacità di Ewy per trovare la pentola magica, un potentissimo oggetto che gli permetterà di dominare l’intero mondo. Spetterà a Taron dunque proteggere Ewy e sventare i malevoli piani di re Cornelius.
La Disney in questo film prende molti elementi dal lungometraggio di Bakshi, tra cui il sapiente gioco di riuscire a mantenere in equilibrio cupezza ed allegria. Inoltre, nelle svolgersi della trama sono innumerevoli i richiami ad alcuni archetipi presenti nell’opera tolkeniana: il cammino per distruggere l’oggetto e la spada magica (che in realtà deve molto di più al Ciclo Bretone), per citare i più evidenti.
Ad impreziosire e definire le atmosfere del racconto ci sono le musiche del maestro Elmer Bernstein, che offre brani di notevole fattura che vanno dall’idillico al tenebroso, lasciando un velo di magia e medioevo, scelta che nel complesso lo allontana dall’aura epica usata nella trilogia di Jackson. Elemento più discusso è sicuramente la componente horror, a cui la Disney aveva ben poco abituato il suo pubblico (Tim Burton Art director, che ci sia il suo zampino?). La scena finale in cui prende vita l’esercito della pentola è una delle trovate più inquietanti che la casa di Topolino abbia mai partorito; questo ha lasciato nel corso degli anni adito a critiche sull’eccessiva tenebrosità del racconto (qualcuno ha avuto la brillante idea di chiamarlo “Dario Argento in versione cartoon”), che risulta non completamente adatto ad un pubblico di bambini. Forse non era il momento adatto, il grande pubblico non era ancora pronto per il distacco da principessine e canzoncine – ahimè… ahiloro –.
Cominciano qui le dolenti note, i veri motivi che hanno trascinato nell’oblio questa piccola perla nerastra. Innanzitutto i personaggi principali, il trio che dovrebbe portare avanti la storia, risulta essere stereotipato nel tipo e nell’abbigliamento (Taron novello Semola, Ailin addormentata nel bosco che si risveglia con il copione sbagliato; su Sospirello non mi pronuncio, non voglio rischiare di offendere i lettori credenti); inoltre hanno una recitazione sbocconcellata che confluisce in dialoghi dissonanti. Un vero peccato se si pensa ai personaggi secondari come Gurghi, le streghe, o Dalben, che sono simpatici e ben caratterizzati nonostante il poco tempo a loro disposizione. Altro problema è lo svolgimento della trama, che viene troppe volte altalenata da un argomento all’altro, lasciando per la strada troppo in sospeso.
Il film, grazie al credito di classico – che di classico ha poco – nascosto, è riuscito con il tempo a creare una cerchia di affezionati che hanno saputo apprezzare il tentativo di cambiamento del mostro sacro dell’intrattenimento per l’infanzia. Da guardare in una fredda serata d’ottobre.
– Vittorio De Girolamo –
Cine (fantasy) Retro: Taron e la pentola magica
Isola Illyon
- Immancabile per i fan Disney
- Film inaspettato
- La motivazione dei personaggi
- Trama con troppi stacchi bruschi